Case di Dio e Ospedali degli uomini

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Francesco Agnoli, Case di Dio e ospedali degli uomini, Edizioni Fede & Cultura , 2011, pp. 144, € 13,50

 

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PREFAZIONE. Faccio volentieri la prefazione a questo libro di Francesco Agnoli perché ha il merito di richiamare un fatto dimenticato gravemente dagli addetti ai lavori, dai pazienti attuali e da quelli futuri (cioè le persone sane), insomma da tutti: gli ospedali sono nati in epoca cristiana.

C’è un perché profondo in questo, che vale anche oggi. Prima di Cristo dominava la morte: la vita era breve, durissima e, quando veniva attaccata dalla malattia, senza speranza. C’era la medicina, ma la sua arte fondamentale, che la distingueva dalla ciarlataneria, era la prognosi. La competenza dei medici si vedeva soprattutto dalla loro esperienza su come la malattia e i pazienti andavano a finire.

L’impotenza era massima, le cure praticamente inesistenti e l’assistenza trascurabile. I malati cronici e contagiosi – come i lebbrosi – venivano allontanati dalle città e abbandonati a morire soli in luoghi isolati. I romani avevano costruito i valetudinari, ma questi erano soprattutto per i soldati, abbastanza forti da sopravvivere validamente alle ferite.

Ippocrate, già cinque secoli prima di Cristo, aveva strappato la medicina ai maghi e ai sacerdoti, facendola diventare da conoscenza occulta a osservazione razionale di processi naturali. Da uomo religioso quale era, aveva introdotto un giuramento, attraverso il quale i medici si facevano responsabili delle loro azioni davanti agli déi, rispettavano la vita come valore fondamentale, si impegnavano innanzitutto a non nuocere e a non fare quello di cui non erano capaci, a rispettare il segreto professionale e a essere solidali fra loro.

Tuttavia, la novità di Ippocrate e dei suoi discepoli – alcuni mettono in discussione addirittura che costui sia veramente esistito, ipotizzando che siano esistiti solo i suoi discepoli – lungo cinque secoli, non fu in grado di dare vita a veri e propri ospedali e, nemmeno, fu molto popolare in epoca classica… fino all’insorgere del Cristianesimo, che adottò il giuramento di Ippocrate e lo fece proprio!

La Resurrezione di Cristo introdusse un’attesa e una definitiva speranza. La morte non era più l’ultima parola sulla vita.

Quest’ultima era più forte, indomabile ed eterna, in ogni caso amata da Dio. Egli stesso, infatti, aveva mandato il suo Figlio a condividere il destino dell’uomo, la sua sofferenza, la sua domanda di salvezza, cui aveva trionfalmente risposto. Così la morte e la malattia potevano essere vissute, affrontate e rischiate per lo stesso amore con cui Cristo aveva amato noi. Era possibile la carità, l’amore gratuito per l’altro, non secondo la propria convenienza, ma per il suo destino. Assistere gli ammalati poteva significare morire per aver contratto un’infezione, che era la causa più frequente dell’invalidità. Però si incominciò a fare. Come evidenzia bene questo libro, furono i monaci a cominciare ad ospitare gli sfortunati – malati e poveri rappresentavano la stessa sofferenza e ingiustizia – lungo i secoli, soprattutto gli ammalati. La carità religiosa coinvolse la società civile, i laici, i politici e i ricchi che, donando quello che possedevano, cercavano di salvarsi l’anima. Prima i conventi e poi le città furono animate dalla carità cristiana. Gli ospedali divennero maggiori e specialistici, avviandosi ad essere le realtà che conosciamo oggi. Ma sempre la carità fu la molla della dedizione dei medici, degli infermieri, dei parenti e dei volontari. Gli ospedali non sono nati perché si sapesse curare, ma per assistere, per essere presenti vicino a chi soffre e chi muore.

L’assistenza, la pura e caritatevole assistenza, è stata per secoli l’incubatrice di un progresso medico che si è sviluppato, soprattutto recentemente, con la diagnostica, la chirurgia e la farmacologia.

Adesso sembra che non ci sia bisogno della carità, ma della scienza e del diritto di operatori e di ammalati. Non è così. La stragrande maggioranza degli abitanti del mondo sono poveri, si ammalano facilmente e vivono poco.

Senza la carità dei missionari starebbero ancora peggio. Solo quest’ultima fa da argine e scuote l’indifferenza dei ricchi. Questi vivono a lungo, ma gli ultimi anni della loro vita sono tormentati dalla malattia e dall’invalidità. Hanno bisogno di qualcuno che li assista oltre l’impotenza delle medicine. Altrimenti, senza amore e senza speranza, meglio morire. Le aspirazioni all’eutanasia attiva sono una pietra tombale per i rapporti umani. La stessa medicina, salvando le vite, conserva invalidità gravi che hanno bisogno di un’assistenza diuturna e che solo in un’assistenza così possono trovare la speranza di valutazioni e rimedi più efficaci. Infine, non si può curare e assistere guardando l’orologio, tutti abbiamo bisogno di un minuto in più; un minuto nel quale il rapporto tra malato, medico e infermiere acquista significato, diventa fattore di speranza per sé e per tutti.

In fondo gli ospedali di oggi, per essere veramente tali, cioè corrispondenti al bisogno di chi vi cerca ricovero, necessitano dello stesso impeto degli ospedali di una volta. La medicina moderna guarisce ma, curando meglio, produce essa stessa ammalati e invalidi cronici. Malattia e morte possono venire nascoste sotto lo scintillio delle apparecchiature e delle tecniche più sofisticate, ma non per questo sono meno gravi e drammatiche. Tutti ci siamo passati, o magari indirettamente e sicuramente ci passeremo in modo diretto.

