La beatificazione del Male?
di Julio Loredo.
La notizia è rimbalzata in tutto il mondo e commentata per lo più sotto una luce positiva: mons. Helder Câmara, l’Arcivescovo rosso, l’araldo delle dittature comuniste, il promotore della rivoluzione in Brasile per imporre una dittatura popolare, il partigiano della Teologia della liberazione marxista, il sostenitore dell’aborto e del divorzio, il nemico della Humanae Vitae, corre verso l’onore degli altari, avendo il suo processo di beatificazione ormai superato la “fase romana”.
Si tratta di una di quelle “canonizzazioni massmediatiche” purtroppo sempre più comuni nella vita della Chiesa di oggi: si tende a dare più importanza alla ditirambica propaganda fatta attorno al personaggio dai suoi fan, che non alla sua dottrina e ai fatti concreti della sua vita, spesso trascurati o deformati, quando non addirittura esclusi. È come se in un processo penale mancasse il contraddittorio, e nel dettare sentenza il Giudice si basasse più sui commenti della stampa che non sugli atti.
Per l’italiano medio la figura di mons. Helder Pessoa Câmara (1909-1999), noto come Dom Helder[1], vescovo ausiliare di Rio de Janeiro, e poi arcivescovo metropolita di Olinda-Recife, è poco conosciuta. Le poche notizie che filtrano provengono da fucine propagandistiche tanto sbilanciate che non esito a definire ai limiti del ridicolo. Ricordo, all’epoca della sua scomparsa nell’agosto 1999, i media italiani gareggiando a chi gli conferiva il titolo più altisonante: “Profeta dei poveri”, “Santo delle favelas”, “Voce del Terzo mondo”, “Sant’Helder d’America” e chi più ne ha più ne metta[2].
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