Come andare a messa e non perdere la fede

  • Categoria dell'articolo:In libreria

\"\"Nicola Bux, Come andare a messa e non perdere la fede, Piemme, Milano 2010, ISBN 978-88-566-1547-0 , pp. 194, € 12,00
 

 
 
Una bella liturgia può convertire quando trasmette una bellezza, letteralmente, “dell’altro mondo”. Talvolta però quell’anticipo di paradiso presente “in mysterio” nel sacramento, viene oscurato da aggiunte e invenzioni più o meno originali, che possono di volta in volta divertire o annoiare, ma il cui denominatore comune è l’incapacità di innalzare le anime a Dio. E le chiese si svuotano, nonostante – o forse anche a causa di – decenni di sperimentazioni nate proprio con lo scopo di avvicinare la liturgia ai fedeli. I quali però – al di là della ristretta cerchia di “tecnici parrocchiali” dediti all’“animazione liturgica” – vorrebbero solo una messa “a forma” di messa, magari in una chiesa a forma di chiesa. Tutto ciò si è verificato, in omaggio ad una concezione “fai da te”– peraltro mai fatta propria dal Concilio, che pure viene perennemente invocato per giustificare qualsiasi novità – che pretende di assegnare a ciascuno un ruolo liturgico, perché tutti avrebbero diritto a “fare” qualcosa durante la messa. L’unico privato di diritti nella liturgia è Dio, la cui marginalità è efficacemente rappresentata dal tabernacolo sempre più relegato in un angolo e sostituito al centro dalla sede del sacerdote, che appare spesso come il vero protagonista della celebrazione.
 

Questo libro di don Nicola Bux, pertanto, è incentrato sulla riscoperta dello ius divinum, sul diritto di Dio ad essere adorato come Egli vuole, e non secondo i capricci della nostra “creatività” (sempre motivata da inattaccabili “ragioni pastorali”…). L’autore non ha bisogno di molte presentazioni, essendo già abbastanza noto per l’impegno profuso nella “buona battaglia” per la sacralità della liturgia, che gli auguriamo di continuare a portare avanti con la recente nomina a consultore della Congregazione per il Culto Divino. (altro…)

Continua a leggereCome andare a messa e non perdere la fede

Il Papa ha ragione! L’Aids non si ferma con il condom

  • Categoria dell'articolo:In libreria

C. D. CAVONI – R. PUCCETTI, Il Papa ha ragione! L’Aids non si ferma con il condom, Fede & Cultura 2010, Isbn: 978-88-6409-036-8, pp. 90, Euro 9,50.

Sconto su: http://www.theseuslibri.it

 

Nel marzo 2009, come noto, Papa Benedetto XVI, ha intrapreso il suo primo viaggio in Africa visitando il Camerun e l’Angola. In quei giorni il Pontefice ha detto e fatto tante cose ma solamente una – c’è da scommetterci – passerà nelle pagine dei libri di storia ‘politicamente corretti’: l’intervista concessa ad alcuni giornalisti sull’aereo che lo portava in Africa e in cui egli avrebbe detto, in stridente contrasto con ogni elemento di buon senso (?), che la terribile epidemia dell’Aids non si risolve con l’importazione massiccia di preservativi da regalare o vendere agli africani. Qualcuno ricorderà quel che accadde in seguito: da più parti, non esclusi uomini politici di fama internazionale e autorevoli ministri di governo, si levarono voci sdegnate chiedendo che il Papa rettificasse quanto aveva detto, pena la condanna pubblica e senza appello della Santa Sede e della missione della Chiesa tutta, giudicata come un’organizzazione sessuofoba e arretrata, ormai completamente fuori dal corso della storia. Il giornalista Cesare Davide Cavoni e il medico e bioeticista Renzo Puccetti, socio fondatore dell’associazione Scienza & Vita, placate finalmente le polemiche, sono tornati sul ‘luogo del misfatto’ e, l’uno rileggendo le pagine dei giornali e delle agenzie-stampa, l’altro interrogando la letteratura scientifica disponibile e gli studi più affidabili, hanno avviato un’indagine a 360 gradi su quel famoso viaggio per cercare di capire che cosa è andato storto nella comunicazione della Santa Sede e se dietro questo ulteriore, devastante attacco al Magistero petrino ci siano dei mandanti e dei colpevoli materiali.