Malattia e morte sono il segno della radicale inadeguatezza dell’uomo a salvarsi. L’ospedale, rispondendo al bisogno di salute, deve rispondere a un bisogno che è di tutta la persona e non solo dei suoi meccanismi biologici. Altrimenti a che vale curare? "Lunga agonia è la vita", diceva Shakespeare.

 

Giancarlo Cesana

 

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Il Kattolico 3

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Rino Cammilleri, Il Kattolico 3, Gilgamesh ed. 2012, ISBN 978-88-97469-08-7, pp. 224, Euro 15,00

«Il Kattolico 3» è la terza raccolta degli articoli che Rino Cammilleri fa uscire da anni sull'omonima rubrica del mensile di apologetica «Il Timone».

 

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Quando inventai la sigla goliardica «il kattolico» ero giovane ed avevo ancora negli occhi le scritte, sui muri, dei rivoluzionari con la mutua e le ferie pagate: Craxi con la croce uncinata al posto della «x», Kossiga con la kappa e le «esse» tracciate a mo’ di SS.
L’uso della kappa in luogo della «c» dura faceva molto lingua tedesca, il tedesco faceva molto nazista e nazista (o fascista, era lo stesso) era chiunque si opponesse alla Rivoluzione.
Da qui la decisione di provocare mettendomela da solo, la kappa. Anche perché dava, come tutti i simboli, un’idea immediata e sintetica.
Il messaggio era: qui parla un cattolico tosto, di quelli che non porgono l’altra guancia (di Cristo, non la propria) e non hanno peli sulla lingua.
Del resto, la polemica è un genere letterario tra gli altri.

Per questo, cari lettori, eccovi la raccolta Il Kattolico 3, dopo Il Kattolico 1 (Piemme) e Il Kattolico 2 (Sugarco).
Per le ulteriori puntate dovrete abbonarvi al mensile «Il Timone».
A meno che non intendiate aspettare un Kattolico 4.
Buona lettura.

Rino Cammilleri

 

Rino Cammilleri, 60 anni, agrigentino. Ha al suo attivo una trentina di volumi pubblicati coi maggiori editori nazionali. Tra le opere più recenti, Il crocifisso del samurai (Rizzoli) e Dio è cattolico? (Lindau). Tiene rubriche su «Il Timone», «Il Giornale»

 

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La destra e la sinistra

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Jean Madiran, La destra e la sinistra, Fede e Cultura 2012, pp. 96, Euro 10,50

 

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Prefazione di Francesco Agnoli

Quante volte, alla fine di una discussione sulla famiglia, l’aborto, l’attualità o altro, mi sono sentito dire, con tono inquisitorio, da un interlocutore accigliato e inorridito: «Ma tu, allora, sei di destra?».

Ogni volta mi sono trovato disarmato, incapace di comprendere l’importanza di una simile etichetta appiccicata, con rabbia e con un non velato senso di superiorità, all’avversario. Ogni volta ho risposto: «Non sono certamente di sinistra».

Una risposta breve, chiara che però appariva, anche a me, cresciuto come tutti nel dualismo categorico destra-sinistra, in qualche modo incompleta.

Dopo la lettura di questo saggio di Madiran, invece, mi sento sollevato. Come nota il grande scrittore francese, infatti, la destra altro non è che una invenzione, una prigione, un lazzaretto per lebbrosi, creato dalla sinistra per rinchiudervi tutti coloro che non sono omogenei al suo pensiero unico e dogmatico. Chi è di destra, lo decide la sinistra. La destra è un ghetto in cui la sinistra rinchiude, etichettandoli, gli avversari. Che saranno sempre "conservatori", "antidemocratici", "reazionari" eccetera, mentre a sinistra vi è il bene, sempre e comunque.

Non si chiamava "democratica", sino a pochi anni fa, la parte della Germania in cui vigeva una dittatura comunista? Così come si chiama ancora oggi "popolare" la Cina dittatoriale e comunista. Il Partito Comunista Italiano non è prontamente diventato PDS (Partito dei Democratici di Sinistra), appena caduto il muro di Berlino e si è vista quale fosse la "democrazia" di Germania dell’Est, Romania, Albania, URSS, eccetera? E non si chiama oggi PD, cioè "Partito Democratico", nonostante sia guidato ancora da chi è cresciuto inneggiando alla Russia "patria dei lavoratori", con la bandiera rossa in mano?

Loro, quelli che stanno a sinistra, sono la democrazia, il popolo, il progresso. Contro ogni verità rivelata e trascendente, possiedono ogni verità umana e immanente, conoscono ciò che è bene e ciò che è male, sebbene siano relativisti; condannano al paradiso o all’inferno, senza credere in Dio.

È un fatto storico. Inizia con la Rivoluzione Francese, madre di tutte le rivoluzioni: quella comunista, quella fascista, quella nazional-socialista.

Madiran, che è francese, lo sa molto bene. I maestri di tutto – esaltati da Lenin e dai rivoluzionari russi che cantavano la Marsigliese ed esaltavano la ghigliottina, ma anche da Mussolini, da Mao e da Pol Pot – sono i membri della sinistra rivoluzionaria francese: i "democratici" giacobini. Coloro che scriveranno, nella Costituzione del 1793, che tutti hanno diritto di voto e che il potere appartiene al popolo. Gli stessi che erano andati al potere, eliminando con la galera e la ghigliottina i loro vecchi compagni, i girondini, sino a poco prima seduti anch’essi a sinistra. Quelli che una volta ottenuto il potere e confezionata la Costituzione democratica, non la applicheranno mai, e perderanno il loro potere solo dopo aver ghigliottinato migliaia e migliaia di persone e dopo essersi uccisi tra di loro.

