Controstoria dell’Unità d’Italia

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Gigi Di Fiore, Controstoria dell’Unità d’Italia. Fatti e misfatti del Risorgimento, Rizzoli 2007, pagg. 461, ISBN: 8817018465, € 19,50

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"Quando i posteri esamineranno gli atti del governo e del Parlamento italiano durante il risorgimento, vi troveranno cose da cloaca."  Giuseppe Garibaldi

Come è possibile che un manipolo di 1000 garibaldini abbia sconfitto un esercito di 50.000 borbonici?
È una domanda cui le rievocazioni celebrative del Risorgimento italiano non danno risposte convincenti. E non è la sola, con sé ne porta molte altre: con quali poteri, con quali mafie dovettero allearsi Garibaldi e Cavour? Perché ci vollero cannoni e fucili per domare la ribellione contadina nelle regioni del Mezzogiorno subito dopo l’annessione?
Quella che la storia, scritta dai vincitori, ha battezzato “unificazione d’Italia” fu in realtà una guerra di conquista condotta dal Piemonte contro gli Stati sovrani del Centro e del Sud. E nei decenni successivi, dai manuali scolastici ai romanzi, fino agli sceneggiati televisivi, gli eventi che non si accordavano con la retorica patriottica sono stati nascosti o deformati.
Così, dei ventidue anni dall’esplosione rivoluzionaria del 1848 alla breccia di Porta Pia, molto rimane nell’ombra: il bombardamento piemontese di Genova nel 1849, i plebisciti combinati per le annessioni degli Stati centrali, le agitazioni manovrate da carabinieri infiltrati, i provvedimenti anticattolici, la guerra al brigantaggio e le “leggi speciali”, la corruzione dei conquistatori e le loro collusioni con la malavita locale. E personaggi pittoreschi come il temuto brigante Nicola Summa, detto “Ninco Nanco”, o la contessa di Castiglione, cugina del conte di Cavour, inviata a Parigi per ammaliare Napoleone III e conquistare il suo appoggio politico e militare al regno sabaudo.
Gigi Di Fiore chiama a raccolta queste figure e vicende dimenticate, per ribaltare un periodo cardine della nostra storia moderna e vederlo con gli occhi dei vinti. Recupera documenti e testimonianze di una storiografia spesso oggetto di una vera e propria congiura del silenzio. E restaura l’affresco scrostato del nostro Risorgimento portando alla luce gli intrighi e le ambiguità della guerra scatenata dal Nord contro il Sud. Una provocazione necessaria, per andare alle radici delle questioni irrisolte che ancora oggi spaccano il Paese.

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Cristianofobia. La nuova persecuzione

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R. GUITTON, Cristianofobia. La nuova persecuzione, Lindau 2010, ISBN: 978-88-7180-855-0; pp. 320, Euro 23,00.

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"I cristiani del Maghreb, dellAfrica subsahariana, del Medio e dellEstremo Oriente sono perseguitati, muoiono o scompaiono in una lenta emorragia, vittime del crescente anticristianesimo. La cristianofobia è multiforme e si nutre di motivazioni tra loro assai diverse: tuttavia, ogni anno fa parecchie centinaia o addirittura migliaia di morti. In alcuni casi essa é frutto dell’adozione di una politica ispirata a idee di puliziaetnica e religiosa il cui scopo é cacciare dalla culla del Cristianesimo le popolazioni cristiane, ostinatamente fedeli al credo dei loro antenati. Il nostro silenzio in proposito ricorda altri silenzi di sinistra memoria, e nel giro di due o tre decenni provocherà forse nuovi imbarazzati appelli al pentimento e dichiarazioni di rimpianto per non aver voluto far affiorare una verità che doveva essere resa nota a tutti".