Dopo la prefazione di Francesco Agnoli (pp. 5-7), che inquadra i termini generali della questione, contestualizzando opportunamente lo sfondo temporale del viaggio del Papa, nella prima parte del saggio ("Cronistoria tra media e realtà", pp. 8-56) Cavoni raccoglie i titoli delle prime pagine dei principali quotidiani, italiani e stranieri, che riportano le parole della famosa intervista di Benedetto XVI sull’aereo diretto in Africa. E già qui c’è da sobbalzare: il lavoro certosino del giornalista (impreziosito da una mole non indifferente di fonti d’archivio, tutte citate a piè di pagina) dimostra, articoli alla mano, che ben pochi si sono preoccupati di riportare per intero la domanda del giornalista francese e la risposta, data a braccio, dal Papa. E’ impressionante osservare come la rassegna comparativa delle citazioni – tra Le Monde, La Repubblica, El Pais, fino ad arrivare agli immancabili L’Unità e Liberazione – evidenzi un sostantivo o un aggettivo in più o in meno a seconda dell’impostazione culturale data al problema Aids, come se fosse normale ‘aggiustare’ le dichiarazioni di una persona, attribuendogli persino parole che non ha mai pronunciato, secondo le proprie convenienze ideologiche o politiche. Ma che cosa aveva detto veramente il Papa sull’aereo?

(altro…)

Continua a leggereIl Papa ha ragione! L’Aids non si ferma con il condom

Quello che gli uomini non dicono. La crisi della virilità

  • Categoria dell'articolo:In libreria

Roberto Marchesini, Quello che gli uomini non dicono. La crisi della virilità, SugarCo 2010, ISBN: 8871986059, ISBN 13: 9788871986050, pagine 160, Euro 14.50

Sconto su: http://www.theseuslibri.it

 

Tra i tanti fenomeni emergenti di questi ultimi anni c’è sicuramente la crisi dell’uomo, inteso come maschio. È debole, stanco, demotivato, passivo, solo. E triste. Alcuni uomini sono depressi, insicuri, ansiosi; sperimentano un senso di inadeguatezza sia in famiglia, che sul lavoro, che con gli altri uomini; hanno una scarsa autostima e poca fiducia in sé e nelle proprie capacità; si sentono timidi, paurosi, deboli. Le ricerche dicono che aumenta l’impotenza maschile, l’ansia da prestazione sessuale, l’infertilità maschile e rilevano persino una graduale riduzione del desiderio sessuale e del livello di testosterone, l’ormone maschile.

E’ una crisi di virilità. Intesa come disponibilità a rischiare la vita per salvarla, per salvare l’onore (cioè la dignità umana), per la fedeltà ai propri valori; intesa come assertività, coraggio, fortezza. Il termine virilità deriva dal latino, lingua che usa due termini diversi per indicare l’uomo: vir e homo; stessa cosa vale per il greco: aner e anthropos. Homo e anthropos indicano l’uomo in quanto maschio, mentre vir e aner rimandano alla persona maschile pienamente realizzata, ossia l’eroe.

La crisi della virilità è per l’uomo una crisi d’identità: egli non sa più chi è, come è, come dovrebbe essere e come lo vogliono gli altri. Ci prova, ad accontentare tutti, ma non funziona: sembra che nessuno sia contento di lui. E questo lo fa soffrire.

È una crisi inedita, nella storia dell’umanità. Non è mai accaduto che così tante persone restassero senza risposta davanti agli interrogativi “Chi sono? Quale è il mio ruolo? Quale è il mio posto nel mondo?”.

È la terribile situazione in cui qualunque cosa facciano è sbagliata. Per molti significa: “Tu sei sbagliato”. Gli psicologi clinici l’hanno chiamata “doppio legame”, e hanno ipotizzato che sia alla base della schizofrenia.

Oggi gli uomini non hanno vita facile. Pare, infatti, che per la società odierna la civiltà sia femminile, la barbarie maschile. Tutto ciò che ha un vago odore di virilità suscita disgusto e disprezzo. Sembra che meno testosterone c’è in giro, meglio è. Se un uomo vuole essere non certo apprezzato, ma per lo meno tollerato, deve mostrarsi assolutamente alieno dai conflitti, per nulla risoluto, attento ai sentimenti più che al raggiungimento degli obiettivi, un po’ come l’orsacchiotto che i bambini tengono sul cuscino: inerte, passivo e perciò innocuo. Un uomo, insomma, non virile. L’unico uomo buono è l’uomo morto; o quello castrato. Basti pensare alla forza, tipica caratteristica maschile; se ne sente parlare come se fosse un sinonimo di violenza, anziché esserne l’antidoto. Male-bashing, lo chiamano: aggressione anti-maschile.