Robespierre è il padre di tutte le sinistre: lui, l’"incorruttibile", il "virtuoso", il moralista, che agisce per il bene del popolo, ma non attraverso il popolo; che forse neppure ha mai visto, come racconta qualche storico, quella ghigliottina che ha fatto funzionare senza tregua per mesi. Robespierre: colui che vuole portare la democrazia, passando per la dittatura. Sempre in nome della libertà, della eguaglianza, della fraternità. Lui che impone il prezzo massimo delle merci, distrugge l’economia francese e spinge un intero popolo a cercare nell’esercito e nella guerra l’unico modo per sopravvivere. Lui che consegna a Napoleone, giovane ufficiale giacobino, un popolo disperato, destinato a oltre vent’anni di guerra ininterrotta per esportare la "libertà" con le baionette.

È l’amico di Robespierre, il giacobino Danton, che, prima di essere mandato a morte dallo stesso Robespierre, gli fornisce gli strumenti: il tribunale rivoluzionario, cioè l’antenato dei tribunali del popolo sovietici, nazisti, cubani… e la "legge dei sospetti", quella per cui ogni cittadino è un potenziale nemico, un "controrivoluzionario di destra", anche se non lo sa o se, per paura, non lo ha mai detto neppure a sua moglie.

Chi studia la storia di questi ultimi due secoli e mezzo, si accorge, dunque, molto chiaramente di cosa intenda Madiran, quando allude alla capacità della sinistra di guidare il gioco "destra-sinistra", stabilendo lei dove piazzare personaggi e pedine. Decidendo spesso di mettere a destra persone che sino a qualche tempo prima accoglieva, nutriva, coccolava e scaldava nel suo seno.

"Stalin" ricorda Madiran "trovava ancora uomini di destra da fucilare anche all’interno del Partito Comunista", dopo più di vent’anni di comunismo. Le purghe staliniste, grandi e piccole, colpirono rivoluzionari della prima ora, da Troskij a Bucharin, passando per milioni di iscritti al Partito Comunista. Come aveva fatto Robespierre, eliminando Danton, Desmoulins, Hébert… e come avrebbero fatto Mao e i suoi successori in Cina, in una notte dei lunghi coltelli durata decenni.

E Mussolini, l’inventore del fascismo? Non era forse il brillante anarchico-socialista romagnolo, che Lenin aveva elogiato come l’unico vero rivoluzionario italiano, leader dei socialisti massimalisti italiani e direttore del quotidiano socialista l’"Avanti!"? Non era forse cresciuto leggendo e declamando Marx, Sorel e tutta la saggistica e la letteratura di sinistra? Non era forse l’amico del socialista irredentista trentino Cesare Battisti, che lo avrebbe introdotto all’interventismo nazionalista?

In verità, si potrebbe notare quanta somiglianza vi sia tra la statolatria comunista e quella fascista! Tra il Mussolini antidemocratico socialista, che predicava la chiusura del Parlamento, in nome della dittatura del proletariato, e il Mussolini fascista, circondato di ex socialisti come lui, da Farinacci a Bianchi, che delegittimò il Parlamento in nome della dittatura propria!

È un fatto storico innegabile che il fascismo e il nazionalsocialismo siano debitori, per molti versi, del socialismo; che la rivoluzione comunista venga prima di quella fascista e di quella nazista, non solo in ordine di tempo; che le guardie rosse vengano prima delle squadracce fasciste; che i gulag siano sorti prima dei lager e che i lager siano stati costruiti prendendo esempio dai gulag. Sono fatti storici la somiglianza tra il materialismo comunista e il materialismo biologico nazionalsocialista, come pure il patto von Ribbentrop-Molotov tra la Germania di Hitler e l’URSS di Stalin, che aprì la porta alla seconda guerra mondiale!

Anche la destra moderna, nazionalista e statalista, insomma, è un’invenzione, in buona parte, della sinistra: sia perché la sinistra spesso le ha fornito i capisaldi, sia perché sempre la sinistra ha poi stabilito dove piazzare chi. Per stare all’attualità italiana: non erano ardenti fascisti, prima di passare a sinistra, i Malaparte, gli Scalfari, i Bocca, i Fo?

Se la destra è allora un’invenzione della sinistra, in molti sensi, non rimane che riconoscere, con Madiran, che fuori della sinistra non vi è che il Cristianesimo. Fuori dal mondo salvato dall’Uomo, dall’Utopia, dal messianismo politico comunista o nazionalsocialista, dalla statolatria, dallo scientismo, dall’ecologismo eccetera, non vi è che l’uomo creato da Dio e salvato da Cristo.

Oltre la giustizia e l’eguaglianza imposte dall’alto, dallo Stato che prende il posto di Dio, non vi è che la rivoluzione "interiore e personale", la conversione dei cuori, la libertà cercata da Dante nel suo cammino spirituale. Fuori dalle religioni atee della politica, che ci hanno regalato campi di concentramento e guerre mondiali, non c’è un altro partito, un’altra rivoluzione, un altro Potere mondano, perché "la porta stretta del Cristianesimo è, sicuramente, di cercare dapprima il regno di Dio e la sua giustizia e il resto sarà donato in sovrappiù".

Buona lettura.

