1861. Le due Italie

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\"\"Massimo Viglione, 1861. Le due Italie – Identità nazionale, unificazione, guerra civile. Ares 2011, EAN 9788881555222, Pagine 424, Euro 20,00

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Dal gentile autore riceviamo la conclusione dell\’opera:

 

Il nodo da sciogliere della storia italiana
 
Il mito risorgimentale poggia su molteplici travisamenti storici, ideali e religiosi (ideologia risorgimentale), il cui risultato è questo indiscutibile “dogma nazionale”: in Italia, per essere patrioti, per dimostrare di amare l’Italia, occorre amare il Risorgimento, in quanto è con esso che è nata la nostra patria. Si è sempre voluto a tutti i costi (e oggi con rinnovato spirito) far penetrare nelle menti degli italiani che l’unica via al patriottismo sia la celebrazione risorgimentale, la venerazione dei quattro “padri della patria”. È la più grande vittoria della vulgata risorgimentale, l’inganno per eccellenza: il far credere che chi narra ciò che è stato occultato (le insorgenze, il settarismo utopista, la guerra alla Chiesa Cattolica, i brogli elettorali dei plebisciti, le stragi di “briganti”, il piemontesismo, il fiscalismo, l’emigrazione, ecc.) e di contro non celebra Mazzini e Cavour, Vittorio Emanuele II e Garibaldi, Napoleone e Gioberti, sia “anti-italiano” o comunque contro l’unità nazionale. O magari studioso poco serio…
Chiunque sia ormai a conoscenza di quanto descritto e considerato in questo studio e vi abbia serenamente meditato, non può non vedere come la vittoria del Savoia e del partito piemontese, grazie al geniale Ministro che tutti e tutto mosse, non fu la vittoria dell’Italia, e tanto meno degli italiani; fu solo la vittoria di una élite potente e prepotente, che, con il pretesto dell’unificazione (poiché tale fu, non unità), gettò in realtà le basi storiche, politiche, ideologiche e sociali per la futura affermazione del totalitarismo e delle tragedie che il nostro popolo ha subito nel XX secolo.
Con il Risorgimento nasce lo Stato italiano, non però la nazione italiana; essa esisteva già da secoli, riposava sulla identità italiana, classica, cattolica, romana, universale. Il Risorgimento è stato invero proprio la negazione di tutto questo: è stato fatto contro la Chiesa, contro l’idea universale di Roma, senza rispettare, anzi abbattendole, le tradizionali realtà locali esistenti nella Penisola, riducendo tutto al Piemonte e al suo re. E questo senza alcun consenso popolare, attuato solo da un piccolo gruppo di oligarchi, con l’appoggio “mediatico” dei ceti intellettuali e quello economico del mondo settario e massonico, mediante inganni, corruzione e stragi mai accadute nella precedente storia italiana. Soprattutto, vendendosi anima e corpo allo straniero, anzi, a quei tre stranieri (Gran Bretagna, Francia e Prussia) verso i quali la nostra politica unitaria sarà debitrice o comunque subordinata in maniera non minore di quanto lo era quella degli Stati preunitari alla sola Austria.
Se è vero che patriota è chi difende la propria patria, prima dell’unificazione risorgimentale era perfettamente chiaro chi fossero i patrioti: erano coloro che combattevano per le proprie patrie, secolari e legittime, amate dalle popolazioni (insorgenti e “briganti”), mentre, per essere patrioti nel senso risorgimentale, occorre accettare l’idea mazziniana e utopistica che la patria è nel mondo della volontà e non in quello reale della storia, della religione, della lingua, delle tradizioni.
Dopo l’unificazione questo non è più così chiaro; infatti, tanto per addurre il più classico degli esempi, è evidente che, nell’ultima guerra civile italiana, tanto i fascisti (che si presentavano come coloro che avevano portato a compimento il Risorgimento, specie dal punto di vista mazziniano) quanto i partigiani (che si definivano a loro volta come gli eredi del Risorgimento, specie dal punto di vista garibaldino) si definivano patrioti, andando gli uni con il Capo del Governo e gli altri con il Capo dello Stato, ed entrambi lottando in nome dell’Italia (ed entrambi in realtà sottomessi a eserciti stranieri invasori) in una guerra civile – la Terza – devastante e mai veramente risolta nelle coscienze di molti, ancora oggi, dopo quasi settant’anni, carico cruento di odio dell’Italia repubblicana. Ciò accadde per il semplice motivo che l’Italia nata dal Risorgimento non rispecchia la vera identità nazionale.
Come ha detto lo storico liberale Rosario Romeo: «Lo Stato nazionale che negli intenti dei suoi creatori doveva essere la chiave destinata ad aprire agli italiani le porte del mondo moderno, ha evidentemente fallito nel suo compito; e gli italiani, nei vari ceti e in modi diversi, cercano di inserirsi nella realtà moderna ed europea per altre vie ed in altri contesti». Il che sta a significare non solo che la Rivoluzione Italiana ha ferito per sempre l’identità nazionale e diviso gli italiani, ma che essa non è neanche riuscita in realtà a costruire i presupposti della sua esistenza: lo Stato nazionale – in quanto non l’ha costruito nell’animo di quegli italiani che voleva cambiare – e l’“italiano nuovo”, appunto.
E qui torniamo ai drammatici interrogativi del dibattito dell’estate del 2009, con cui abbiamo aperto questo studio. Se vogliamo provare a dare una riposta agli interrogativi di Galli della Loggia e degli altri intellettuali, occorre riflettere che il problema è che la “vecchia Italia” non esiste più (se non nell’animo dei singoli ancora legati ai valori della civiltà di cui essa era espressione e protagonista), mentre la “nuova Italia” non è mai esistita, almeno non quella sognata dai rivoluzionari. Ciò che esiste è un’ibrida commistione di pertinace attaccamento alle radici disvelte e di efficace sovversione anarchica spirituale e morale dell’identità nazionale. Pertanto, non v’è attaccamento vero e sincero all’Italia nata dal Risorgimento.
Rileggiamo ancora il fondamentale assunto dello stesso Galli della Loggia: «Si delinea in tal modo un fatto decisivo: la tendenziale cesura tra l’identità nazionale e l’identità italiana, cioè tra il modo di nascita e di essere dello Stato nazionale e il passato storico del paese, divenuto la sua natura». Da cui la sua denuncia dell’estate del 2009: l’immagine che gli stessi italiani hanno del loro Stato è «un’immagine a brandelli e di fatto inesistente: dal momento che ormai inesistente sembra essere qualsiasi idea dell’Italia stessa».
Ecco il risultato della Rivoluzione Italiana.

