Contro-canti. Per non omologarsi al pensiero dominante

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F. Agnoli- M. Luscia (a cura di), Contro-canti. Per non omologarsi al pensiero dominante.,  Edizioni Fede & Cultura , 2010, pp. 80, € 6

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INTRODUZIONE
“Contro-canti”: cioè pensieri, riflessioni, ragionamenti non in linea con il politicamente corretto. Non in accordo con le banalità dei luoghi comuni che assediano una cultura sempre più effimera e superficiale.
Abbiamo semplicemente voluto ragionare, liberamente, sulle questioni importanti: Dio, la vita, l‟amore, la fede, la morte, l‟aborto, l‟eutanasia…
Questa fatica, di analizzare la realtà, la cronaca, ciò che passa e ciò che resta, nasce da uno sguardo sull‟ambiente circostante curioso, speranzoso, dinamico; nasce da un‟amicizia all‟interno di un‟associazione, “Libertà e persona”, che da diversi anni cerca, come una voce fuori dal coro, di dire la sua, ma in accordo con una bimillenaria Tradizione che a noi non pare debba essere così facilmente cancellata in nome di un progresso spesso fasullo e di una mancanza di ideali e di valori, che sfocia sovente nel più triste nichilismo.

Buona lettura e buona riflessione.
Francesco Agnoli e Marco Luscia

CHIESA DEI SÌ E L’ASTICELLA ALTA
C‟è da alcuni di mesi in vendita un libro, La chiesa dei „no‟, scritto dal solito giornalista di “Repubblica”, in cui viene esposto un concetto molto semplice: l‟assurdità anacronistica del comportamento della Chiesa cattolica starebbe nei troppi “no” che essa propone nell‟ambito della dottrina morale. Non c‟è bisogno di leggere il volume, per comprendere che a monte di esso sta la totale incomprensione del messaggio di Cristo. In verità i “no” della Chiesa, assolutamente poco incline a sottoporre la verità al gioco dei sondaggi, sembrano tali a chi poco riflette sulla natura dell‟uomo, sempre alla ricerca di un equilibrio, rotto al principio della sua storia, tra le tensioni animali, impersonali e violente, e le esigenze della ragione e dello spirito. Sembrano “no”, oggi, a coloro che non amano mettersi in discussione, fare l‟esame della propria coscienza, come il buon vecchio Seneca, tutte le sere, per procedere, almeno un poco, nella faticosa strada della virtù.

Siamo abituati da alcuni secoli, infatti, ad un concetto tanto distorto di diritti dell‟uomo, che siamo ormai convinti che la parola “dovere” non esista neppure più e, soprattutto, che non c‟entri nulla con la nostra realizzazione. Eppure proprio la morale cristiana fu accolta all‟origine del cristianesimo, come un grande “sì” che generò una entusiastica accoglienza in molti che videro nella sequela di Cristo il modo per vivere pienamente e trascendere, nello stesso tempo, il momento presente, l‟attimo fuggente, per affermare la nostra durata immortale. La morale cristiana difatti ci ricorda ogni giorno cosa siamo, quale sia l‟immensa dignità umana, per impedirci di precipitare al livello delle bestie, nella servitù, come direbbe Dawkins, ai nostri geni egoisti.

La Chiesa nasce dunque dai “sì”: il fiat della Vergine, quello di Cristo, al calce amaro, e quello di Pietro, chiamato a donare la propria stessa vita nel martirio. Il “no” dei comandamenti, allora, è solo la parte preliminare, per così dire, dell‟atto virtuoso, sommamente libero, che nasce da una rinuncia, un “no”, appunto, per un “sì” più grande.

È come se la Chiesa tenesse sempre alta l’asticella, per ricordarci che abbiamo anche ali e non solo piedi appesantiti; rami e non solo radici; occhi dello spirito, e non solo della carne; desideri nobili e non unicamente appetiti capricciosi e istintivi. Ci addita l‟amore pieno, quando vorremmo godere solamente di quello carnale; e mentre ci sconsiglia le ghiande dei porci, ci dona il pane celeste. Ci libera dalla malinconia dei sensi, dalle passioni tristi, dalla frenesia del potere e del successo, dalla schiavitù del peccato e dell‟io prepotente, e nel contempo ci stimola al “sì” dell‟umiltà, del perdono, della misericordia, della carità…

Ad ogni “no” a ciò che vi è di più basso, oppone un “sì”, sonoro, squillante, affinché non sprofondiamo nel non-essere, nell‟accidia, nell‟istinto di morte. In questo la Chiesa ha una sua pedagogia: conosce nel contempo la bassezza dell‟uomo e la sua grandezza, il nostro “no” e il nostro “sì” alla vita, il nostro essere quasi sospesi tra l‟Essere e il nulla. Per questo il “no” precede il “sì”, l‟Antico Testamento anticipa il Nuovo, il timore servile di Dio, l‟amore filiale per Lui. Perché, resi consapevoli di ciò che ci impedisce di essere veramente uomini, di ciò che ci tiene legati a terra, possiamo intraprendere un cammino positivo, creativo, originale, di libertà e di crescita.

Mi spiego con un esempio: il “no” al divorzio. Perché questa posizione, che oggi appare così rigida, nel passato, invece, segnò la più grande liberazione della donna dall‟arbitrio e dalla prepotenza dell‟uomo? Perché il matrimonio indissolubile è l‟assunzione di un impegno, di un giogo dolce e leggero, che ci rende più uomini, più completi, più felici, più sereni. La Chiesa, per citare Giacomo Balmes, conosce a fondo quello che siamo: di fronte alla passione distruttiva, che può travolgere i sensi e la libertà dell‟uomo più fedele, preferisce frenarla da principio, piuttosto che lasciarla divampare; soffocarla, chiudendole ogni porta, piuttosto che concederle terreno; lasciarla morire di inedia, piuttosto che permettere che ingrossi sempre più, sino a divenire insaziabile. Come con un giocatore d‟azzardo: non è efficace contrattare con lui, permettergli di giocare, ma solo in certi giorni. Non si otterrà nulla: il giocatore dilapiderà il suo patrimonio, e la passione lo divorerà piano piano.