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Queste parole del filosofo francese Renè Guitton, poste come significativo incipit del saggio qui presentato, riassumono realisticamente la spaventosa persecuzione – dalle dimensioni ormai globali – che il Cristianesimo sta vivendo in questo momento storico. Ridotti a una presenza poco più che simbolica in Terra Santa e perseguitati apertamente in diverse aree del Medioriente e in Asia (Cina, India, Corea del Nord, Vietnam), i cristiani sono oggi il gruppo religioso più perseguitato in assoluto. Nelle ultime settimane il tema sta finalmente emergendo anche sulle prime pagine dei mass-media internazionali ma duole constare che, superato il fatto eclatante di cronaca del momento (spesso una strage o un delitto particolarmente efferato), ben pochi si prendono poi cura di spiegare e far capire la difficile quotidianità che milioni di cristiani oggi sono chiamati a vivere. Il motivo è che, almeno nell’Occidente sempre più scristianizzato dei nostri giorni, si fa fatica a concepire che da qualche parte nel mondo i cristiani possano essere perseguitati semplicemente perchè cristiani. Questo atteggiamento di supponenza diffusa (evidentemente discriminatorio) porta così di fatto a ignorare, o censurare, le varie richieste di aiuto delle numerose minoranze cristiane che si trovano in condizioni di sofferenza, se non di vera e propria estinzione. Il risultato è un circolo vizioso perverso: nei loro rispettivi Paesi d’origine questi cristiani sono emarginati proprio perchè cristiani e non vogliono rinunciare ad esserlo ma, siccome sono emarginati nella loro stessa terra, in Occidente la loro sorte non interessa nessuno. Il saggio di Guitton quindi, in tesi, si propone di "combattere la gravissima disinformazione che affligge l’opinione pubblica occidentale a proposito della situazione dei cristiani nel mondo e in particolare nelle regioni dove essi sono minoritari, come nel Maghreb, nellAfrica subsahariana, in Medioriente e in Estremo Oriente" (pag. 11). 

 

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Per impostare il discorso nella giusta prospettiva occorre ricordare preliminarmente, a costo di ripetersi, che il Cristianesimo è nato in Oriente e qui si è sviluppato ben prima che l’Europa diventasse quasi completamente cristiana. La Chiesa primitiva, per secoli, vive soprattutto grazie all’afflato missionario delle fiorenti comunità mediorientali e che si affacciano numerose da una sponda all’altra del Mediterraneo. Ad ognuna di queste aree geografiche (oggi massicciamente islamizzate), visitate personalmente più volte dall’Autore durante la stesura del libro, è dedicato un capitolo del saggio. Chi si recasse oggi a Cartagine, magari entusiasmato dalla lettura delle opere di Sant’Agostino, scoprirebbe così che l’antica cattedrale è diventata un museo e – soprattutto – che i cartaginesi odierni non amano sentir parlare del grande Padre della Chiesa e neanche di San Cipriano – per citare un’altra grandissima figura di Vescovo locale – come di loro nobili antenati, anzi. In questo senso, la vicina Algeria rappresenta un caso-tipico. Dopo i repentini cambiamenti politici degli ultimi anni, la decennale guerra civile e lo spaventoso eccidio dei monaci trappisti di Tibhirne (di cui furono ritrovate le teste ma non i corpi, nel 1996), a nessuno è consentito mettere pubblicamente in discussione l’identità arabo-musulmana della nazione. Con la fine della comunità di Tibhirne, l’unico monastero maschile dell’africa settentrionale è oggi quello di Midelt, città situata alla congiunzione del Medio e dell’Alto Atlante marocchini. E questo è tutto, dopo diciassette secoli di Cristianesimo.

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Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta

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Roberto de Mattei, Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, Lindau Edizioni 2010, EAN 9788871808949, pagine 632, Euro 38

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E’ inutile nascondersi dietro a un dito: tutti stiamo rigirando tra le mani l’ultima fatica di Roberto de Mattei.

Il fatto è che probabilmente siamo di fronte alla ricerca più importante che sia mai stata scritta da uno storico cattolico sulla Chiesa degli anni precedenti e successivi al Concilio. Si tratta di un lavoro poderoso, di oltre 600 pagine, con molti documenti inediti e d’archivio, reperiti anche all’estero, specialmente tratti da diari di protagonisti del Concilio. Già. Perché De Mattei non è un millantatore, ma è davvero un professore universitario statale di storia moderna, come risulta dal sito del Ministero per l’Università (1).

Il suo lavoro è di fatto la prima e unica risposta "scientifica" alla faziosa Storia del Concilio del comunista G. Alberigo & compagni. Infatti, il piccolo libro di padre Ralph Wiltgen (The Rhine Flows into the Tiber: the Unknown Council; Hawthorn Books, New York 1967) non è mai stato tradotto in italiano, mentre la pur coraggiosa opera di Mons. Agostino Marchetto (Concilio Vaticano II contrappunto per la sua storia) è piuttosto una risposta apologetica all’opera di disinformazione svolta dai dossettiani di Bologna, che una vera e propria ricerca storica.