(altro…)

Continua a leggereQuello che gli uomini non dicono. La crisi della virilità

1861. Le due Italie

  • Categoria dell'articolo:In libreria

\"\"Massimo Viglione, 1861. Le due Italie – Identità nazionale, unificazione, guerra civile. Ares 2011, EAN 9788881555222, Pagine 424, Euro 20,00

Sconto su: http://www.theseuslibri.it

Dal gentile autore riceviamo la conclusione dell\’opera:

 

Il nodo da sciogliere della storia italiana
 
Il mito risorgimentale poggia su molteplici travisamenti storici, ideali e religiosi (ideologia risorgimentale), il cui risultato è questo indiscutibile “dogma nazionale”: in Italia, per essere patrioti, per dimostrare di amare l’Italia, occorre amare il Risorgimento, in quanto è con esso che è nata la nostra patria. Si è sempre voluto a tutti i costi (e oggi con rinnovato spirito) far penetrare nelle menti degli italiani che l’unica via al patriottismo sia la celebrazione risorgimentale, la venerazione dei quattro “padri della patria”. È la più grande vittoria della vulgata risorgimentale, l’inganno per eccellenza: il far credere che chi narra ciò che è stato occultato (le insorgenze, il settarismo utopista, la guerra alla Chiesa Cattolica, i brogli elettorali dei plebisciti, le stragi di “briganti”, il piemontesismo, il fiscalismo, l’emigrazione, ecc.) e di contro non celebra Mazzini e Cavour, Vittorio Emanuele II e Garibaldi, Napoleone e Gioberti, sia “anti-italiano” o comunque contro l’unità nazionale. O magari studioso poco serio…
Chiunque sia ormai a conoscenza di quanto descritto e considerato in questo studio e vi abbia serenamente meditato, non può non vedere come la vittoria del Savoia e del partito piemontese, grazie al geniale Ministro che tutti e tutto mosse, non fu la vittoria dell’Italia, e tanto meno degli italiani; fu solo la vittoria di una élite potente e prepotente, che, con il pretesto dell’unificazione (poiché tale fu, non unità), gettò in realtà le basi storiche, politiche, ideologiche e sociali per la futura affermazione del totalitarismo e delle tragedie che il nostro popolo ha subito nel XX secolo.
Con il Risorgimento nasce lo Stato italiano, non però la nazione italiana; essa esisteva già da secoli, riposava sulla identità italiana, classica, cattolica, romana, universale. Il Risorgimento è stato invero proprio la negazione di tutto questo: è stato fatto contro la Chiesa, contro l’idea universale di Roma, senza rispettare, anzi abbattendole, le tradizionali realtà locali esistenti nella Penisola, riducendo tutto al Piemonte e al suo re. E questo senza alcun consenso popolare, attuato solo da un piccolo gruppo di oligarchi, con l’appoggio “mediatico” dei ceti intellettuali e quello economico del mondo settario e massonico, mediante inganni, corruzione e stragi mai accadute nella precedente storia italiana. Soprattutto, vendendosi anima e corpo allo straniero, anzi, a quei tre stranieri (Gran Bretagna, Francia e Prussia) verso i quali la nostra politica unitaria sarà debitrice o comunque subordinata in maniera non minore di quanto lo era quella degli Stati preunitari alla sola Austria.
Se è vero che patriota è chi difende la propria patria, prima dell’unificazione risorgimentale era perfettamente chiaro chi fossero i patrioti: erano coloro che combattevano per le proprie patrie, secolari e legittime, amate dalle popolazioni (insorgenti e “briganti”), mentre, per essere patrioti nel senso risorgimentale, occorre accettare l’idea mazziniana e utopistica che la patria è nel mondo della volontà e non in quello reale della storia, della religione, della lingua, delle tradizioni.
Dopo l’unificazione questo non è più così chiaro; infatti, tanto per addurre il più classico degli esempi, è evidente che, nell’ultima guerra civile italiana, tanto i fascisti (che si presentavano come coloro che avevano portato a compimento il Risorgimento, specie dal punto di vista mazziniano) quanto i partigiani (che si definivano a loro volta come gli eredi del Risorgimento, specie dal punto di vista garibaldino) si definivano patrioti, andando gli uni con il Capo del Governo e gli altri con il Capo dello Stato, ed entrambi lottando in nome dell’Italia (ed entrambi in realtà sottomessi a eserciti stranieri invasori) in una guerra civile – la Terza – devastante e mai veramente risolta nelle coscienze di molti, ancora oggi, dopo quasi settant’anni, carico cruento di odio dell’Italia repubblicana. Ciò accadde per il semplice motivo che l’Italia nata dal Risorgimento non rispecchia la vera identità nazionale.
Come ha detto lo storico liberale Rosario Romeo: «Lo Stato nazionale che negli intenti dei suoi creatori doveva essere la chiave destinata ad aprire agli italiani le porte del mondo moderno, ha evidentemente fallito nel suo compito; e gli italiani, nei vari ceti e in modi diversi, cercano di inserirsi nella realtà moderna ed europea per altre vie ed in altri contesti». Il che sta a significare non solo che la Rivoluzione Italiana ha ferito per sempre l’identità nazionale e diviso gli italiani, ma che essa non è neanche riuscita in realtà a costruire i presupposti della sua esistenza: lo Stato nazionale – in quanto non l’ha costruito nell’animo di quegli italiani che voleva cambiare – e l’“italiano nuovo”, appunto.
E qui torniamo ai drammatici interrogativi del dibattito dell’estate del 2009, con cui abbiamo aperto questo studio. Se vogliamo provare a dare una riposta agli interrogativi di Galli della Loggia e degli altri intellettuali, occorre riflettere che il problema è che la “vecchia Italia” non esiste più (se non nell’animo dei singoli ancora legati ai valori della civiltà di cui essa era espressione e protagonista), mentre la “nuova Italia” non è mai esistita, almeno non quella sognata dai rivoluzionari. Ciò che esiste è un’ibrida commistione di pertinace attaccamento alle radici disvelte e di efficace sovversione anarchica spirituale e morale dell’identità nazionale. Pertanto, non v’è attaccamento vero e sincero all’Italia nata dal Risorgimento.
Rileggiamo ancora il fondamentale assunto dello stesso Galli della Loggia: «Si delinea in tal modo un fatto decisivo: la tendenziale cesura tra l’identità nazionale e l’identità italiana, cioè tra il modo di nascita e di essere dello Stato nazionale e il passato storico del paese, divenuto la sua natura». Da cui la sua denuncia dell’estate del 2009: l’immagine che gli stessi italiani hanno del loro Stato è «un’immagine a brandelli e di fatto inesistente: dal momento che ormai inesistente sembra essere qualsiasi idea dell’Italia stessa».
Ecco il risultato della Rivoluzione Italiana.