Come il gioco genera gioco, così il divorzio genera divorzio. È un fatto ormai constatato in tutte le società moderne. Per questo la Chiesa non lo accetta, come principio, perché la sua sola possibilità è come un grimaldello, è l‟“occasione che fa l‟uomo ladro”: basta a scardinare un matrimonio solido, in un momento di difficoltà; ad annichilire del tutto la volontà, quando essa è indebolita; a scoraggiarci e ad indurci a cambiare strada, quando invece si dovrebbero stringere i denti, per ripartire lungo la via intrapresa. Sembra solamente un divieto, ma è una proposta, un‟affermazione: amare per sempre si può! È possibile, è umano, è bello, ed è anche doveroso.

Il principio, l‟indissolubilità del matrimonio, nella sua apparente durezza, è il bastone offerto alla nostra fragilità, per tenerci in piedi anche quando staremmo per cadere. È il “no” che dobbiamo dirci, quando giungono lo scoraggiamento, l‟ira, la passione cieca. Devi, perché puoi. È nella nostra natura la durata dell‟amore: farlo crescere, coltivarlo, vivificarlo ogni giorno. Ogni giorno dirgli un nuovo “sì”, impedendo che il tempo, la trascuratezza, l‟incostanza, l‟egoismo, la freddezza, lo uccidano.


Francesco Agnoli

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L’età del Papa scomodo. Chiesa e politica negli ultimi tre anni

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S. FONTANA, L'età del Papa scomodo. Chiesa e politica negli ultimi tre anni. Cantagalli 2011, pp. 248, Euro 16,00.

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    Quando si tratta di affrontare la delicata questione 'Chiesa e politica' non sono molti, soprattutto nel nostro Paese, gli studiosi in grado di offrire delle riflessioni scevre da pregiudizi ideologici e da letture faziose, o parziali, della realtà. Per comprendere la vita della Chiesa, al cui vertice visibile vi è quel Pontefice 'eletto' – servendosi di uomini – dalla Terza Persona della Santissima Trinità, lo Spirito Santo, bisogna d'altronde seguirla, possibilmente dall'interno, e non limitarsi ai 'lanci d'agenzia' su internet o agli 'strilli' dei giornali alla moda. E' necessario conoscere poi adeguatamente la ricca storia, bi-millenaria, del Papato, leggere i documenti e gli interventi che il Magistero produce di volta in volta, in primis per la salvezza delle anime, in ogni epoca storica. Occorre insomma investire del tempo e delle risorse, magari mettere in discussione le proprie idee radicate, o perfino se stessi. Il professor Stefano Fontana, direttore del benemerito e sempre aggiornato Osservatorio internazionale Van Thuan sulla Dottrina sociale della Chiesa (www.vanthuanobservatory.org), del settimanale diocesano triestino Vita Nuova (www.vitanuovatrieste.it/) e consultore del Pontificio  Consiglio Giustizia e Pace è uno dei pochi a fare eccezione. L'anno scorso, per i tipi della Cantagalli di Siena, aveva dato alle stampe una impegnata riflessione su quella crisi diffusa di identità e, quindi, di senso (www.totustuus.it/modules.php?name=News&file=article&sid=3515) che sembra una delle 'cifre distintive' della nostra epoca e che sta causando un inquietante, quanto inedito, fenomeno sociale: quello della perdita della vocazione a ogni livello, tanto personale quanto sociale (e non solo in ambito ecclesiastico). Questa volta Fontana sposta invece l'analisi sul versante ecclesiale e in particolare sul rapporto Chiesa-politica (in Italia e all'estero) concentrandosi sugli ultimi tre anni di predicazione, di missione e di governo di Benedetto XVI.
 

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Il diritto e i diritti dell’uomo

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Michel Villey, Il diritto e i diritti dell'uomo, Editore Cantagalli, EAN9788882724436, Pp. 208, Euro 20,00

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“I diritti dell’uomo sono irreali. La loro impotenza è evidente. È bellissimo vedersi promettere l’infinito; ma poi, come stupirsi se la promessa non è mantenuta!”
Muovendosi in direzione opposta alla grande popolarità riscossa dal concetto di “diritti umani”, Michel Villey contesta l’idea moderna che anima le Dichiarazioni Universali e attraverso uno studio critico del linguaggio ne individua errori e ambiguità.  
Se il linguaggio condiziona il pensiero, è compito della filosofia mettere in discussione le espressioni di uso comune per smascherare equivoci e fare chiarezza.  
Per la sua coraggiosa battaglia, Villey sceglie il metodo storico, riscoprendo le radici del concetto di diritto nell’antica Roma e nei classici del pensiero latino, da Cicerone ad Aristotele, primo filosofo del diritto in senso stretto, fino al Corpus Iuris Civilis di Giustiniano, in cui ritrova l’origine del legame tra l’idea del diritto e quella di “giustizia”.
L’errore dei sostenitori dei diritti umani sta per Villey nel mescolare la natura generica dell’uomo, l’uomo al singolare, e il concetto più ampio di diritto, il quale invece ha bisogno di entità concrete a cui riferirsi e che sancisce un rapporto, una relazione tra soggetti.
Grazie a un’attenta analisi etimologica e strutturale dei due termini in gioco il filosofo francese dimostra la contraddizione che sorge dal loro arbitrario accostamento e invita a un ripensamento critico della concezione moderna di diritto.
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Michel Villey (1914-1988)
Storico francese del diritto, specialista di diritto romano. Ha insegnato alle Università di Strasburgo e di Parigi. Con Henri Batifol ha fondato a Parigi il Centro di Filosofia del diritto ed ha diretto gli “Archives de Philosophie du droit”. Tra le sue maggiori opere: Philosophie du droit. Définitions ed fins du droit. Les moyens du droit. (Dallonz, 1986); Critique de la Pensée juridique moderne (Dalloz, 1973); La formazione del pensiero giuridico moderno) Jaca Book, 1986).
 