Francesco Agnoli

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Sintonia con il mondo

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Josef Pieper, Sintonia con il mondo. Una teoria sulla festa, Cantagalli, Siena 2009, pp. 120, € 12,00

 

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Il filosofo tedesco Josef Pieper (1904-1997), noto per i suoi scritti dedicati alle virtù, iniziò a riflettere sulla festa durante la seconda guerra mondiale e successivamente ritornò sull’argomento negli anni 1960. Il risultato è questo saggio, pubblicato originariamente nel 1963 e tradotto in italiano dall’editore Cantagalli. Il contenuto essenziale della riflessione di Pieper è intuibile – cosa non scontata – già dal titolo: la festa è possibile solo se si è in sintonia col mondo, anzi, tale sintonia è il nucleo, il vero motivo della festa. Questo messaggio è efficacemente sintetizzato nella Prefazione (pp. 5-16)dal curatore Francesco Russo: «[…] si può vivere autenticamente la festa solo sulla base del proprio consenso verso il mondo nel suo insieme» (p. 11). Ciò non implica ignorare il male, ma tener presente che, malgrado tutto, il mondo ha una sua bontà originaria.

Il saggio si compone di nove capitoli, senza titolo ma facilmente identificabili nella misura in cui ciascuno è incentrato su un particolare aspetto della festa e rispettivamente: lo scopo della festa (pp. 19-28); il suo carattere contemplativo (pp. 29-38); il consenso (pp. 39-50); il culto (pp. 51-62); il settimo giorno (pp. 63-71); le arti (pp. 73-81); la festa artificiale (pp. 83-87); la festa totalitaria (pp. 99-106); infine, la persistenza della vera festa (pp. 107-115)

A prima vista, la festa è immediatamente percepibile come un giorno di non lavoro, ma questo non è sufficiente per definirne l’essenza. Del resto essa è, sì, distinta, ma anche legata al lavoro così che da uno pseudolavoro non può che scaturire una pseudofesta: né la schiavitù né l’ozio, ma «solo un lavoro pieno di senso» (p. 20) è terreno fertile per una festa che, a sua volta, sia piena di senso. La differenza con il lavoro risiede nel fatto che, la festa non è funzionale ad uno scopo esterno, non è "utile", ma è piena di senso in sé stessa. «Resta comunque sospesa la domanda: per quale motivo in un’attività è insita la caratteristica di essere piena di senso in quanto tale?» (p.28).

Non è certo l’organizzazione a "fare" la festa, né lo studio della morfologia, delle caratteristiche esteriori della festa, a permetterci di andare oltre l’involucro più esterno. L’essenza, ciò che fa della festa «una bella giornata» (p. 31) si situa piuttosto al livello dell’ammirazione, della gioia, della contemplazione, della visio beatifica. «Se si riesce a gettare lo sguardo sul fondamento nascosto di tutto ciò che è, allora nella stessa misura si verifica un agire in sé pieno di senso e all’uomo è concessa una "bella giornata"» (p. 33). La contemplazione è dunque ciò che "fa" la festa, ne è il vero motivo, nonché il solo in grado di giustificare la rinuncia al guadagno in favore di un arricchimento esistenziale – che è in fondo una rinuncia per amore.

Solo dall’amore può scaturire la gioia della festa. «Chi non ama nulla né nessuno, non può gioire, per quanto disperatamente lo desideri» (p. 40). Ma l’amore, a sua volta, può scaturire solo da una causa concreta, non certo da idee astratte – «[…] come quelle di Auguste Comte [1798-1857], che nel calendario da lui elaborato prevedeva le feste della "umanità", della "paternità" e persino del "focolare". Neppure l’idea di libertà potrebbe infiammare gli uomini per una festa» (p. 41). Si prova gioia invece per eventi concreti quali una nascita, un matrimonio, un ritorno a casa, e non si può gioire senza presupporre, almeno implicitamente, il consenso verso il mondo nel suo insieme, l’approvazione verso ciò che esiste, poiché «Per rallegrarsi di qualcosa si deve approvare tutto» (Friedrich Wilhelm Nietzsche [1844-1900], cit. a p. 43).

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La Chiesa cattolica. Dove tutte le verità si danno appuntamento

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Gilbert Keith Chesterton, La Chiesa cattolica. Dove tutte le verità si danno appuntamento, Lindau, Torino 2010, pp. 116, € 13,00.

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La società occidentale postmoderna viene solitamente descritta come una società libera, orgogliosamente fondata sul primato dei diritti e soprattutto della tolleranza. Sembrerebbe una società ideale, in cui tutto si puo dire, eppure restano, inaspettate, delle parole tabù.

Conversione e una delle parole tabù dei giorni nostri. Sui mezzi di comunicazione e nei salotti pubblici ben poche persone osano pronunciarla e ancora meno la tollerano. Probabilmente perche si tratta di una parola di per se impegnativa, che presuppone peraltro lesistenza di una Verita oggettiva da riconoscere, superiore al singolo individuo ・ cose veramente intollerabili per la diffusa cultura del disimpegno e del relativismo morale. Il saggio del "convertito eccellente" Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) pubblicato per la prima volta in Italia da Lindau offre a tal proposito, sul tema della conversione (e dei convertiti), delle riflessioni straordinariamente puntuali. Nella Prefazione (pp. 5-10), Marco Sermarini, presidente della Società Chestertoniana Italiana, tratteggia brevemente il profilo del grande scrittore inglese mettendone in luce leccezionale ars retorica, propria dei grandi apologeti di Cristo: "quando Chesterton parla di religione, ne parla sempre a partire dalla ragione e dalla vita. Non fa un "discorso ecclesiastico" o clericale. Puo partire da un pezzo di gesso, un dente di leone o un tramonto per arrivare al rapporto di ciascuno di noi con il Mistero. Perche per lui fu cosi: il Mistero che fa tutte le cose si manifesto nella sua vita attraverso gli umili ma potenti segni dellallegria familiare, del gusto del bello scorto nelle cose di tutti i giorniTutto era la conferma che la vita era degna di essere vissuta, che il mondo era magico e che, se ne aveva scoperto la magia, voleva dire che cera un Mago" (p. 9).

