C. D. CAVONI – R. PUCCETTI, Il Papa ha ragione! L’Aids non si ferma con il condom, Fede & Cultura 2010, Isbn: 978-88-6409-036-8, pp. 90, Euro 9,50.
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Nel marzo 2009, come noto, Papa Benedetto XVI, ha intrapreso il suo primo viaggio in Africa visitando il Camerun e l’Angola. In quei giorni il Pontefice ha detto e fatto tante cose ma solamente una – c’è da scommetterci – passerà nelle pagine dei libri di storia ‘politicamente corretti’: l’intervista concessa ad alcuni giornalisti sull’aereo che lo portava in Africa e in cui egli avrebbe detto, in stridente contrasto con ogni elemento di buon senso (?), che la terribile epidemia dell’Aids non si risolve con l’importazione massiccia di preservativi da regalare o vendere agli africani. Qualcuno ricorderà quel che accadde in seguito: da più parti, non esclusi uomini politici di fama internazionale e autorevoli ministri di governo, si levarono voci sdegnate chiedendo che il Papa rettificasse quanto aveva detto, pena la condanna pubblica e senza appello della Santa Sede e della missione della Chiesa tutta, giudicata come un’organizzazione sessuofoba e arretrata, ormai completamente fuori dal corso della storia. Il giornalista Cesare Davide Cavoni e il medico e bioeticista Renzo Puccetti, socio fondatore dell’associazione Scienza & Vita, placate finalmente le polemiche, sono tornati sul ‘luogo del misfatto’ e, l’uno rileggendo le pagine dei giornali e delle agenzie-stampa, l’altro interrogando la letteratura scientifica disponibile e gli studi più affidabili, hanno avviato un’indagine a 360 gradi su quel famoso viaggio per cercare di capire che cosa è andato storto nella comunicazione della Santa Sede e se dietro questo ulteriore, devastante attacco al Magistero petrino ci siano dei mandanti e dei colpevoli materiali.
Dopo la prefazione di Francesco Agnoli (pp. 5-7), che inquadra i termini generali della questione, contestualizzando opportunamente lo sfondo temporale del viaggio del Papa, nella prima parte del saggio ("Cronistoria tra media e realtà", pp. 8-56) Cavoni raccoglie i titoli delle prime pagine dei principali quotidiani, italiani e stranieri, che riportano le parole della famosa intervista di Benedetto XVI sull’aereo diretto in Africa. E già qui c’è da sobbalzare: il lavoro certosino del giornalista (impreziosito da una mole non indifferente di fonti d’archivio, tutte citate a piè di pagina) dimostra, articoli alla mano, che ben pochi si sono preoccupati di riportare per intero la domanda del giornalista francese e la risposta, data a braccio, dal Papa. E’ impressionante osservare come la rassegna comparativa delle citazioni – tra Le Monde, La Repubblica, El Pais, fino ad arrivare agli immancabili L’Unità e Liberazione – evidenzi un sostantivo o un aggettivo in più o in meno a seconda dell’impostazione culturale data al problema Aids, come se fosse normale ‘aggiustare’ le dichiarazioni di una persona, attribuendogli persino parole che non ha mai pronunciato, secondo le proprie convenienze ideologiche o politiche. Ma che cosa aveva detto veramente il Papa sull’aereo?