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Mao: la storia sconosciuta

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Jung Chang e Jon Halliday, Mao la storia sconosciuta,editore TEA, ISBN-13: 978-8850215249, 960 pagine, Euro 12

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Quando i comunisti mangiavano (per davvero) i bambini

La sinistra italiana ha il dispiacere di vedere fatti a pezzi i miti su cui si regge la sua stessa esistenza e i ritratti che continuano a campeggiare su bandiere e magliette che si vedono in ogni sua manifestazione. Prima Fidel Castro, ora Mao Tse-tung (1893-1976). Quarant'anni fa, nell'agosto 1966, cominciava in Cina la rivoluzione culturale, cioè la distruzione sistematica della cultura cinese. Tre milioni d'intellettuali e membri di gruppi sociali "sospetti" furono uccisi, e cento milioni di cinesi incarcerati o deportati. Bastava avere in casa un libro non marxista per rischiare la deportazione o peggio. Il clima è stato rievocato a fosche tinte anche da quotidiani di Centrosinistra. Il crimine di leso Mao Tse-tung è stato subito denunciato sui giornali della sinistra radicale, e l'onorevole Oliviero Diliberto – prendendosi una rara pausa dai suoi impegni di propagandista degli Hezbollah – ha invitato a riconoscere anche quanto di buono fu fatto da Mao in Cina.

A Diliberto si consiglia allora la lettura del capitolo sulla rivoluzione culturale della mirabile biografia Mao la storia sconosciuta (Longanesi, Milano 2006) della grande scrittrice cinese Jung Chang, scritta in collaborazione con Jon Halliday – una lettura obbligatoria nonostante la mole (960 pagine) per chiunque voglia capire il comunismo cinese ­-, che rimanda a un'opera, purtroppo mai tradotta in italiano, del dissidente cinese Zheng Yi, Scarlet Memorial: Tales of Cannibalism in Modern China, pubblicata nel 1996 negli Stati Uniti dall'autorevole Westview Press.

Dopo la morte di Mao, senza troppa pubblicità, alcune commissioni d'inchiesta indagarono sulle atrocità della rivoluzione culturale. Una lavorò nel 1983 sulla contea di Wuxuan. Lo stesso Zheng Yi, un giornalista comunista che aveva militato nelle Guardie Rosse, fu inviato da un giornale di partito di Pechino con lettere di accreditamento ufficiale che invitavano le autorità locali a mettersi a sua disposizione per un'inchiesta. All'epoca, Deng Xiao Ping (1904-1997), che al tempo della rivoluzione culturale era stato estromesso dalla dirigenza del partito, malmenato e mandato a lavorare in una fabbrica di trattori di provincia, dove era sfuggito per miracolo a un tentativo di assassinio, era diventato il padrone della Cina e aveva interesse sia a screditare la "banda dei quattro" che aveva promosso gli eventi del 1966, sia a far filtrare qualche cauta critica allo stesso Mao Tse-tung che non lo aveva certamente protetto.

Regnante Deng Xiao Ping, s'indaga sugli eccessi della rivoluzione culturale e migliaia di militanti che si sono resi colpevoli di atrocità sono incriminati. Il lavoro dei tribunali sembra serio, e molti vedono una franca indagine su questo orribile passato come il preludio all'inevitabile democratizzazione. Ma la classe dirigente del Partito Comunista Cinese e lo stesso Deng la pensano diversamente. La repressione del movimento degli studenti in Piazza Tiananmen nel 1989 segna la fine della breve primavera di speranze democratiche in Cina.

Dopo Tiananmen, il regime si chiude su se stesso. Su Mao, responsabile secondo Jung Chang di settanta milioni di morti, si applica la "regola delle dieci dita", che sembra usata in Italia anche da Diliberto e compagni: nove dita, insegnano i libri di scuola cinesi, lavoravano per il bene del popolo, una sfuggiva al controllo e deviava. Come ricordano Roderick MacFarquhar e Michael Schoenhals nella loro recente summa storica sulla rivoluzione culturale, Mao's Last Revolution (Harvard University Press, Cambridge [Massachusetts], 'altra opera indispensabile nonostante la mole (oltre 600 pagine) – gli storici cinesi e stranieri che indagano sulle atrocità, fino ad allora incoraggiati dal regime di Deng, improvvisamente trovano ostacoli. Gli archivi, che si erano miracolosamente aperti, si chiudono. Le istruttorie sono concluse frettolosamente e le condanne sono sorprendentemente lievi: meno di cento condanne a morte in tutta la Cina – un Paese che ha il record di pene capitali nel mondo, applicate anche a reati che non implicano la perdita di vite umane – per i massacri di massa della rivoluzione culturale, pene da cinque a quindici anni per i responsabili di autentici eccidi.