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La santità dell’ultimo imperatore

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Romana de Carli Szabados, Finis Austriae. La santità dell’ultimo imperatore, Edizioni Fede & Cultura , 2011, pp. 196, € 18

 

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Beato Carlo d’Asburgo, agonia di un re

 

Davvero permase in Carlo sempre l’anelito di pace di un fervido credente in Dio.

Lo storico Fritz Weber magistralmente tratteggia la personalità dell’erede, di quella gigantesca responsabilità nello scenario viennese: "A Vienna regnava un giovane imperatore. Nessuno desiderava la pace più ardentemente di lui. Aveva ereditato un vecchio edificio e dalle crepe dei muri cominciava a filtrare l’acqua. Il nuovo sovrano portava sulle spalle il peso di un’immensa responsabilità, appunto".

Egli credeva fermamente nella possibilità di una conciliazione.

Anziché colpire i nemici della dinastia con tutto il rigore di chi afferma il proprio diritto all’autoconservazione, egli usava la clemenza. Nessuno comprese tale generoso gesto. Quelli che avversavano segretamente l’antiquata struttura statale sorridevano sarcastici; i nemici dichiarati lo interpretarono come un primo successo della loro tenacia.

Quelli che conservavano la propria fede nell’Austria-Ungheria subirono la prima cocente delusione nel vedere concessa la grazia ai colpevoli di alto tradimento e a chi colpiva alle spalle l’impero.

La seconda delusione fu negli approcci per la conclusione della Pace: intrapresi di comune accordo dalle Potenze Centrali, corrispondevano però, in primissimo luogo, alle intenzioni dell’imperatore Carlo. Il desiderio di porre fine al conflitto nasceva dal cuore sensibile di un uomo, che soffriva come pochi per le miserie dell’umanità, nasceva da una nobiltà d’animo infinitamente lontana e diametralmente opposta alle speculazioni dei freddi maestri di calcolo della parte avversa.

Il giovane imperatore si rifiutava di comprendere che si trattava sempre di più di una questione di vita o di morte, di esistere oppure no. Per lui il mondo era tutto, lo considerava come un’unità inscindibile saldamente fondata sui comandamenti divini e procurava di adempiere a questi comandamenti. Ma l’ora era dominata dal potere, dalla violenza e dalla tenacia nella lotta, per cui gli eventi lo travolsero. Tutto quello che perseguiva si trasformò in un’inarrestabile fatalità per lui e per il suo impero.

Tra il termine del 1916 e l’inizio del 1917 la speranza di una prossima pace venne sepolta. La guerra segue il suo corso, diceva il messaggio di capodanno: equivaleva forse a "non ne posso più, sono stanco di questi avvenimenti terribili che la provvidenza mi ha imposto di guidare, ma non posso tornare indietro, devo portare il peso di questa eredità, anche se le mie spalle sono troppo deboli per reggerlo".

Carlo era sempre più isolato, man mano che si avvicinava la fine della guerra e dell’Austria, ma nulla gli impediva di recitare il Te Deum come accadde l’ultimo giorno dell’anno 1918, con la spiegazione, molto sentita in merito al ringraziamento: "Se quest’anno è stato duro, poteva essere ben più tragico per tutti noi. Se si è disposti a prendere dalla mano di Dio ciò che è buono, bisogna anche essere disposti ad accettare con riconoscenza tutto ciò può essere difficile e doloroso. Del resto quest’anno ha visto la tanto sospirata fine della guerra e per il bene della Pace vale qualsiasi sacrificio e qualsiasi rinuncia" (testimonianza riportata da Paolo Mattei).

Divenne imperatore in piena guerra: non poteva capitargli di peggio… Dice di lui Antonio Borrelli: "Ultimo sovrano della duplice monarchia austro-ungarica, ne dovette subire il crollo pur essendo tanto diverso dai suoi predecessori, per la sua religiosità, dirittura morale, visione sociale riforma di uno Stato assolutista in uno confederale. La Radio Vaticana, il 3 novembre 1949 annunziava l’apertura del processo di beatificazione, gli Atti furono consegnati alla congregazione dei Riti il 22 maggio 1954; a maggio 2003 sono state riconosciute le virtù eroiche e quindi il titolo di venerabile".

Sin da fanciullo aveva dimostrato una particolare inclinazione verso la religione e la preghiera, si sentiva chiamato alla carità per il prossimo e fin da ragazzo raccoglieva soldi per i poveri. Da giovane ufficiale in Galizia, cercò sempre con successo di elevare la vita morale dei suoi soldati, i quali vedevano in lui il modello di uomo cattolico. I suoi principi religiosi lo portarono da imperatore a sostituire il feldmaresciallo Conrad anche per aver usato indiscriminatamente le corti marziali, alienando i cechi dalla Casa d’Austria.