(altro…)

Continua a leggere1861. Le due Italie

L’assedio che condannò l’Italia all’unità

  • Categoria dell'articolo:In libreria

\"\"

Gigi di Fiore: Gli ultimi giorni di Gaeta. L’assedio che condannò l’Italia all’unità; Rizzoli 2010, Codice EAN 9788817043168;  353 pagine, Euro 20,00

Sconto su: http://www.theseuslibri.it

L’atto finale della guerra di conquista che chiamiamo “unificazione”, visto con gli occhi degli sconfitti

“Diciotto mila cittadini mandati a rovina e miseria” (Dal Consiglio comunale di Gaeta del 28 febbraio 1861).

“Noi combattemmo contro italiani, e fu questo necessario ma doloroso ufficio” (Generale Enrico Cialdini).

“La ringrazio a nome della Nazione Italiana. Mi congratulo di cuore coll’Esercito” (Vittorio Emanuele II al generale Cialdini).

Il 13 febbraio 1861, Francesco II di Borbone si arrese definitivamente all’esercito sabaudo: la fortezza di Gaeta, ultimo baluardo difensivo del Regno delle Due Sicilie, cedeva all’armata del generale Cialdini.
I cento giorni d’assedio che resero possibile il Regno d’Italia vengono tutt’ora ricordati in manifestazioni e rievocazioni, ma fu veramente l’evento glorioso che la storia ci racconta? O si trattò dell’epilogo di un’invasione sanguinosa, perpetrata ai danni di uno Stato sovrano, riconosciuto dalle altre potenze europee e consolidato da secoli di autonomia e tradizioni?
A Gaeta l’annessione fu portata a termine dai cannoni, che fecero strage di militari e civili stremati anche dal tifo. L’8 gennaio la piazzaforte fu sottoposta a un cannoneggiamento di dieci ore, che distrusse i quartieri civili; pochi giorni dopo l’ex comandante borbonico Edoardo D’Amico, tradito da tempo il suo schieramento e desideroso di dimostrare la nuova fede, diede inizio al bombardamento del 22 gennaio; a qualche ora dalla resa, mentre si preparava l’accordo, l’artiglieria piemontese continuò il fuoco per l’ultima strage.
Episodi che raccontano una guerra cruenta rimossa dalla memoria comune: un attacco che violava tutte le regole – iniziato senza una dichiarazione di guerra né agitazioni tali da giustificare un intervento straniero – al termine del quale nove milioni di persone furono costrette ad accettare le leggi e la burocrazia del Piemonte grazie a maneggi diplomatici, finanziamenti occulti, ambiguità.