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Una culla per Medjugorje

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Rao Cassarà Rosa, Una culla per Medjugorje, Chi salva una vita salva l’intera umanità, Fede & Cultura  2007, ISBN-13: 9788889913574, 64 p., Euro 10,00

 

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PREMESSA

Il desiderio di andare a Medjugorje era maturato in me da quando avevo letto uno dei tanti messaggi della Madonna che appare ormai dal 1981 ai veggenti locali. Nel dare questo messaggio, la Madonna si presentava come se portasse un peso enorme che a stento riusciva a reggere tra le braccia e che Le incurvava le spalle. La Vergine aveva spiegato ai veggenti che erano gli aborti compiuti nel nostro tempo in ogni parte del mondo: costituivano un macigno agli occhi di Dio, così insostenibile da costringerla a chiedere a tutti gli uomini di buona volontà di pregare e di difendere la vita nascente, minacciata di morte. Conservo ancora quel messaggio. Capii subito che quella di Medjugorje era la "mia" Madonna, perché avrebbe compreso la mia sofferenza e il senso d

’impotenza che continuo a provare di fronte alla tragedia e all’ingiustizia sociale dell’aborto volontario. La invocavo tante volte e custodivo la Sua immagine. In tanti anni d’impegno a difesa della vita nascente, avevo chiesto continuamente a Maria di aumentare in me la fortezza, fisica e spirituale, e di darmi il discernimento per comprendere la differenza fra testardaggine, vanità, tenacia e volontà di Dio. La mia fiducia era stata ripagata con una serie di occasioni e coincidenze che, casuali ad occhi scettici, per me erano state provvidenziali. Benché non ami i pellegrinaggi, quasi all’improvviso decisi di recarmi a Medjugorje. Mi erano accaduti dei fatti strani, molte emozioni mi avevano stremata, allora consegnare a Maria il risultato di tanta fatica era il solo modo per chiudere un’esperienza forte come quella realizzata negli ultimi anni. La solitudine è stata la cosa che più mi ha fatto soffrire in questa avventura. Condivisione e collaborazione saltuarie mi hanno incoraggiato a proseguire, ma più frequenti sono state le sollecitazioni a demordere, a smettere di lottare, a chiudere definitivamente l’argomento "Culla". Qualcuno mi ha fatto notare che parlo della Culla come se fosse una "mia creatura", forse non a torto, a causa del mio coinvolgimento emotivo. Infatti, l’idea della Culla è passata dalla mente e dal cuore di una madre all’altra, in una catena di solidarietà che ne ha consentito la realizzazione. Ho deciso di raccontare questi episodi per rendere merito a chi ha collaborato e perché sento il dovere di testimoniare e ringraziare la Vergine Maria per la Sua intercessione . Spero che la storia della Culla, che ho voluto raccontare interamente per la prima volta, e la mia testimonianza del pellegrinaggio servano a far riflettere sul progetto che Dio ha su ciascuno di noi.

 

 

INTRODUZIONE

Un viaggio, un itinerario in pieno svolgimento, per il quale, anzi, non s’è che all’inizio. Di questo si tratta in questo "diario": si volteggia dagli asfittici ed oppressivi tuguri della burocrazia e della cultura nichilista verso una luce radiosa. Si sfiorano il duro splendore d’un cielo d’un cobalto infinito, l’asprigno sapore d’una terra violata, bagnata dall’odio, le siepi di croci di Mostar. Più stupore saprà istillare il racconto di Rosa Rao Cassarà, meno sentirà lo "smacco" narrativo il lettore avvezzo a troppo pensiero debole postmoderno. Egli, da Palermo, si ritroverà nei Balcani, per poi dunque tornare in Italia, rinnovato nella luce. Perché la storia della culla, d’una vocazione dall’Alto a compiere un assurdo agli occhi del mondo, le vicende della protagonista non seguono la miope logica dei tratti meramente umani. Ma Rosa non indulge per nulla ad una devozione sdolcinata, tutt’altro. Coglie la ragione come metodo, per inchinarsi al Mistero laddove esso si sprigiona con forza, dolcezza, imprevedibile come un piovasco infine calato sull’arsura terrestre. Non si potrà così far null’altro se non convenire che le sezioni in cui s’articola tale "diario"rispondono ad una ferrea logica. Che, se fosse qui svelata, tradirebbe fin troppo della sorpresa che si cela in queste pagine. Eppure v’è di più. Di ritorno dalla terra mariana, cosa resta? Un vago ricordo, immancabilmente destinato a sbiadirsi? Nient’affatto! E’ scritto, ma mi preme ribadirlo pure in questa sede. Il "miracolo" vissuto da Rosa nella sua pervicace, a tratti disperata, solitaria, troppo spesso incompresa battaglia, fiorisce nella speranza. Nella certezza che un impegno efficace per risolvere i drammi sociali del consorzio umano fonda la propria scaturigine nella tutela di ciò per cui ogni uomo è uomo. Ossia la vita.

Senza un concreto attivarsi in tal senso, le fondamenta della convivenza umana sono destinate ad implodere, irreparabilmente minate nel loro asse portante. Nell’attimo stesso in cui si decreta che anche una sola persona debba (o possa) essere messa a morte, la società degrada a mera congregazione di "Certi Esseri Umani", ponendo in se stessa un’esiziale contraddizione, ed ingenerando al contempo un’atroce disuguaglianza di fatto. Quando altri uomini si reputano legittimati a disporre dell’esistenza dei loro simili, si gettano le basi per qualcosa che, più o meno raffinato, non si rivela che una barbarie: la legge del più forte, del più prepotente. Guarda caso, ciò è perpetrato in modalità oggigiorno sempre più subdole: con l’aborto, l’omicidio è "nascosto", sottratto alla vista, contrabbandato sotto le mentite spoglie d’un solidarismo mefistofelico; ai malati, invece, si propone il trapasso con il carillon della compassione più bieca, e così via. Si tratta invece qui di squarciare il velo di menzogna ch’avvolge tali crimini. E Rosa, con il Movimento per la Vita, ci spinge ad urlare che "Il Re è Nudo". Che la vita va salvaguardata. Fuori da ciò, v’è solo l’omicidio, lo sterminio. E’ straordinario che un tale percorso, da Medjugorije, dal cuore dei martoriati Balcani, piombi nei nostri salotti. E ci convinca che su questo terreno sta il punto di convergenza più forte tra chi, come Rosa, ha il dono della fede e chi, da laico, si batte per l’affermazione dell’assoluta intangibilità della vita umana. Per sottrarsi finalmente, al giogo opprimente ed oscurantista del fondamentalismo laicista. Perché la vita umana è l’in sé , l’essenza, la pietra angolare della società stessa. Pietra di paragone, non pietra d’ inciampo.