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Prima di proporre questo libro ai propri lettori, totustuus.it è stata colta da dubbi provocati da recensioni apparse sulla stampa e vari siti internet.

Quelle contrarie al libro, tuttavia, ci sono sembrate permeate dalla preoccupazione di conservare la propria rispettabilità: De Mattei è indubbiamente uno studioso scomodo e "crudo". Quelle favorevoli, non ci sembra che abbiano colto l’originalità del lavoro del professore romano.

A noi pare che la portata di quest’opera non possa essere ridotta alle sviste (pur presenti) sull’ermeneutica della continuità (Agnoli e Gnocchi con Introvigne) o etichettata banalmente come una storia del Concilio scritta da un punto di vista conservatore (l’ex prete Gianni Gennari e Melloni con Tornielli).

Ai primi va detto che, se è chiaro che l’unico modo corretto di leggere i testi del Concilio è alla luce dell’immutabile dottrina cattolica, è anche vero che il lavoro di uno storico va valutato per la sua scientificità e non per dei giudizi (per giunta controproducenti) forse provocati dal dolore per l’efficienza di chi vuol distruggere la Chiesa dall’interno.

Ai secondi, invece, basta far notare che il liquidare come "lefebvriano" uno studioso serio non solo non elimina la realtà dei fatti, ma ricorda tanto la democrazia dei soviet. Se, invece, le intenzioni di liquidare l’opera sono "buone", si deve ricordare che Benedetto XVI ha parlato della situazione della Chiesa dopo il Concilio come di "una battaglia navale nel buio della tempesta" (22-12-2005): ci sembra pertanto poco responsabile esibire un ottimismo superficiale o, come gli struzzi, nasconder la testa sotto la sabbia. Certo, è evidente che quest’opera piacerà anche agli eretici sedicenti tradizionalisti, ma costoro costituiscono ormai un fenomeno sociologicamente irrilevante e meritevole di cure. (altro…)

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L’Autobiografia di Chesterton

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Gilbert K. Chesterton,  Autobiografia; Lindau Edizioni 2010, EAN 9788871808772, Pagine 392; Euro 27,00

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Inchinandomi con la mia cieca credulità di sempre di fronte alla mera autorità e alla tradizione dei padri, bevendomi superstiziosamente una storia che all’epoca non fui in grado di verificare di persona, sono fermamente convinto di essere nato il 29 maggio del 1874 a Campden Hill, Kensington; e di essere stato battezzato secondo il rito anglicano nella piccola chiesa di Saint George, che si trova di fronte alla torre dell’acquedotto, immensa a dominare quell’altura. Non attribuisco nessun significato al rapporto tra i due edifici; e nego sdegnosamente che la chiesa possa essere stata scelta perché era necessaria l’intera forza idrica della zona occidentale di Londra per fare di me un cristiano.

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Mi hanno raccontato che, quando mi annunciarono che avevo un fratellino, il mio primo pensiero andò al piacere che provavo nel recitare versi e dissi: «Benissimo, d’ora in poi avrò sempre un pubblico». Se l’ho detto davvero, mi sono sbagliato. Mio fratello non aveva alcuna intenzione di essere un semplice ascoltatore e molto spesso obbligò me a essere il suo pubblico. Spesso tuttavia eravamo tutt’e due oratori senza pubblico. Discutemmo per tutta l’adolescenza e la giovinezza, finché diventammo la bestia nera di chi ci stava intorno. Gridavamo concitati l’uno contro l’altro, dai due lati del tavolo, discutendo di Parnell o del puritanesimo, o della testa di Carlo I, finché coloro che ci erano più vicini e più cari, scappavano via e intorno a noi si faceva il deserto. Anche se non c’è ragione di rallegrarsi tanto per aver costituito un supplizio per gli altri, sono felice di aver potuto esprimere sempre un’opinione su tutti i soggetti del mondo. Sono felice al pensiero che non cessammo mai di discutere e che non litigammo mai. Forse non ci azzuffavamo solo perché così avremmo troncato la discussione. A ogni modo, il dibattito tra noi non si interruppe mai, se non quando si avviava alla conclusione naturale, cioè la persuasione. Non era tanto che l’uno o l’altro finisse per ammettere di essere in errore, piuttosto, attraverso un processo di dissenso incessante, trovavamo infine un accordo. Cecil cominciò come una sorta di pagano ribelle, un nemico giurato dei puritani, un difensore dei piaceri da bohémien, socievole, ma totalmente laico e secolare; io cominciai con una tendenza a difendere, in modo un po’ vago, l’idealismo vittoriano e perfino a spendere una parola in favore del puritanesimo, soprattutto perché animato da una confusa simpatia inconscia per ogni tipo di religione. Alla fine, con un processo di eliminazione, giungemmo a pensare che una religione non puritana fosse più plausibile, e anche più piena di promesse. Quindi, anche se indipendentemente l’uno dall’altro, approdammo alla stessa Chiesa. Penso che per noi sia stato un bene aver messo alla prova nelle discussioni ogni minimo passaggio logico, con critiche continue e reciproche. Aggiungerò anzi qualcosa che sembra una vanteria, anche se intende essere un omaggio. Dirò che colui che si era fatto le ossa discutendo con Cecil Chesterton, non fu mai intimidito in seguito da altri dibattiti.