Cavoni, da buon cronista, non fa altro che trascrivere la conferenza stampa, disponibile peraltro on-line perfino su un canale come youtube, e metterla nero su bianco. Eccola di seguito, preceduta dalla domanda del giornalista Philippe Visseyrias dell’emittente televisiva francese ‘France 2’: "DOMANDA – ‘Santità, tra i molti mali che travagliano l’Africa, vi è anche e in particolare quello della diffusione dell’Aids. La posizione della Chiesa cattolica sul modo di lottare contro di esso viene spesso considerata non realistica e non efficace. Lei affronterà questo tema, durante il viaggio? Trés Saint Père, Vous serait-il possible de repòndre en français à cette question?’. Prima di rispondere, il Papa, sorridendo, rileva che Philippe Visseyrias parla bene l’italiano e dunque la risposta sarà in italiano. RISPOSTA – ‘Io direi il contrario: penso che la realtà più efficiente, più presente e più forte nella lotta contro l’Aids sia proprio la Chiesa cattolica, con i suoi movimenti, con le sue diverse realtà. Penso alla Comunità di Sant‘Egidio che fa tanto, visibilmente e anche invisibilmente, per la lotta contro l’Aids, ai Camilliani, a tante altre cose, a tutte le Suore che sono a disposizione dei malati….Direi che non si può superare questo problema dell’Aids solo con soldi, sono necessari, ma se non c’è l’anima che sa applicarli, non aiutano, non si può superarlo con la distribuzione di preservativi: al contrario, aumentano il problema. La soluzione può essere solo duplice: la prima, una umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l’uno con l‘altro; la seconda, una vera amicizia anche e soprattutto per le persone sofferenti, la disponibilità, anche con sacrifici, con rinunce personali, ad essere con i sofferenti. E questi sono i fattori che aiutano e che portano con sé anche veri e visibili progressi. Perciò, direi questa nostra duplice forza di rinnovare l‘uomo interiormente, di dargli forza spirituale e umana per un comportamento giusto nei confronti del proprio corpo e di quello dell‘altro, e questa capacità di soffrire con i sofferenti, di rimanere presente nelle situazioni di prova. Mi sembra che questa sia la giusta risposta, e la Chiesa fa questo e così offre un contributo grandissimo ed importante. Ringraziamo tutti coloro che lo fanno" (cit. a pp. 47-48).
E’ una citazione lunga ma essenziale – tanto più che in pochissimi l’hanno riportata fedelmente e per intero – per capire il pensiero del Papa, su cui in fondo ruota tutta la questione, e quello che effettivamente ha detto. Che cosa dice di così straordinario il Pontefice? In sostanza, ribadisce la dottrina morale di sempre sulla sessualità e sull’amore umano, argomentandola semmai con motivazioni di carattere pratico e non solo astratto. L’epidemia si diffonde perchè alla base dell’agire di molte persone – così il Pontefice – c’è una concezione errata della sessualità che produce comportamenti sbagliati, i quali, moltiplicandosi di contesto in contesto e da paese a paese, non fanno che aggravare ulteriormente il delicato problema. Intervenire a valle, distribuendo preservativi in modo indiscriminato, ha poco senso, dal momento che così facendo la gente continua a comportarsi seguendo l’istinto, abdicando alle proprie responsabilità, dimostrandosi incurante del bene altrui oltre che del proprio e sposando in definitiva la promiscuità come stile di vita. Fra l’altro, come in quei giorni afferma la professoressa Lucetta Scaraffia su Il Corriere della Sera, inascoltata, "i dati dell‘organizzazione mondiale della sanità, non della Chiesa, dimostrano che nonostante le insistenti campagne a favore dell’uso dei preservativi e la loro distribuzione massiccia, in nessun Paese africano c‘è stata una diminuzione dell’infezione, tranne che nella Nigeria, che è un Paese fortemente cattolico dove è ampiamente praticata la castità e la monogamia" (cit. a pag. 25). Che dire? Vengono in mente le parole del padre dei totalitarismi moderni, il filosofo tedesco Georg Friedrich Hegel (1770-1831), secondo cui se i fatti dovessero smentire le proprie teorie allora…"tanto peggio per i fatti". Non solo, intervistato sul punto, il neurologo italiano Gianluigi Gigli aggiunge che "in Thailandia, dove ci si è basati solo sul profilattico, la situazione dell’Aids è addirittura peggiorata" (pag. 28). Se ancora non bastasse, dall’Inghilterra antipapista, il ‘laico’ e progressista The Guardian fa pacatamente notare che il tasso di infezione in Africa negli ultimi anni è cresciuto insieme alla diffusione dei preservativi. Nel panorama dell’informazione italiana, invece, a parte Avvenire, studi interessanti li fornisce Il Foglio di Giuliano Ferrara che presenta dei dati secondo cui il tasso di infezione della capitale del Paese più ricco e avanzato del pianeta, cioè Washington, negli Stati Uniti, "è pari a quello dell‘Uganda (il tre per cento della popolazione sopra i dodici anni), a dimostrazione palese che la differenza la fanno i comportamenti a rischio e non la disponibilità dei profilattici" (pag. 30). Dovrebbe apparire quindi chiaro a tutti che la soluzione del problema non sta nell’avere pochi o tanti profilattici – certamente non difficili da trovare in una città come Washington – ma nei comportamenti disinvolti e libertini di chi li utilizza e di chi li diffonde (senza tralasciare il fatto che il rischio di contrarre il virus Hiv usando preservativi durante i rapporti sessuali, come riportato dalla rivista scientifica britannica ‘The Lancet’, è comunque nell’ordine del 15%). Ammettere questo, però, avrebbe significato – per i paladini esaltati della scienza e della tecnica moderna – dare in fin dei conti ragione al Papa e magari rivedere le proprie convinzioni radicate e le proprie concezioni del mondo. Decisamente troppo per le stesse persone che hanno ‘fatto’ la rivoluzione sessuale esplosa in Occidente nell’anno 1968 e ne hanno rivendicato sempre orgogliosamente la paternità.