Gigi di Fiore ricostruisce quasi ora per ora l’assedio brutale che pose fine a un conflitto tra italiani, con paziente lavoro di analisi e scavo archivistico, passione narrativa e gusto per l’aneddoto. Documenti e testimonianze, storia, cronaca militare e narrazione si uniscono per restituire vivido e reale il dolore di una città che non ha dimenticato. E permetterci di analizzare da una prospettiva diversa un peccato originale della nostra unità nazionale.

I cento giorni di storia italiana meno raccontati nei libri scolastici: è l’assedio di Gaeta, che segnò la fine del regno delle Due Sicilie e l’annessione del sud al resto dell’Italia. Quei tre mesi restano invece il simbolo di un’annessione nata male, con due eserciti regolari a farsi guerra: quello piemontese del nord e quello napoletano del sud. Una vicenda che costò oltre mille morti con tantissime vittime tra i civili rimosse dalla storia ufficiale.
Nel saggio di Gigi Di Fiore, attraverso nuovi documenti e testimonianze soprattutto di parte piemontese, attraverso uno stile raccontato c’è la narrazione della vita quotidiana nei due schieramenti contrapposti, le descrizioni di personaggi anche minori, aneddoti. Ma soprattutto, il dettaglio delle sofferenze dei civili e dei danni subiti dalla città di Gaeta in tre mesi di impietoso bombardamento. L’ultima resistenza dello stato delle Due Sicilie, allora ancora riconosciuto da tutte le diplomazie mondiali, in un testo che ne approfondisce e racconta tutti i dettagli, con una bibliografia di ben 8 pagine. “Abbiamo avuto conquistato alla causa l’efficacia dei cannoni Cavalli a lunga gittata” scrisse Cialdini, in un documento inedito, alla fine dell’assedio
Nei nuovi documenti del ministero della Guerra, citati nel testo, si ritrova proprio la conferma dell’uso sperimentale fatto dei micidiali cannoni Cavalli a lunga gittata a Gaeta, sulla pelle dei militari borbonici e dei civili gaetani. Un uso su cui vengono spese parole entusiaste, come di una nuova arma da perfezionare sempre più per il futuro. Una specie di “bomba atomica” dell’epoca per spezzare i residui di resistenza dell’esercito di Francesco II di Borbone. E poi, nelle cifre finali dei comandi piemontesi, i costi di tanto impegno di uomini e mezzi: 25 milioni per espugnare Gaeta.
Il libro si compone di Introduzione, Prologo, 12 capitoli, 3 appendici e due grandi foto d’epoca sull’assedio nei riguardi di copertina.

L\’autore

Gigi Di Fiore, inviato speciale del “Mattino” di Napoli in passato redattore al “Giornale” di Montanelli, ha ottenuto nel 2001 il premio Saint Vincent per il giornalismo. Ha scritto diversi saggi su due temi principali: Risorgimento, Fine del regno delle Due Sicilie, Brigantaggio; Criminalità organizzata. Il suo testo “1861 – Pontelandolfo e Casalduni, un massacro dimenticato”, pubblicato nel 1998 e oggi introvabile, viene citato da tutti gli autori successivi che si sono occupati di quell\’eccidio (Pino Aprile compreso). Vincitore del premio Pedio per la ricerca storia, del Landolfo d’oro per gli studi sull’eccidio del 1861. Il suo libro “Controstoria dell’unità d’Italia”, edito da Rizzoli nel 2007, è stato più volte ristampato ed è stato vincitore del premio Melfi, nonché finalista del prestigioso premio Aqui terme storia. Sui temi della storia del sud, ha scritto anche per la Utet nel 2004 “I vinti del Risorgimento” e per Grimaldi il romanzo “Gli ultimi fuochi di Gaeta”. Sulla camorra, ha pubblicato molti testi a partire dal 1993, qualcuno adottato anche all\’università di Napoli.