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Elisabetta la sanguinaria. La creazione di un mito

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Elisabetta Sala, Elisabetta la sanguinaria. La creazione di un mito. La persecuzione di un popolo, Ares 2010, ISBN-10: 8881555069 ; ISBN-13: 978-8881555062 ; Euro 20,00

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Di tutta la grande famiglia dei "fratelli riformati", gli anglicani sono quelli che più si avvicinano ai cattolici. Ciò è dovuto al senso di moderazione degli inglesi, che hanno saputo trovare un compromesso tra gli estremi. L’equilibrio fu raggiunto da una sovrana, tollerante e di larghe vedute, che seppe contrastare il fanatismo religioso della sorella (Maria la sanguinaria) riuscendo a creare una fede nazionale. Elisabetta I fu la regina più amata della storia. Fu grazie a lei che l’Inghilterra si affermò come potenza mondiale; fu intorno a lei che i suoi sudditi si strinsero nel momento del pericolo.

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Tutto ciò è romantico e commovente; peccato che, come questo libro dimostra, sia profondamente falso.
Il regime elisabettiano fu, di fatto, un sistema totalitario tra i più amari della storia.
Peccato che il mito di Elisabetta sia stato costruito da una minoranza al governo che fece carte false per conservare il potere.
Peccato che il popolo si sia visto perseguitato, impoverito, come mai prima di allora.
Peccato che la tanto decantata "vicinanza" degli anglicani al cattolicesimo sia nata da un duplice desiderio molto semplice e concreto: gettare fumo negli occhi dei sudditi e formare una gerarchia di agenti governativi travestiti da ecclesiastici.
Peccato che l’evoluzione-involuzione degli inglesi sia costata migliaia di vite, molte delle quali finirono immolate e squartate sul patibolo per alto tradimento.

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1861. La storia del Risorgimento che non c’è sui libri di storia

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Giovanni Fasanella & Antonella Grippo, 1861. La storia del Risorgimento che non c’è sui libri di storia, Sperling & Kupfer 2010, ISBN-10: 8820049112 ; ISBN-13: 978-8820049119, 273 pagine; Euro 18,50

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E’ il sottotitolo di un pamphlet di 273 pagine che ho appena finito di leggere, ha la pretesa di raccontare ai lettori la vera storia del risorgimento. Il titolo è scarno, 1861, edito daSperling & Kupfer (2010), gli autori sono Giovanni Fasanella, Antonella Grippo, due emeriti sconosciuti, tra l’altro lo scrivono che non sono storici di professione, ma giornalisti, insegnanti, appassionati di storia, soprattutto di quella ‘nascosta’, poco raccontata perché sottovalutata o, peggio, ignorata di proposito.
 

 Certamente questi scrittori non godono della simpatia dei cosiddetti storici di professione che hanno scritto per sempre la storia ufficiale risorgimentale e ora come   cani da guardia, stanno attenti che  che nessuno osi mettere in discussione la loro mitologia sul risorgimento.
 

 1861 è un libro che volutamente mette in discussione la leggenda aurea  risorgimentale, non è un libro sul passato, a dispetto delle apparenze, racconta il presente. Si perché gli autori raccontando i fatti, gli intrighi, di quegli anni, sono convinti che esiste un filo rosso che percorre l’intera storia italiana dalla sua nascita a oggi.
 