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ACS: Perchè mi perseguiti?

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Aiuto alla Chiesa che soffre, Perché mi perseguiti? Libertà religiosa negata, luoghi e oppressori, testimoni e vittime, Ed. Lindau, pp. 176; ISBN: 978-88-7180-934-2 , euro 10,00

 

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Al 70% della popolazione mondiale è negata la libertà religiosa, di coscienza e di pensiero. È quanto si apprende da «Perché mi perseguiti? Libertà religiosa negata, luoghi e oppressori, testimoni e vittime», recentemente pubblicato dall’Opera di diritto pontificio “Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS). Il volume – edito da Lindau – raccoglie i dati presentati nel «Rapporto 2010 sulla Libertà religiosa nel mondo» (realizzato ed edito da ACS che lo ha presentato alla stampa nel novembre scorso), ma senza limitarsi ad esserne una mera sintesi. Si tratta infatti – come spiega il direttore di ACS-Italia, Massimo Ilardo – «di un vademecum sulla libertà religiosa nel mondo e sul diritto fondamentale – troppo spesso ignorato, violato o rimosso – di credere, di vivere e di manifestare la propria fede o credenza, senza discriminazioni».
Non solo dati, dunque, ma anche e soprattutto riflessioni in linea con l’importante compito di formazione al valore della libertà religiosa come diritto naturale dell’uomo, da sempre svolto dall’Opera. Tale diritto è oggi negato in molte parti del mondo a fedeli di ogni credo: cristiani, ebrei, indù, musulmani, buddisti o diversamente credenti. E sbaglia chi ritiene che il liberale Occidente sia al riparo da forme di restrizione o emarginazione delle fedi, come testimonia, ad esempio, la norma francese che proibisce alle ragazze musulmane di indossare il velo, ai cristiani di indossare croci troppo visibili e ai sikh il turbante.
Il Sussidio è rivolto a chi desidera conoscere ed essere informato su questo tema, a chi svolge un servizio di formazione e catechistico nelle parrocchie, nelle scuole pubbliche e private, nei seminari e nelle università, ma anche e soprattutto agli operatori e ai professionisti della comunicazione «ai quali – spiega Ilardo – spetta il diritto-dovere di informare, aiutare a capire, offrire opportunità e momenti di riflessione, di dialogo e di coinvolgimento aperti a tutti, senza preclusioni o esclusioni». La premessa – dal significativo titolo «Perseguitati perché testimoni – Libertà di credere: chi non la vuole?» – fornisce una panoramica mondiale delle negazioni della libertà religiosa, esponendo in box riassuntivi i risultati di alcune ricerche; secondo i dati forniti da “Amnesty International”, da almeno due decenni il cristianesimo sembra essere la religione più perseguitata del mondo. I cristiani messi a morte ammontano a ben 12.692. Di questi, 5.343 sono sacerdoti e seminaristi, 4.872 religiosi e religiose, 126 vescovi e 2.351 laici.
Nella Sezione «Libertà religiosa… Cioè. Ricadute e conseguenze a livello individuale e comunitario» sono elencate le diverse forme – assai concrete – in cui questo diritto si declina sia a livello individuale che comunitario. Tra di esse c’è la libertà di convertirsi a un’altra religione, quella di poter pregare e disporre di un luogo di culto. I due capitoli successivi sono estremamente legati. Se «Testimonianza e martirio – Gesù, Parola di Dio, radice della nostra fede» sottolinea la valenza spirituale e comunitaria attraverso citazioni tratte dal Vecchio e Nuovo Testamento, lo spessore “spirituale” e carismatico che il tema del rispetto della libertà religiosa ha per “Aiuto alla Chiesa che Soffre” fin dagli anni ’60, è messo in evidenza nella parte intitolata «Cristiani perseguitati e martiri. L’amore di Dio, fondamento della speranza che è in noi», contenente alcuni frammenti dalle «Direttive Spirituali» del fondatore di ACS, padre Werenfried van Straaten. «La nostra Opera – scrisse in una delle lettere che per oltre 50 anni hanno aperto il Bollettino-ACS «L’Eco dell’Amore» – vi offre la possibilità di condividere il dolore di Gesù. Tramite noi, siete in grado di alleviare la Sua Via Crucis, come Veronica e Simone di Cirene, e di stare ai piedi della Sua croce, come Maria e Giovanni. Non sottraetevi a questo compito. Perché nulla è più terribile del disinteressarsi di Gesù sofferente nella Sua Chiesa. E nulla è più prezioso del consolare Gesù abbandonato nei Suoi fratelli perseguitati».
 
Tratte dall’Edizione 2010 del Rapporto ACS sulla libertà religiosa nel mondo, chiude il Sussidio una selezione di 21 Schede di Paesi in cui le persecuzioni sono più diffuse, acute e violente e dove ACS è presente con Progetti a sostegno della Chiesa locale. Dall’Afghanistan al Vietnam le violazioni alla libertà religiosa sono fotografate anche attraverso gli spazi intitolati «Testimoni, volti, avvenimenti». In quello dedicato all’Egitto sono pubblicati alcuni passaggi del discorso pronunciato da Giovanni Paolo II nel 2000 durante il suo Pellegrinaggio al Monte Sinai; negli altri ci sono testimonianze di uomini e donne di fede che, spesso a costo della vita, hanno operato nei Paesi sui quali è pubblicata la Scheda. Sono ricordati padre Angelo Maggioni, missionario del PIME ucciso nel Bengala, il vescovo cambogiano Joseph Chhmar Salas, morto di sfinimento e di fame nella pagoda di Teuk Thla trasformata in ospedale, l’eritrea Hana Hagos Asgedom arrestata due anni fa insieme ad altri 15 studenti dell’Università di Mai-Nehfi per aver partecipato a un gruppo di studio sulla Bibbia e morta in carcere il 24 gennaio 2010.