(da ilfrizzo.it)

(altro…)

Continua a leggereL’assedio che condannò l’Italia all’unità

La Rivoluzione Italiana – Storia critica del Risorgimento

  • Categoria dell'articolo:In libreria

\"\"Massimo Viglione; La Rivoluzione Italiana. Storia critica del Risorgimento; Il Minotauro 2001; ISBN 88-8073-062-2; Pagine: 431; Prezzo:€ 25.24

* * *

Sconto su: http://www.theseuslibri.it  

* * *

Negli ultimi anni ha preso vita in Italia un rinnovato interesse per la problematica risorgimentale, vista ed interpretata da numerosi studiosi, fra cui non pochi nomi di richiamo della cultura nazionale, in maniera non supinamente conforme alla “vulgata” celebrativa. In questo volume alcuni dei più noti esponenti di questo filone storiografico rivisitano l’intera vicenda risorgimentale al fine da un lato di fornire una visione più conforme alla verità storica degli eventi del processo unitario, dall’altro di evidenziare, nelle scelte politiche, amministrative – ed anche religiose e culturali – dei protagonisti del tempo, le radici profonde dei mali che hanno attanagliato – e ancora oggi attanagliano – la società nazionale e la vita quotidiana degli italiani. Ciò che è noto a tutti come “Risorgimento” fu in realtà una vera e propria rivoluzione politica, culturale e spirituale: la Rivoluzione Italiana. Come tale la vissero i protagonisti di allora la presentano oggi gli autori di questo volume.

(altro…)

Continua a leggereLa Rivoluzione Italiana – Storia critica del Risorgimento

La rivoluzione italiana. Come fu fatta l’unità della nazione

  • Categoria dell'articolo:In libreria

\"\"

Patrick K. O'Clery, La rivoluzione italiana. Come fu fatta l'unità della nazione, Ares Milano 2001, ISBN: 8881551942, ISBN-13: 9788881551941, Pagine: 788, Euro 25,00

– – –

Sconto su: http://www.theseuslibri.it

___

Patrick Keyes O’Clery, irlandese, aveva 18 anni quando nel 1867 si arruolò tra gli Zuavi per difendere il Papa: partecipò alla battaglia di Mentana dall’altra parte, ossia contro i garibaldini. A 21 anni, nel 1870, è nel selvaggio West americano a caccia di bisonti. Ma, appreso che l’esercito italiano si prepara a invadere lo Stato Pontificio, torna a precipizio: il 17 settembre 1870 è a Roma di nuovo. È filtrato tra le linee italiane con due compagni, un nobile inglese e un certo Tracy, futuro deputato del Congresso Usa. In tempo per partecipare, contro i Bersaglieri, ai fatti di Porta Pia.
Tornato in Inghilterra ed eletto parlamentare, si batterà per l’autonomia dell’lrlanda. Nel 1880 abbandona la politica per dedicarsi all’avvocatura. Morirà nel 1913, avendo lasciato due volumi sulla storia dell’unificazione italiana.

* * *

 

LA RIVOLUZIONE ITALIANA

COME FU FATTA L’UNITA’ DELLA NAZIONE

Gli italiani leggono poco ma si appassionano alle dispute storiche, in particolare alla storia del Risorgimento. L’anno che è appena trascorso ha visto numerose polemiche e discussioni in merito al cosiddetto revisionismo storico con particolare riguardo alla nascita dell’unità d’Italia, toccando il massimo della rissosità in occasione della beatificazione del Papa Pio IX.

Qualche mese prima la casa editrice ARES di Milano pubblicava il volume di Patrick Keyes O’Clery, "La Rivoluzione Italiana", un corposo scritto di ben 780 pagine, in realtà si tratta della fusione di due libri. Il primo mai tradotto in Italia, scritto nel 1875, sotto il titolo : The Revolution of barricades, costituisce un’ampia rivisitazione della storia italiana a partire dalla Rivoluzione Francese, fino ai moti del 48, con particolare riguardo alla storia dei Papi che hanno contribuito a costruire la nazione italiana e soprattutto l’Europa cristiana. "Non si tratta di un’augusta apologia del Papa rescrive Alberto Leoni nella presentazione – ma dell’esaltazione del buon governo in quanto capace di scelte concrete ed efficaci, in contrapposizione all’astrattezza dell’ideologia". Il secondo volume, The making of Italy, del 1892 è invece la ricostruzione delle fasi conclusive del nostro Risorgimento fino alla presa di Roma. Questa parte è stata pubblicata in Italia nel lontano 1897 e poi negli anni ottanta.