L’autore puntualizza: "Benché fornito di ottima preparazione militare, formazione universitaria e istruzione di Stato Maggiore, fu l’unico fra i belligeranti ad accogliere le iniziative di Pace di Papa Benedetto XV, del resto sin dall’inizio del suo Governo era deciso a riportare la Pace ai suoi popoli. Intraprese varie iniziative di pacificazione con le altre potenze, senza riuscire a prevalere però nella cerchia dei generali statisti tedeschi; non andarono in porto nemmeno due tentativi di pace separata, a causa della fiera resistenza del governo italiano e che si seppero poi in giro. Carlo si ritirò dapprima in Ungheria, rinunciando ad ogni partecipazione agli affari di stato, ma senza abdicare come sovrano. I tentativi di riprendere il trono furono espletati per sua volontà, senza usare la forza militare, risparmiando così un alto costo di vite umane, tale atteggiamento gli costò la corona".

Il vero Giuda fu il reggente von Horthy, che lo tradì malgrado il giuramento e lo umiliò al punto da farlo attendere e poi non riceverlo proprio nelle stanze del sovrano esiliato, dove la grandezza dell’imperatore fu di accettare il tutto per non sfidare il destino costringendo i soldati a trasgredire gli ordini nel pieno rispetto delle regole militari. Rinunciò così modestamente ai suoi legittimi diritti, rispettando l’etica della sua educazione cristiana".

Due giornate di primavera gli furono fatali: quella del 23 marzo 1919, in cui si consumò il pianto dell’addio dalla Patria ed iniziò "la via Crucis" dell’esilio con il dolente pellegrinaggio, che culminò appunto nella seconda giornata, quella fatidica della morte, il primo aprile 1922. Così esclamò, stremato, l’ESULE, adagiato sul letto: "Era qualcosa di straordinario oggi con la santa Comunione, allorché udii il Confiteor provai la sensazione come se il Redentore stesse vicino a me e dicesse: ‘Viene impartita la Comunione’. E poiché non volevo capire, ripeté: ‘Io voglio che tu ti comunichi, non c’è tempo da perdere, non esiste nessun impedimento’. Allora non pensai più che durante la notte avevo mangiato un biscotto". Carlo la ritenne una profanazione, inoltre temeva il tossire durante la Messa, fu avvertito il celebrante ma quella mattina la tosse si calmò, allora fu spalancata la porta, di solito socchiusa per non essere visto, onde poter di bearsi della visione dell’altare. Sopraggiunse un peggioramento nella salute del Kaiser. Ma nella notte non ne volle sapere di prendere un’aspirina, che avrebbe compromesso il suo anelito di comunicarsi. Zita non desistette: "Tu devi guarire così vuole il Signore".

Dal 27 marzo fu esposto il Santissimo nella sua stanza, mancavano solo quattro giorni alla fine. La febbre era salita a 40,5 gradi, si presentava una giornata terribile, non lo fece trapelare il povero ammalato, anche perché senza sedativi, ma la sua confessione alla sera sconvolse chi lo curava, senza aver intuito quella immane sofferenza dedotta da queste parole lancinanti: "Ringrazio il Buon Dio, che questo giorno sia alla fine, non avrei mai pensato che potesse esserci una giornata così faticosa…".

Anche la sua esistenza si avvicinava alla fine… spesa per un’unica aspirazione: "Quella di conoscere il più chiaramente possibile in tutte le cose la volontà di Dio e di eseguirla e precisamente nella maniera più perfetta".

La notte, per l’uomo stremato, fu calma, e fu pietosa per la sposa spossata, che poté concedersi finalmente due ore di sonno.

Il 30 marzo esclamò: "Come sono diventato magro". E forse non si era accorto delle unghie diventate blu. La sua schiena era tutta una ferita e pertanto non gli era possibile giacere. Fu deciso di fargli una trasfusione, si offerse Zita, ma invano. Si rassegnò il misero e sibilò: "Sono stanco, tanto stanco…". Pregò Iddio di farlo dormire e gli furono concesse tre ore. L’ultimo giorno l’inquietudine non gli permise d’addormentarsi. Zita, seduta sul letto, gli teneva la mano, da qualche giorno Carlo non riusciva a fermarle, così leggere correvano sulla coperta come se non gli appartenessero più. Lei chiese cosa lo rendesse così inquieto.

"Nulla, solo non posso dormire e desidererei un bicchiere d’acqua però se non ti recasse disturbo".

La giovane imperatrice si spaventò, sul suo volto scorse decisi i tratti della morte: era la fine per l’ultimo delicato Absburgo, cacciato dalla Casa dei Padri come un traditore, ma accolto da Gesù come il suo figlio più caro per una protezione eterna.

 

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L’azione del Maligno. Come riconoscerla e come liberarsene

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Gabriele Amorth e altri, L’azione del Maligno. Come riconoscerla e come liberarsene, Edizioni Fede & Cultura , 2011, pp. 180, € 10,50

 

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Nulla è impossibile a Dio.
Arcangelo San Gabriele

 

 

INTRODUZIONE

La missione di Gesù è stata improntata a una lotta contro il demonio, nei suoi aspetti e nelle sue manifestazioni più o meno palesi. La Chiesa ha il compito di ripercorrerne la strada. Il discorso sul maligno e sulla fenomenologia che lo contraddistingue è complesso e nel corso del tempo ha dato vita a diverse scuole di pensiero.

In questo testo abbiamo raccolto le argomentazioni e le esperienze di coloro che sono considerati i luminari nei rispettivi campi dello scibile e dell’azione, con la speranza di rendere un servizio a Dio il più possibile esaustivo.

Vi sono due modi fondamentali per far fronte al demonio: il primo è inerente alla nostra personale santificazione, ovvero rimanere e crescere nella Grazia di Dio; il secondo consiste essenzialmente nel sottrarre le anime all’influenza di Satana e delle altre forze maligne.