 

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Il nuovo anticristianesimo

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René Rémond, Il nuovo anticristianesimo, Lindau 2007, ISBN: 978-88-7180-646-4, pp. 128, euro 13,00

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IL LIBRO
L’inizio del nuovo millennio non è stato facile per il cristianesimo.
Se certe forme di anticlericalismo del passato sono ormai definitivamente tramontate, una nuova leva di detrattori e di critici è apparsa all’orizzonte, fomentando una violenta polemica anticristiana, che riscuote un certo consenso presso il grande pubblico.

È un’offensiva che non proviene più dagli ambienti laici tradizionali, ma da pensatori più iconoclasti, che vogliono dar vita a una sorta di «ateismo » militante.
In questo libro-intervista René Rémond riflette, insieme a Marc Leboucher, sulle motivazioni di una tale ostilità e risponde alle obiezioni di questi odierni accusatori.
La sua è un’analisi lucida e precisa, che prende in esame, uno dopo l’altro, tutti gli attacchi rivolti al cristianesimo e al clero e fa emergere le diverse posizioni di laici e cattolici su delicate questioni di grande attualità, quali la liberalizzazione dei costumi, i PACS, i movimenti gay e femministi, il progresso scientifico e le conseguenti questioni di bioetica, fino ad arrivare alla Costituzione europea

 

René Rémond, francese, storico della politica scomparso da poche settimane, nel suo ultimo libro-intervista realizzato con Marc Leboucher, dal titolo Il nuovo anticristianesimo, ha ben focalizzato l'attenzione su come l'inizio del nuovo millennio non coincida affatto col profilarsi di un'epoca tranquilla per il cristianesimo, i cui nuovi detrattori fomentano polemiche ed attacchi violenti su più fronti. Affetti da una sorta di iconoclastia, non pochi filosofi, intellettuali, politici, gruppi di pressione, lobbies e non di rado movimenti politici stanno da un po' di tempo a questa parte gettando le basi per una specie di «ateologia» militante, con un approccio volto ad enfatizzare l'edonismo libertario di stampo neo-positivista e neo-pagano.

L'ostilità al cristianesimo è ben evidente nell'accusa rivolta principalmente alla religione cattolica di voler dettare legge in fatto di costumi, etica e morale sia a livello pubblico-culturale che privato-comportamentale. Nella rivendicazione di una libertà totale per l'individuo, e nella pretesa di non avere alcun limite di fronte a ciascun proprio desiderio, si va manifestando la contrarietà a qualunque forma di intervento del magistero della Chiesa cattolica o della religione nella sfera pubblica. Ciò si traduce, in buona sostanza, in una contestazione nei riguardi di qualsiasi ingerenza di un'istanza etico-morale nella definizione delle norme sociali e legislative, dei modi di pensare e dei criteri orientativi comportamentali. Dopo l'aborto ed il divorzio, la lotta dei gruppi laicisti, relativisti e nichilisti si dirige ora verso la promozione valoriale e sociale, fra le altre cose, delle unioni di fatto, dei matrimoni omosessuali e della possibilità per gay e lesbiche di adottare bambini, della fecondazione artificiale e della ricerca scientifica sugli embrioni umani, della clonazione umana, dell'eutanasia, della droga. Per non parlare poi del filone esoterico, gnostico, occulto e new-age tanto in voga oggi, per il cui tramite si vogliono più o meno direttamente scardinare i punti fermi della dottrina cristiana, minandola sin dalle fondamenta e provando ad iniettare germi di confusione e smarrimento nel grande pubblico. Il cristianesimo è tacciato, in altri termini, di essere portatore di atteggiamenti ed approcci oscurantisti, reazionari, medievali, omo-fobici ed anti-scientifici.

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22 anni nel gulag dei Castro

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\"\"Armando Valladares, Contro ogni speranza – 22 anni nel gulag delle Americhe dal fondo delle carceri di Fidel Castro, Ed. Spirali, Pagine 400, Euro 25,00

 

Sconto su: http://www.theseuslibri.it


Abbiamo sentito degli stermini nella russia comunista. Ci hanno raccontato degli stermini nella Cina Di Mao Tze Tung. Forse non sappiamo nulla della Cambogia, con i Kmher rossi, ma sicuramente conosciamo la storia vietnamita, anche se forse un po'… "americanata" attraverso i film.
 
Ma chi ha mai sentito parlare di Cuba? La storia dei missili nucleari provenienti dall'URSS che hanno paralizzato popolazioni con il terrore di una guerra nucleare forse è conosciuta. Ma è successo anche qualcos'altro. Prima. 
Armando Valladares era una persona come tante. Lavorava per lo Stato (dipendente del Ministero delle Comunicazioni), era un bravo cittadino e un cristiano praticante. Un giorno alcuni poliziotti arrivarono a casa sua con un mandato di perquisizione. Dopo essersi assicurato che non era armato (cosa che invece avevano sostenuto i mandanti) cercarono in tutta la casa, senza trovare nulla di sospetto.

"Lo portiamo via per un rapido interrogatorio, le garantisco che lo riaccompagneremo noi fra un'ora" disse il capo alla povera madre, già avanti con l'età. La madre e la sorella lo aspettarono, ma lui non è più tornato.
 
Accusa: controrivoluzionario.
Prove: nessuna.
Pena: 30 anni di carcere (o ergastolo, non viene citato nel libro).
Motivo: i cristiani sono contrari alla rivoluzione, quindi controrivoluzionari e pertanto pericolosi (inoltre fu accusato di innumerevoli crimini tra cui sabotaggio, ma di cui non si aveva alcuna prova: quando chiese dove avesse effettuato i sabotaggi, nessuno fu in grado di rispondergli).
 
Dopo che fu incarcerato dissero alla stampa che era un agente della CIA e vennero organizzate manifestazioni che chiedavano la sua morte.
 