 “Un Paese che non sa da quale passato arriva difficilmente è in grado di capire il presente e – quel che è peggio – rischia di non essere capace di progettare il proprio futuro”. Gli autori s’interrogano sul modo in cui l’Unità venne prima realizzata e poi gestita. C’è un codice genetico del Paese che spesso riaffiora, ferite che non si rimarginano mai, soprusi, violenze e illegalità che tornano periodicamente a galla e che sono difficili da controllare proprio perché non si affrontano gli aspetti storici.
 Fasanella e la Grippo, forse raccontano episodi “minori”, ma questi certamente contribuiscono a illuminare aspetti sottaciuti dalla ‘verità ufficiale’, ignorati dai libri di testo su cui si è formata per intere generazioni la nostra coscienza collettiva. Soprattutto nel ventennio fascista, c’è stata una reticenza della storiografia, giustificata da un’esigenza prettamente politico-ideologica: era necessario creare una ‘vulgata’ sul Risorgimento proprio per ‘nascondere’ i metodi, non sempre legittimi, con cui era nata l’Italia.

 

 Secondo gli autori del libro, non si poteva né si voleva dire della ‘guerra sporca’, coloniale, di conquista, combattuta sotto l’egida di potenze internazionali con l’utilizzo sistematico di informatori e agenti provocatori, con plebisciti truccati e l’appoggio della malavita, ricorrendo addirittura alle stragi di civili inermi compiute da un esercito regolare.
 

 Sono verità scomode, che non devono essere raccontate, per non rischiare di far crollare il fragilissimo edificio unitario. Per questo il risorgimento è stato celebrato, più che raccontato. Del resto mi sembrache sia ancora questo l’indirizzo che viene dato dall’apparato celebrativo dei 150 anni dell’unità d’Italia. Capita puntualmente appena si organizza anche il più piccolo dei convegno nel più sperduto centro del nostro Paese.
 E’ stato creato il mito intoccabile, che non si può mettere in discussione. Ma come sempre accade, – scrivono gli autori di 1861prima o poi la polvere nascosta maldestramente sotto il tappeto riaffiora.. E riemergono tutte le questioni irrisolte, Persino velleità secessionistiche e progetti di frammentazione politico-territoriale, che vagheggiano quasi un ritorno a situazioni preunitarie del tutto anacronistiche.

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Andreas Hofer. Il Tirolese che sfidò Napoleone

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\"\"P. GULISANO, Andreas Hofer. Il Tirolese che sfidò Napoleone, Ancora 2010, pp. 146, EAN 9788851407315, Euro 14,00.

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            Come noto, la Storia (quella con la ‘S’ maiuscola che si legge nei manuali e nei libri di testo scolastici e che contribuisce a determinare in modo sostanziale giudizi e forma mentis delle future classi dirigenti di un Paese) la scrivono solitamente i vincitori. Il dibattito di questi mesi sul cosiddetto ‘Risorgimento’, cioè sull’edizione italiana della Rivoluzione francese, con le sue gravose ricadute politiche, sociali e culturali marcatamente anticattoliche, ne è un esempio: tutti conoscono i ‘padri’ della Patria, come la retorica risorgimentale definisce Cavour, Garibaldi, Mazzini e lo stesso Vittorio Emanuele. Molti di meno, per non dire pochi eletti, conoscono invece la storia e le storie di quanti, non certo meno italiani dei primi, combatterono dalla parte degli sconfitti in quella prima manifestazione identitaria di popolo che furono le Insorgenze, ovvero le sollevazioni antinapoleoniche e controrivoluzionarie, spontanee, che si diffusero praticamente ovunque nell’Italia tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento in coincidenza con l’avanzata dell’occupante francese e l’instaurazione dei relativi governi giacobini, dichiaratamente promotori di istanze anticristiane ed estranee al corpo sociale della Penisola. A tal proposito, quest’anno ricorrono i cento anni dalla morte di Andreas Hofer (1767-1810), eroe della battaglia per la libertà del Tirolo e difensore esemplare della fede cristiana contro la politica massonica e illuminista degli aggressori francesi, spalleggiati nella fattispecie dalla Baviera giacobina (e in cui aveva una parte non irrilevante la loggia degli Illuminati, resa ultimamente famosa, ma sempre a sproposito, dall’ennesimo romanzo dello scrittore americano Dan Brown). Il documentato saggio di Paolo Gulisano, che è da tempo attento studioso del fenomeno delle Insorgenze, oltre ad essere affermato apologeta di primo livello e raffinato studioso della letteratura anglosassone del Novecento, fornisce quindi lo spunto ideale per riscoprire in modo autentico quelle radici dell\’identità europea e italiana su cui tanto si discute, anche in considerazione del fatto che proprio pochi mesi fa la figura di Hofer è stata rievocata in una importante lettera pastorale dai Vescovi delle diocesi che storicamente hanno composto il Tirolo, opportunamente riportata in appendice al volume. 