L’evangelizzazione non è solamente rivolta alla promozione umana della persona, ma anche e soprattutto all’evoluzione della persona nella sua interezza, per farla entrare nel regno di Dio, togliendola quindi al principe nefasto di questo mondo. Qualunque individuo deve essere aiutato a crescere: nessun caso è impossibile da affrontare o da risolvere.

L’esperienza dello spirito del male rientra nella crescita spirituale della persona, se convertita in positivo. Sta a noi riconoscerla e combatterla, senza pigrizia e con corrette cognizioni di causa.

La Curatrice (A.M.)

 

 

PARTE PRIMA

 

L’AZIONE DEL DEMONIO

di Gabriele Amorth

 

Sappiamo che il demonio esercita una duplice azione sugli uomini: una ordinaria e una straordinaria. La prima, quella che a lui preme di più, è la tentazione. In odio a Dio, i demoni tentano l’uomo al male, ossia cercano di allontanare gli uomini da Dio portandoli a vivere in uno stato di peccato, in modo poi da trascinarli dove loro si trovano: all’inferno. È una vendetta che essi fanno contro Colui che ha creato tutti gli uomini per il Paradiso.

A questa azione ordinaria del demonio siamo tutti soggetti, dalla nascita alla morte. Facendosi uomo, Gesù ha accettato di subire come noi le tentazioni del maligno.

Il suo esempio ci indica che se noi non vogliamo, il maligno non può vincerci: noi siamo in grado di non lasciarci sedurre, soprattutto con la vigilanza e la preghiera. Se poi, nella nostra debolezza, ci capita di cadere nel peccato, il Signore è sempre pronto a perdonarci. A tal fine ha istituito il sacramento della confessione, che non solo rimette i peccati, ma è anche un mezzo per attuare quella conversione continua di cui abbiamo bisogno.

Il demonio può anche esercitare un’azione straordinaria sugli uomini. Questa sua attività è più rara, e dipende in parte dalla colpa dell’uomo che, andando contro il volere di Dio, abbandona il Creatore per darsi alle varie forme di occultismo: magia, cartomanzia, maledizione, vudù, macumba, sedute spiritiche, sette sataniche, ecc…

Così facendo è l’uomo che si allontana da Dio, per darsi a Satana. Il più delle volte l’azione straordinaria del demonio dipende da un maleficio; in questo caso non è colpevole l’uomo che lo subisce, ma l’uomo che lo fa o che lo commissiona a un mago o ad altra persona collegata con Satana.

Le varie forme di questa attività diabolica, che hanno una vastissima gamma di intensità e di gravità, sono quattro.

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Indagine sul cristianesimo: come si costruisce una civiltà

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F. AGNOLI, Indagine sul Cristianesimo. Come si costruisce una civiltà, Piemme, Milano 2010, pp. 278, Euro 17,00.

 

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Se il portato e il valore, storicamente innegabili, delle radici cristiane dell'Europa sono stati più volte e da più parti pubblicamente ripudiati, come scrive il giornalista Francesco Agnoli in una delle sue ultime fatiche, è segno che – nell'attuale contesto contrassegnato sempre più dal relativismo dominante delle idee – a preoccuparsi devono essere non solo i cristiani ma tutti coloro che hanno a cuore il buon senso e il rispetto della memoria storica del nostro Continente. Il saggio, in effetti, nasce proprio a seguito di una serie impressionante di avvenimenti recenti che (dalla politica più alta fino ai prodotti più diversi dei mass-media e della cultura popolare) hanno ripetutamente divulgato un'interpretazione unilateralmente riduttiva, talvolta faziosa, se non denigratoria, della valenza storica del fatto cristiano. Come scrive infatti lo scrittore e giornalista Renato Farina nella prefazione al volume "quello che vi accingete a leggere è una specie di esplorazione di Atlantide. Il continente scomparso è la verità storica del cristianesimo" (pag. 7): il nostro tempo appare davvero attraversato da una diffusa ignoranza di massa, una sorta di nuovo 'senso comune', su interi periodi storici, che porta ad accettare indifferentemente gli slogan propalati a piene mani dalla cultura dominante di impronta laicistica, senza che – non il cattolico medio – ma persino il cittadino-medio senta il bisogno di indignarsi di fronte a una simile manipolazione evidente della realtà. Anzi, il successo indiscusso che arride a romanzi come quelli di Dan Brown o, per altro verso, alle indagini 'a tesi' di un Corrado Augias in Italia dimostra esattamente il contrario. E' quindi giunto il momento di scendere in campo per un'indagine vera, argomentando opportunamente punto per punto che cosa abbia significato la Rivelazione cristiana per l'Occidente in genere e l'Europa in particolare.