Fece il giro delle prigioni cubane, ma non in ottanta giorni, come forse sperava. Impiegò 22 anni.
 
Dopo alcuni difficili mesi di carcere, cominciarono a proporgli la riabilitazione: doveva accettare il comunismo e tutte le idee. Lo Stato non poteva accettare che ci fossero prigionieri politici, e infatti la notizia non fu mai confermata dal governo, per cui tentarono in ogni modo di far accettare il comunismo ai detenuti. E proprio in tutti i modi… Ma lui non cedette mai. Sottoposto assieme a migliaia di compatrioti a torture inaudite, decise di mantenere salda la sua fede fino alla fine (racconta di come il suo rapporto con Dio sia riuscito a salvarlo e a renderlo deciso a mantenere i suoi ideali).
 
Ma per noi, che abitiamo in case riscaldate, con l'acqua corrente e anche calda (depurata, si può bere anche dal rubinetto), letti comodi con lenzuola sempre pulite e profumate, vestiti belli lavati dalla lavatrice e bagni con tutti i confort, forse non riusciamo a immaginare neanche le condizioni di vita di quegli uomini: non poveracci, perchè un'umanità come quella è dfficile trovarla nel nostro mondo. Lasciato marcire in camere talmente affollate che non ci stavano tutti sdraiati, senza finestre, lasciati nudi per gran parte del tempo, anche (specialmente) in inverno, senza potersi lavare, con vermi e ratti che, affamati, affollavano le fogne e, spinti dalla fame, giungevano ad attacare i detenuti. Acqua razionata (un litro al giorno per bere e lavarsi, difatti non si lavavano) e cibo assolutamente insufficiente e di qualità… non adatta: venivano serviti cibi destinati agli allevamenti oppure scaduti, cotti male in condizioni igieniche terribili. Cosa faremmo noi se trovassimo un topo nella minestra?
 
E questo non è ancora nulla in confronto alle azioni volte a convincere i detenuti politici (quelli che rifiutavano la rivoluzione, senza aver commesso crimini particolari) ad accettare la riabilitazione. Soldati armati di baionette, fili elettrici (senza copertura…) bastoni e fucili, catene e quant'altro, quando avevano voglia (oppure quando veniva imposto loro da psicologi che studiavano le reazioni dei detenuti) aprivano una cella e picchiavano il detenuto, finchè questi sveniva. Dopo i pestaggi, solo i più gravi venivano curati. I prigionieri erano lasciati in condizioni tali da vivere sul filo della morte. Poi torture, quelle sperimentate dai comunisti dell'URSS e poi trasmesse ai compagni cubani, in particolare psicologiche: cose che costarono parecchi suicidi e gravi danni celebrali (una delle varie "cose" era quella di mettere prigionieri nelle stesse celle di pazzi, in modo che impazzissero anche loro, e che chiedessero così la riabilitazione, oppure il fatto di simulare l'arrivo dei soldati per il pestaggio, senza che poi entrassero nella cella per davvero, il che provocava terrore contino nei prigionieri, che prima o poi, speravano gli aguzzini, sarebbero capitolati).
 
L'unica arma dei detenuti era lo sciopero della fame: numerose volte Valladares ricorse a questo espediente, arrivando così a fare uno sciopero di 46 giorni (forzato: dopo alcuni giorni gli negarono gli alimenti), dopo il quale fu costretto alla sedia a rotelle. Anche un suo amico, dopo averne intrapreso uno, fu privato del cibo: fu lasciato morire di fame, cosa che accadde dopo 56 giorni.
 
Molte altre cose ancora più terribili sono narrate in questo libro, cose che purtroppo erano già accadute durante Nazismo e Fascismo, e poi con il Comunismo in modo ancora più evidente. Per sapere di più conviene leggerlo. E' un po' lungo, ma ne vale la pena.
 
Ma una persona mi faceva poi riflettere riguardo a una cosa. Come mai sono successe queste cose? Che cosa ha portato alla formazione di organizzazioni (se si possono definire così) volte a reprimere uno o tanti pensieri diversi dall'organizzazione stessa?
 
E' abbastanza evidente come tutto nasca principalmente nel Novecento (cosa non del tutto vera: basti pensare al caso della rivolta della Vandea, in cui una popolazione fu quasi completamente sterminata durante la rivoluzione francese, per il fatto di non averla accolta). Che cosa c'era prima, che cosa ha portato a tali nefandezze? S

critto da Francesco Paludetto Lunedì 27 Settembre 2010 00:00 Questo articolo è stato letto 411 volte
http://www.cogitoetvolo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1154:contro-ogni-speranza&catid=17:libri-qmustq&Itemid=162

 

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Guerra contro Gesù

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Antonio Socci, La guerra contro Gesù, Rizzoli 2011, ISBN: 17037365, pag. 448, Euro: 19,90

 

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Recensione di Rino Cammilleri apparsa sul mensile Il Timone.

 

 

Antonio Socci è, con Vittorio Messori, l’unico apologeta cristiano che scrive bestsellers venduti in centinaia di migliaia di copie. La sua ultima fatica, La guerra contro Gesù (Rizzoli), certo scalerà le classifiche (se non le avrà già scalate quando questa puntata del Kattolico vedrà la luce). Oh, stavo dimenticando gli ultimi due papi, anche loro apologeti e anche loro bestselleristi.

Il vostro Kattolico ha l’età per ricordare i tempi in cui certe cose circolavano come il samizdat in un gruppo di carbonari da cui gli stessi preti prendevano le distanze.

A me capitò addirittura di essere scacciato dal sagrato di una chiesa perché volantinavo contro il divorzio: il parroco chiamò i vigili (e poi fu fatto vescovo).

 

Molta strada è stata fatta da allora e ringraziamo Dio per questo.

Ma è tanta quella che ancora resta da fare, inutile nasconderselo.