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            L’Autore, presentando le coordinate storiche in cui gli eventi si svolgono, principia dalla considerazione che la ribellione guidata da Hofer fu soprattutto la reazione di una società contadina, tradizionale, cattolica, all\’aggressione perpetrata dallo stato autoritario uscito dalla Rivoluzione Francese del 1789, “uno Stato formalmente espressione della rivoluzionaria volontà popolare, ma in realtà profondamente estraneo al popolo vero’, quello che viveva nelle grandi città come nelle campagne” (pag. 9). Certo, questa rivoluzione, che diventerà poi la révolution per eccellenza, ha sempre goduto di una stampa favorevole, “presentata come il riscatto degli oppressi contro una società ancora pressoché feudale, come lavanzare della modernità e del progresso… [In realtà] non molti hanno voluto rendersi conto che, al contrario, fu laffermarsi di un tentativo oligarchico di conquistare e reggere il potere ai danni degli stessi poveri, di cui principalmente la Chiesa si fece voce” (ibidem). La lotta di Hofer sarà quindi una vera e propria guerra di liberazione contro un invasore (le truppe franco-bavaresi al servizio di Napoleone) che in poco tempo aveva imposto al Tirolo una serie di riforme che riducevano pesantemente le antiche libertà (non ultima quella religiosa) e la storica autonomia politica della regione. Una prima invasione francese ebbe inizio nell’agosto del 1796 e sarà quella che porterà alla creazione di varie repubbliche rivoluzionarie modellate sull\’esempio giacobino, tra cui la Repubblica Cispadana che in quel di Reggio Emilia “adottò il 7 gennaio 1797 il tricolore bianco rosso e verde quale bandiera nazionale. Non era altro, ovviamente, che il tricolore della rivoluzione francese, con il blu di Francia sostituito dal verde, il colore simbolo della massoneria” (pag. 38). Miracolosamente, è proprio il caso di dirlo, il Tirolo venne però risparmiato: il popolo scelse infatti di ricorrere anzitutto alle armi della Fede e giurò di venerare in modo particolare il Sacro Cuore di Gesù qualora fosse stato preservato dall’invasione. Così in effetti avvenne e il 3 giugno 1796 il voto fu solennemente espresso nel Duomo di Bolzano. La libertà era salva, per il momento. Nel frattempo il carismatico Hofer, che in passato era stato già eletto della Dieta tirolese come rappresentante dei contadini della val Passiria (il suo luogo natale), stimato per la sua integrità morale e lavoratore instancabile e appassionato della sua terra, diventa sempre più un punto di riferimento della comunità e lo è ancora quando nel novembre 1805, in seguito alla disfatta austriaca di Austerlitz, il trattato di Presburgo (attuale Breslavia, in Slovacchia) assegna la provincia del Tirolo – comprendente il territorio fra l\’Inn e le Alpi, Trentino compreso – al re Massimiliano di Baviera, alleato di Napoleone.

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Percorsi con Clive Staples Lewis

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  • Paolo Gulisano, C.S. Lewis. Tra fantasy e Vangelo, Edizioni Ancora , 2005, pp. 200, € 15.
  • Paolo Gulisano, I segreti del mondo di Narnia, Edizioni Piemme , 2008, pp. 201, € 14,50.
  • Giovanni Calabria-Clives Staples Lewis, Una gioia insolita. Lettere tra un prete cattolico e un laico anglicano, Edizioni Jaca Book , 1995, pp. 307, € 14,46.
  • Clives Staples Lewis, Diario di un dolore, Edizioni Adelphi , 1990, pp. 85, € 8.
  • Clives Staples Lewis, Le lettere di Berlicche, Edizioni Mondadori, 2000, pp. 154, € 8.
  • Clives Staples Lewis, I quattro amori. Affetto, amicizia, eros, carità, Edizioni Jaca Book , 1990, pp. 127, € 14.
  • Clives Staples Lewis, Le cronache di Narnia, Edizioni Mondadori , 2006, pp. 1152, € 22.