* * *

(altro…)

Continua a leggereLa rivoluzione italiana. Come fu fatta l’unità della nazione

Risorgimento ed Europa

  • Categoria dell'articolo:In libreria

\"\"Angela Pellicciari, Risorgimento ed Europa, Fede e Cultura 2008, ISBN 9788889913864, pagine 128, Euro 12

* * *

Sconto su http://www.theseuslibri.it  

 

* * *

Nell’intento proclamato di far risorgere l’Italia dai suoi “quindici secoli di schiavitù” (i secoli che corrispondono all’era cattolica), i Savoia e i liberali si appropriano dell’ingente patrimonio che nel corso del tempo la popolazione ha donato alla Chiesa e, per tramite della Chiesa, ai poveri. Gli uomini del Risorgimento rapinano i beni di tutti in nome della libertà, della tolleranza e della monarchia costituzionale. E gli italiani si trasformano, per la prima volta nella loro storia, in un popolo di emigranti.
Dal 2000 al 2002 Angela Pellicciari smonta pezzo a pezzo la retorica risorgimentale in brillanti e smaliziati articoli, qui riproposti in una selezione aggiornata che costituisce anche un monito per il processo di unificazione europea. Se non stiamo attenti ci ritroveremo (questa volta in nome della democrazia, della tolleranza e del rispetto della diversità) sotto il giogo di un totalitarismo nichilista.  

* * *

Intervista ad Angela Pellicciari sul libro: "Risorgimento ed Europa"
("Radici cristiane", maggio 2009)

D. Alla vigilia delle elezioni europee lei fa stampare un libro dal titolo “Risorgimento ed Europa Miti, pericoli, antidoti” (Fede e Cultura, pp. 124, 12 euro): una collezione di suoi vecchi articoli prevalentemente comparsi su La Padania. Quale è il senso di questa operazione culturale?

R. Il senso è quello di mandare un messaggio. E il messaggio è: stiamo attenti, cattolici. Stiamo attenti perché nel nome di bellissimi ideali rischiamo di esser colonizzati in modo brutale dalla mentalità nichilista, scientista e sessista che opera con successo in molti degli stati del nord e centro Europa e, da qualche anno, anche nella cattolica Spagna.

D. Ma cosa c’entra con l’Europa il Risorgimento?

R. Le spiego. Il processo di unificazione della penisola italiana, nato sotto i migliori auspici, favorito dagli stessi cattolici, compreso il papa, si è trasformato in uno spaventoso boomerang che ha tentato con satanica determinazione di sradicare dal cuore degli italiani la religione cattolica, che pure lo Statuto albertino definiva “unica religione di stato”. Pio IX ha ripetutamente denunciato la singolarità della persecuzione anticattolica in Italia. Mentre Lutero, Calvino, gli anglicani ed i protestanti tutti, hanno sempre apertamente attaccato e diffuso odio contro la chiesa di Roma, in Italia, culla del cattolicesimo, la strategia è stata diversa. Da noi i liberali, scrive Pio IX, hanno avuto l’impudenza di definirsi i più sinceri difensori di Gesù Cristo, della chiesa e dello stesso papa, spacciandosi per paladini dell’ordine morale.

D. Aveva ragione Pio IX a condannare e scomunicare l’intera élite liberale italiana?

R. Basta guardare ai fatti. In nome della “pura” morale e della vera “religione”, in nome della libertà e della costituzione, il Regno d’Italia ha soppresso tutti gli ordini religiosi della chiesa di stato, ha abolito tutte le opere pie ed ha ridotto il papa, Pio IX, allo stato di “prigioniero” in Vaticano. Il risultato di questo tipo di morale e di questo tipo di religione è stato la rovina della popolazione italiana nella seconda metà dell’Ottocento e agli inizi del Novecento fino alla prima guerra mondiale. Il Risorgimento è stato per gli italiani un dramma dalle proporzioni apocalittiche: per ironia della sorte il periodo che si chiama Risorgimento ha trasformato gli italiani in una nazione di emigranti. E questo, va pur detto, dopo che avevamo conosciuto, per più di due millenni, una storia ricca di primati.