Io stesso ho pubblicato i miei lavori con i maggiori editori nazionali, Mondadori, Rizzoli, Piemme. Il che dimostra che non c’è, ormai, alcuna preclusione ideologica nei confronti dell’apologetica cattolica: basta che venda (pecunia non olet).

 

Ebbene, è proprio qui il punto.

La mia stessa esperienza dimostra che quando ho parlato della Madonna o del Quadrato Magico ho fatto bestellers. Non così quando mi sono occupato di narrativa, per esempio. E mi basta leggere l’ultimo vendutissimo romanzo di Mastro Eco per constatare che la mia roba è di gran lunga migliore, lo dico con tutta umiltà-onestà.

Ma questo vuol dire una cosa, una cosa tragica: i cattolici hanno introiettato il ghetto, sono stati davvero convinti a ripiegarsi in una «scelta religiosa», a starsene in sagrestia o nei santuari e a non rompere.

Fateci caso: molte delle firme del «Timone» vengono, sì, invitati nei talkshow televisivi, ma solo quando si parla di papi, santi, madonne e miracoli. Ogni altro intellettuale può strologare su tutto, anche su papi, santi, madonne e miracoli. Gli intellettuali cattolici solo su questi. Se fate un giro sulla stampa è uguale, così come alla radio.

Un comico, un cantante, un regista paleomarxisti o perfino anarchici possono dire la loro sull’universo mondo. Non così un cattolico dichiarato. Il quale può occuparsi solo di vaticanologia o devozione.

 

Ero, qualche tempo fa, a firmare copie di un mio libro presso una libreria di Arona, sul Lago Maggiore. Si fermò una signora distinta e, vedendo il titolo (Antidoti), mi chiese di che si trattava. Risposi che l’autore leggeva una serie di fatti secondo la visuale cattolica. Al sentire la parola «cattolica» la signora mi interruppe: «Ah. Be’, di libri di preghiere ne ho già tanti… ».

L’aneddoto non è eccezionale. Cattolico uguale devozionale è l’equazione che lo stesso popolo cattolico ha fatto sua. Dunque, forza con le Madonne, la vita di Giovanni Paolo II, di Cristo e di Padre Pio: gli editori spalancheranno le braccia e l’investimento pubblicitario.

Ma se ti azzardi a proporre qualcos’altro, storcono la bocca: non si vende. Neanche ai cattolici. I quali, per primi, vogliono solo Madonne, Wojtyla, Gesù e Padre Pio.

 

Dunque, c’è molto lavoro da fare, molto.

Mentre lo facciamo e in attesa che si allarghi la nuova generazione di intellettuali credenti, continuiamo a concimare la vigna come fa Socci nel suo nuovo libro e a consolidare le fondamenta di quello in cui crediamo.

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La Cena dell’Agnello

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Scott Hahn, La Cena dell’Agnello. La Messa come Paradiso sulla terra, Cantagalli, Siena, 2011, EAN: 9788882726335, pp. 163, € 14,50

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Nella Premessa a La Cena dell’Agnello, padre Benedict J. Groeschel C.F.R. ci spiega che quello che abbiamo tra le mani è un libro su cose apparentemente diversissime quali «[…] la fine del mondo e la Messa quotidiana; l’Apocalisse e la Cena del Signore; la monotonia della vita quotidiana e la Parusia, il ritorno del Signore» (p. 7). Ciò che le unisce è appunto l’Agnello divino, figura centrale di questo libro ma anche della conversione del suo autore, il teologo e apologeta cattolico statunitense Scott Hahn (n. 1957) , già ministro protestante presbiteriano poi entrato nella Chiesa cattolica nel 1986 – seguito pochi anni dopo da sua moglie Kimberly. Autore di numerosissimi libri e saggi, meriterebbe ben altra fortuna in Italia dove purtroppo finora era stato tradotto soltanto Roma dolce casa. Il nostro viaggio verso il cattolicesimo (Ares, Milano 2003).

L’autore introduce la prima parte – Il dono della Messa (pp. 13-62) – chiedendosi cosa abbiano in comune una realtà tanto familiare come la Messa e un libro tanto strano come l’Apocalisse? Semplicemente – si fa per dire – il libro dell’Apocalisse ci mostra che la Messa è il Paradiso sulla terra. Scott Hahn parte dal racconto della sua prima Messa. Ancora protestante, almeno fino alla consacrazione, viene poi colto di sorpresa quando scopre di essere nientemeno che nell’Apocalisse: «In meno di un minuto l’espressione "Agnello di Dio" era ricorsa quattro volte. […] Ero al banchetto nuziale che Giovanni descrive alla fine del libro conclusivo della Bibbia. Ero davanti al trono celeste, dove Gesù è sempre salutato come l’Agnello. Non ero pronto per questo, comunque – ero a Messa!» (p. 20).

Quella Bibbia che aveva sempre studiato da protestante improvvisamente era diventata viva e concreta sull’altare: «Finora nessun libro era per me così visibile, in quella cappella buia, come il Libro della Rivelazione, l’Apocalisse, che descrive la liturgia degli angeli e dei santi in cielo» (p. 21). Scott Hahn pensa di aver (ri)scoperto qualcosa di nuovo ma si accorge che la sua idea – il collegamento tra liturgia e Apocalisse – è già stata "rubata" dalla Chiesa cattolica…

Perché proprio l’Agnello? A Gesù sono attribuiti molti altri appellativi nelle Scritture, sicuramente ben più autorevoli e maestosi dell’agnello che tuttavia compare nell’Apocalisse compare ben 28 volte! Per capirlo, dobbiamo fare un passo indietro, fino ai sacrifici antichi – che Gesù porta a compimento – riuniti nel Tempio di Gerusalemme: Gesù è il nuovo e definitivo agnello sacrificale. «Il nostro supremo atto di culto è un atto supremo di sacrificio: la Cena dell’Agnello, la Messa» (p. 35).

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