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Percorsi con Clive Staples Lewis

 

Clive Staples Lewis (1898-1963) è stato uno scrittore irlandese reso noto al grande pubblico ultimamente anche in Italia, attraverso la trasposizione cinematografica dei primi due dei sette romanzi di genere fantasy scritti e raccolti con il titolo: "Le cronache di Narnia".

Soprattutto il primo della serie: "Il leone, la strega e l’armadio", composto dall’autore cristiano nel 1950, ha conosciuto un business e merchandising considerevoli, legati alle figure allegoriche del leone Aslan (Cristo), della gelida strega bianca e dei quattro ragazzini che attraverso e "attraversando" l’armadio, giungono nel freddo e crudele regno di Narnia, dove solo il calore del Bene e dell’Amore, ovvero il sacrificio e il soffio vitale di Aslan, possono ri-donare vita, calore e colore. Il monito che il vecchio professor Kirke fa ai quattro ragazzi: "Tenete gli occhi aperti" è sempre attuale e può essere rivolto a ciascuno di noi.

In questo modo semplice e chiaro, il consiglio di Kirke fa sì che l’incantesimo della fiaba e dell’allegoria di Lewis possa produrre benefici influssi anche su di noi, auspicabili cooperatori di Aslan.

Per saperne di più del fantastico mondo di Narnia ( a proposito, dovrebbe uscire prossimamente al cinema il terzo episodio della serie, dal titolo: "Il viaggio del veliero") rimando a due testi di Paolo Gulisano, entrambi editi da Ancora: "Tra fantasy e Vangelo" e "Il mondo di Narnia" e ad un testo di Edoardo Rialti : "Prima che faccia notte" (edizioni Bur).

Come ha scritto Walter Hooper, segretario personale e amico di C.S.Lewis, massimo curatore delle opere del grande scrittore nativo di Belfast : "Lewis sognò il leone di Narnia per scrivere la storia umana di Cristo".

Infatti per Lewis, come egli stesso scrisse: "Una storia puramente umana doveva contenere Dio, altrimenti non sarebbe stata umana". La faticosa riscoperta del ruolo di Cristo nella storia e nella vita degli uomini è condizione imprescindibile dell’autentica avventura umana. In Lewis tale riscoperta si traduce nel senso di gratitudine verso la vita, attraverso una gioia ben consapevole e testimoniata anche tra difficoltà segnate dalla presenza del male e del dolore. Quel dolore che il giovane Lewis conobbe fin dall’età di dieci anni, quando perse per malattia la cara mamma Flora, la quale lo aveva preparato allo studio del latino e gli aveva trasmesso la sua passione per la lettura.

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Pitesti, inferno per i cristiani

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Dario Fertilio, Musica per lupi, Marsilio 2010, Pagine 208, EAN9788831799669, Euro 15,00

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Non ci sono solo le missionarie opere cristiane, anche l’ateismo socialista ha prodotto le sue. Oltre alla cultura illuministica, sfociata presto nella ghigliottina francese, l’ateismo si è anche molto impegnato nel ‘900. Una sua maggiore opera fu avviata in Romania e per quanto incredibile possa sembrare, è la prova esistente di un luogo ben peggiore di Auschwitz.

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Ben oltre i Gulag, oltre ancora Pol Pot. Ma anche oltre Auschwitz e Mengele. L’apice dell’orrore del socialismo, l’orrore del totalitarismo, è stato toccato fra il 1949 e il 1952 nel carcere speciale di Pitesti, in Romania, a nord di Bucarest. Senza dubbio fu così, come documenta Musica per lupi. Il racconto del più terribile atto carcerario nella Romania del dopoguerra di Dario Fertilio (Marsilio, pagg. 172, euro 15) appena uscito in libreria. A Pitesti, sotto la guida di Eugen Turcanu (anch’egli detenuto, caratterizzato da acuta intelligenza, prestanza fisica e istruito allo scopo) il neonato regime socialista cercò, al fine di creare l’uomo nuovo, di azzerare l’anima dei prigionieri: intellettuali, borghesi, religiosi, persone comuni. «Soprattutto studenti universitari», come annota Fertilio, «d’opposizione al regime instauratosi, in Romania, sulla punta delle baionette sovietiche». Erano in gran parte legionari dell’Arcangelo Michele, o Guardie di Ferro: insomma, ex allievi del leader di estrema destra (e filo-nazista) Corneliu Codreanu. Lo strumento utilizzato erano le torture continue, giorno e notte, senza pausa. Queste torture, in un crescendo senza fine, potrebbero ricordare quanto descritto nelle 120 giornate di Sodoma del marchese De Sade, poi ripreso nel celebre film di Pier Paolo Pasolini. Ma furono molto peggio. Al punto che per leggere questo libro durissimo, bisogna mentire a se stessi e convincersi del fatto che non è possibile siano accadute simili atrocità.