Così, nei successivi diciotto capitoli che compongono lo studio analitico vero e proprio, corredato peraltro da ampie e documentate note a piè di pagina, Agnoli affronta pazientemente – dall'imperatore Costantino alle Crociate, dall'Inquisizione alla caccia alle streghe, dalla scoperta dell'America alla contesa, filosofica e religiosa, con l'Illuminismo – tutte le pagine superficialmente 'più oscure' dipinte di volta in volta ad arte dalla storiografia protestante, poi storicista, quindi comunista o laicista, fino ai tempi più recenti con l'obiettivo neanche troppo velato di screditare la Chiesa e il suo Fondatore. Eppure, fermo restando che il Cristianesimo è anzitutto la fede nella vita eterna, gli effetti benefici per la vita terrena sono sotto gli occhi di tutti, se solo si fosse disposti ad osservarli. A beneficiare del Cristianesimo, ad esempio, è stata anzitutto la donna che ha enormemente migliorato la sua condizione sociale. In effetti, "assolutamente secondaria e marginale, relegata nelle sue stanze nel mondo greco; sotto perpetua tutela dell'uomo, padre e marito, quasi un oggetto, nel mondo romano; ostaggio della forza maschile, presso i popoli germanici; passibile di ripudio e giuridicamente inferiore nel mondo ebraico; forma inferiore di reincarnazione nell'induismo tradizionale; sottoposta alla poligamia, umiliante affermazione della sua inferiorità nel mondo islamico e animista; vittima presso diverse culture di vere e proprie mutilazioni fisiche; sottoposta al ripudio del maschio in tutte le culture antiche, la donna diventa col Cristianesimo creatura di Dio, al pari dell'uomo" (pagg. 42-43). E lo diventa, per quanto possa apparire improbabile alla mentalità femminista oggi dilagante, soprattutto in virtù dei sacramenti cristiani e del matrimonio monogamico e indissolubile. L'Autore spiega infatti che le conseguenze storiche della diffusione degli istituti cristiani (come il matrimonio), oggettivamente riscontrabili nel confronto con le società passate, furono molteplici: in primo luogo, basti considerare che quella cristiana "è l'unica religione della storia in cui il rito di iniziazione e quindi di ammissione alla comunità, cioè il battesimo, è uguale per uomini e donne" (pag. 46). Quindi, il fatto storico altrettanto inequivocabile che "condannando l'esposizione dei bambini e l'infanticidio [il Cristianesimo], limita drasticamente una pratica molto diffusa in tutto il mondo, dall'antica Roma [dove era approvata persino da uomini come Seneca e Tacito] alla Cina e all'India di oggi, e avente più spesso come vittime le femmine" (pag. 47). Infine, ma non meno importante, il fatto che il matrimonio per un cristiano (come da legge naturale) sia monogamico e indissolubile "sottintende anzitutto la dignità degli sposi: non è lecito ad un uomo avere più mogli, nel suo gineceo o nel suo harem […] non è lecito ripudiare la moglie come un oggetto né sostituirla con delle schiave […] e neppure, ovviamente, il contrario" (pag. 47). Tutta la storia della Chiesa, a ben vedere "tende a salvare proprio questa pari dignità: vietando ovviamente ogni diritto di vita o di morte dell'uomo sulla donna; tutelando il più possibile il libero consenso degli sposi; innalzando l'età del matrimonio della donna (che per i Romani erano sovente i dodici anni); togliendo ai genitori la possibilità di violare la libertà dei figli, e in particolare ai padri di decidere il marito della figlia; combattendo l'abitudine dei matrimoni combinati, soprattutto tra i nobili; contrastando in ogni modo i matrimoni forzati, in cui solitamente era la donna a fungere da vittima" (pag. 48). Come si vede, l'elenco è pressochè sterminato ma se non si fosse ancora convinti si può sempre confrontare la condizione odierna della donna occidentale, frutto di questo lungo processo di seminagione, con quella tuttora riscontrabile in luoghi dove il Cristianesimo non è mai penetrato o è appena presente in piccole comunità di minoranza, come l'Asia e ampie zone dell'Africa. Quali donne hanno più dignità, più libertà, più diritti?

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Sentinelle nel post-concilio

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Francesco Agnoli, Sentinelle del post-concilio. Dieci testimoni controcorrente, Cantagalli 2011, EAN 9788882727352, Pagine 160,
Prezzo:€ 10,00

 

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''Il concilio che si inizia sorge nella Chiesa come un giorno foriero di luce splendidissima.'' Cosi' Giovanni XXIII apriva il Concilio Ecumenico Vaticano II l'11 ottobre 1962. Purtroppo gli anni che seguirono furono meno splendenti di quel che ci si augurava, la ricezione del concilio piu' difficile di quel che si sperava, eppure l'esaltazione di un certo ''spirito conciliare'' ha caratterizzato la vita della Chiesa per quasi cinquant'anni.

Lo stesso Paolo VI si mostro' allarmato della situazione post-conciliare, poi Giovanni Paolo II e ora Benedetto XVI hanno piu' volte messo in guardia da erronee interpretazioni. C'e' il rischio pero' che il dibattito sul Vaticano II rimanga solo in ambito specialistico, mentre la natura di queste derive pastorali e dottrinali e' importante possa essere conosciuta da tutti, per questo la testimonianza di alcune grandi personalita' puo' essere utile.

Si propone allora non un trattato teologico, ne' storico, ma una specie di inchiesta da cui far emergere il ruolo di alcune ''sentinelle'' che nel post-concilio hanno rappresentato una voce fuori dal coro. Personalita' spesso controcorrente, etichettate con troppa facilita': Eugenio Corti, Romano Amerio, Giovannino Guareschi, S. Pio da Pietralcina, P. Tomas Tyn, Don Divo Barsotti, P. Cornelio Fabro, il Card. Giuseppe Siri, Mons. Brunero Gherardini, sono le ''sentinelle'' tratteggiate da vari autori in questa breve indagine.

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La quotidiana battaglia contro Satana di p. Amorth

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Stampa inside the Devil (fonte Palazzo Apostolico)

4 febbraio 2012 – La Stampa

di Giacomo Galeazzi

Gabriele Amorth, l’anziano sacerdote paolino che sotto il pontificato wojtyliano divenne l’esorcista ufficiale della diocesi di Roma, continua ancora a combattere indefesso contro colui che egli chiama «Il Grande Nemico»: Satana, il principe dell’inferno.

La sua battaglia è ben enucleata nell’esplosivo libro scritto a quattro mani col giornalista del «Foglio» Paolo Rodari: «L’ultimo esorcista», appena uscito per le edizioni Piemme.

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