Nella seconda parte ("Condom e Hiv: tra ideologia e realtà", pp. 61-89) Renzo Puccetti affronta invece l’aspetto più strettamente medico del caso partendo dagli ultimi rapporti specializzati delle Nazioni Unite. Il bioeticista conferma che il preservativo, contrariamente a quanto prometterebbe il nome, in realtà non preserva dalla siero-positivizzazione dal momento che i "dati indicano che dopo dieci anni più di una persona su dieci che ha rapporti con un partner positivo al virus contrae l‘infezione" (pag. 68). Nella lotta all’Aids, invece, un esempio di successo lo offre il caso dell’Uganda che è riuscita ad arginare l’epidemia promuovendo un programma di prevenzione basato su una strategia diventata celebre col nome di ABC (Abstinence, Be faithful, Condom, cioè, in italiano, astinenza, fedeltà, preservativo) laddove l’accento è posto sulle prime due azioni, ovvero: ritardare l’inizio dei rapporti sessuali, possibilmente fino al matrimonio, e perseverare in un rapporto monogamico con un partner sieronegativo. Per avere un’idea dell’approccio adottato dal governo, negli opuscoli ufficiali della campagna si potevano leggere cose come queste: "Il governo non raccomanda il condom come mezzo per combattere l’Aids" e, anzi, che "puoi comunque prendere l‘Aids anche se usi il preservativo" (pag. 72). La campagna, promossa convintamente e in maniera capillare, cominciò davvero a far cambiare i singoli comportamenti delle persone. Così, "nel periodo 1989-1995 il numero dei maschi che avevano rapporti al di fuori del partner regolare scese dal 34% al 14%, mentre tra le femmine la stessa percentuale passò dal 16 al 3%" (pag. 73). Il confronto che Puccetti propone con le altre nazioni vicine mostra l’esemplarità dell’esperienza ugandese, a tutt’oggi insuperata. Per concludere con le parole dei ricercatori dell’università di Cambridge, pubblicate sulla prestigiosa rivista ‘Science’, "queste evidenze suggeriscono che la riduzione del numero dei partner sessuali e l‘astinenza tra i giovani non sposati senza precedente esperienza sessuale (particolarmente nelle aree urbane e tra i maschi), piuttosto che l‘uso del preservativo sono i fattori rilevanti per la riduzione dell’incidenza dell‘Hiv" (pag. 73). Insomma, facendo parlare i dati della comunità scientifica in modo obiettivo e senza pregiudizi ideologici, alla fine si scopre che seguire la vituperata morale cattolica serve anche a fermare il virus dell’Hiv. Eterogenesi dei fini, certo, ma anche – da altro punto di vista – la conferma che la Verità di Cristo custodita e trasmessa ininterrottamente nei secoli dalla Cattedra di Pietro, ancorchè esigente, è sempre amica dell’uomo e della sua felicità autentica.
Resta l’amaro per un grande, e nonostante tutto ‘storico’, viaggio apostolico (volutamente?) frainteso, equivocato, ridotto alla chiacchiera da bar dai mezzi di comunicazione nostrani e alla fine completamente oscurato nelle sue parti più importanti: "tutto ci si sarebbe aspettato dal primo viaggio in Africa di Benedetto XVI, ma non che alla fine i viaggi sarebbero stati due. Quello vero e quello raccontato da gran parte dei media occidentali" (pag. 36).
Omar Ebrahime