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Mons. Luigi Negri, Parole di fede

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Mons. Luigi Negri, Parole di fede ai giovani,  Edizioni Fede & Cultura , 2010, ISBN 9788864090672, pp. 80, € 8

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LA FELICITÀ È UN INCONTRO
presentazione di Massimo Pandolfi

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Un mio caro amico – che si chiama Gian Piero Steccato – nella primavera del 2009 è stato ricevuto dal Papa e gli ha fatto pervenire questo messaggio: «Ho voglia di vivere, sono entusiasta e curioso, amo la natura e il mondo in cui ho la fortuna e il privilegio di esistere. Sono consapevole che la mia fortuna è frutto della volontà del Signore e ringrazio infinite volte per quanto mi viene concesso».
Gian Piero è una persona felice. Eppure Gian Piero è da più di dieci anni un uomo completamente paralizzato, muto, cieco, mezzo sordo e attaccato ventiquattro ore su ventiquattro a un respiratore artificiale. È anche un po’ storpio.
Viene da chiedersi: come fa uno ridotto così a scrivere cose simili al Papa? È per caso matto? O forse è già un Santo? Ma è davvero felice? E che cos’è poi questa benedetta felicità?
È proprio attorno a questa parolina magica – felicità – che ruota tutto il lavoro svolto da Monsignor Luigi Negri con i giovani della sua Diocesi, lavoro quotidiano che tocca poi a ognuno di noi, adulto o bambino che sia, perché ciascuno deve imparare a vivere, deve imparare a cercare la sua felicità.
Il disgraziatissimo Gian Piero è felice di vivere, Cesare Pavese (viene ricordato in questo libro) si ammazzò la sera stessa in cui vinse il Premio Strega: non aveva trovato un senso alla sua esistenza e anche in quelle ore in cui poteva toccare il cielo con un dito, vedeva solo il dito e poi il nulla. Gli occhi del suo cuore non riuscivano ad aprirsi verso il cielo; non ha trovato niente e nessuno che glieli spalancasse.
Gian Piero Steccato e Cesare Pavese: c’è qualcosa che straripa dai nostri ordinari e forse banali argini umani in queste due esperienze e allora fa bene Negri, riprendendo le parole di Benedetto XVI, a suggerire ai giovani di andare controcorrente, «non per dimostrare chissà che cosa, ma per essere se stessi».
Cosa vuol dire essere se stessi? Vuol dire forse, parafrasando Raoul Follereau, che «la sola verità è amarsi» o come dice un po’ brutalmente, ma senza falsi buonismi, uno dei più bravi poeti contemporanei, Davide Rondoni: «Ognuno di noi cerca la felicità; è giusto, è normale. Anche perché io della felicità dell’altro non so che farmene. La questione della felicità è una questione personale, è una questione tua, una questione in cui si gioca la tua libertà, cioè ad un certo punto sei tu che dici e riconosci qual è la presenza che ti rende felice. La felicità non è un argomento, non è un tema, non è un’idea, non è un discorso: la felicità è un incontro». E Rondoni ci spiega anche come fa il mio amico Gian Piero ad essere felice, ci dimostra come per essere felici nella sua condizioni non sia affatto necessario essere matti o santi: «Il cristiano la chiama letizia, cioè il fatto che possa permanere uno sguardo positivo sulla vita anche nelle difficoltà, nel dolore. Io voglio essere felice anche nel dolore! Io posso essere felice anche nel dolore! Ci siamo abituati a mettere in contrapposizione questi due termini, ma non è così: si può essere felici anche nel dolore».

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