(altro…)

Continua a leggereRisorgimento ed Europa

Risorgimento da riscrivere

  • Categoria dell'articolo:In libreria

\"\"Angela Pellicciari,  Risorgimento da riscrivere: liberali e massoni contro la Chiesa, Ares 2010, Pagine 336, ISBN: 8881553937, Euro 19

* * *

Sconto su http://www.theseuslibri.it

* * *

Per non ripetere gli equivoci del Risorgimento

di Angela Pellicciari
(Da Studi Cattolici n. 295, aprile 2004)

Unione Europea: come andrà a finire non si sa, ma se la storia è magistra vitae cosa è successo in Italia durante il Risorgimento può aiutarci a capire da che parte rischia di tirare il vento. La domanda è: c’è un’analogia possibile fra unificazione italiana ed unificazione europea?
All’inizio dell’Ottocento un esercito invasore -le armate giacobine di Napoleone- saccheggia l’Italia in nome della libertà e del risorgimento della gloria nazionale. L’Inghilterra riprende la parola d’ordine ed i liberali italiani fanno da corifei: il mito del Risorgimento è all’opera.
Indipendenza, unità, libertà, monarchia costituzionale, stato “forte e potente”: cosa si poteva desiderare di più bello? Non erano d’accordo tutti gli italiani? Non lo hanno forse dimostrato votando compatti “sì” ai plebisciti?
Purtroppo no. Purtroppo le cose non sono andate così. Purtroppo il Risorgimento ha imposto, in nome della libertà, un totalitarismo elitario che ha provato a rifare i connotati degli italiani. Questo e non altro significa l’incisivo motto: “l’Italia è fatta, bisogna fare gli italiani”. Così come erano non andavano bene. Andavano rimodellati ad immagine e somiglianza dell’élite massonica e protestante che reggeva il mondo con pugno di ferro, naturalmente in nome del progresso e della civiltà.
Guidati dalla luce liberal-massonica, gli italiani andavano sollevati dal peso dei millecinquecento anni di oscurantismo cattolico: “Risorgimento del paganesimo”, dirà, con incisività, Leone XIII.

(altro…)

Continua a leggereRisorgimento da riscrivere

Storia del Movimento per la vita

  • Categoria dell'articolo:In libreria

\"\"

Francesco Agnoli, Storia del Movimento per la Vita. Fra eroismi e cedimenti, Edizioni Fede & Cultura, 2010, ISBN-10: 8864090738, pp. 112, Euro 13.

* * *

Sconto su http://www.theseuslibri.it  

* * *

"… quando i progetti politici contemplano, in modo aperto o velato, la decriminalizzazione dell'aborto o dell'eutanasia, l'ideale democratico – che è solo veramente tale quando riconosce e tutela la dignità di ogni persona umana – è tradito nei suoi fondamenti (cfr. Evangelium vitae , n. 74). Pertanto, cari Fratelli nell'episcopato, nel difendere la vita 'non dobbiamo temere l'ostilità e l'impopolarità, rifiutando ogni compromesso ed ambiguità, che ci conformerebbero alla mentalità di questo mondo' (Ibidem, n. 82)".
Papa Benedetto XVI, ai Vescovi della Conferenza Episcopale del Brasile, 28 ottobre 2010

* * *

 

 

PRIMA PARTE: COME È NATO E SI SVILUPPA IL MOVIMENTO PER LA VITA

Il Movimento per la Vita italiano è una realtà molto interessante, fatta di volontari, che nei Centri di aiuto alla vita (Cav) sostengono psicologicamente ed economicamente le mamme in difficoltà di fronte a una gravidanza inattesa o indesiderata, e composta di altri volontari che cercano di portare avanti una visione cristiana del nascere e del morire contrapposta alla cultura di morte che sembra ormai prevalere nella nostra società.

 

Due bracci: operativo e culturale

Il Movimento per la vita italiano (MpV) nacque tra il 1975, data del primo Centro di Aiuto alla Vita di Firenze, e il 1977, quando Piero Pirovano, Silvio Ghielmi, Emilio Bonicelli ed altre personalità del mondo cattolico milanese e lombardo diedero vita a un'associazione che voleva appunto opporsi alla cultura abortista avanzante. Il MpV ha dunque due bracci: uno operativo, che risponde all'esigenza della carità concreta e operativa, e uno culturale, che invece ha come primo compito quello di dire la verità, tutta la verità (essendo anche questa una forma di carità, non certo secondaria) sul diritto alla vita e sull'iniquità dell'aborto e della varie forme di manipolazione e uccisione dell'embrione umano.

Ebbene all'osservatore attento non sfugge però che il MpV italiano, di cui faccio parte con riconoscenza e orgoglio, è senza dubbio encomiabile per l'attività dei Cav, svolta con generosità e passione da migliaia di persone eccezionali, che dedicano il loro tempo e le loro forze al servizio del prossimo bisognoso, ma è altrettanto innegabilmente mancante dal punto di vista della carità culturale.

(altro…)

Continua a leggereStoria del Movimento per la vita