La vera unità si sarebbe potuta raggiungere in altre maniere, per altre vie, in piena e profonda unità di cuori e intenti, senza la guerra alla Chiesa e al clero e senza le stragi degli italiani nel Meridione, senza la corruzione dilagante e senza milioni di emigrati, senza dover dipendere veramente dallo straniero e senza guerre civili, né militari né ideologiche. Sarebbe bastato rispettare la vera identità nazionale degli italiani per ottenere un vero risorgimento, come gli eventi della primavera del ’48 ben dimostrano. Sarebbe bastato creare lo Stato unitario non in base alle utopiche istanze della “nuova Italia” educando gli italiani a diventare “nuovi” (“fare gli italiani”), ma in base – anche a costo di metterci molto più tempo – alle millenarie e tradizionali istanze degli italiani “veri”: sarebbe bastato insomma fare la “vera Italia”, quella degli italiani del XIX secolo.
È proprio questa la grande riflessione e scoperta da evidenziare: è possibile essere patrioti senza essere filorisorgimentali? Certo che lo è, appunto a causa delle modalità con cui si è voluto condurre il processo di unificazione nazionale. Nel 1848 tutti combatterono con Pio IX, perché il neoguelfismo (quello onesto) era l’unico vero progetto nazionale e italiano che avrebbe permesso l’unica vera unità nazionale: prevedeva infatti un’Italia cattolica, unita intorno al Vicario di Cristo; un’Italia monarchica, quale era da secoli e secoli, unita intorno ai legittimi e tutt’altro che disprezzati prìncipi; un’Italia confederativa, decentrata, rispettosa delle secolari (o millenarie) caratteristiche, tradizioni ed esigenze delle varie popolazioni italiche.
Ma questo è esattamente ciò che non si volle allora, facendo precipitare l’esperienza confederativa degli anni 1846-’48 nella rivoluzione democratica sovversiva (a Roma, Firenze, Torino), che fu un fallimento totale e portò l’Italia prima al disastro militare e poi alla restaurazione politica; e quindi si scelse la via sabauda (sintesi fra l’unitarismo repubblicano mazziniano e il federalismo – monarchico o repubblicano che fosse), la via della conquista militare e golpista degli altri Stati preunitari da parte di Casa Savoia.
Da qui, l’esigenza di calunniare fino all’inverosimile quegli Stati (e in particolare il Regno delle Due Sicilie e lo Stato Pontificio, “Trono e Altare”), lasciando ai contemporanei e ai posteri (fino a oggi) la fantasmagorica idea che gli italiani preunitari fossero branco sperduto di infelici sotto tirannie retrograde e intollerabili: esattamente il contrario della verità storica come essa oggi ci appare. La calunnia era necessaria proprio per giustificare la conquista manu militari di quei secolari Stati pacifici e legittimi, cioè per rendere giustificabile ciò che secondo le norme basilari del diritto internazionale era del tutto ingiustificabile: un’aggressione improvvisa e banditesca (i “Mille”) di un Regno alleato. Ma soprattutto per rendere “bella e onorata” quella dinastia che non si peritò di togliere agli altri ciò che era loro, venendo meno alla prospettiva neoguelfa e confederale, cedendo alla frenesia centralista (in un Paese che da quindici secoli mai era stato unito) e divenendo di fatto lo strumento della sovversione politica, civile e religiosa dell’Italia. Da qui, l’esaltazione anche di Garibaldi, che si mise al servizio di quella dinastia (dimenticando chi fosse e come avesse vissuto la sua vita di contumace), l’esaltazione perfino di Mazzini (dimenticando i risvolti totalitari del suo pensiero e gli esiti terroristici e sanguinari della sua azione), l’esaltazione di una nuova religione (il nazionalismo) contro la millenaria religione degli italiani (che dovevano “essere fatti nuovi”), quindi il militarismo, l’autoritarismo, e pertanto il fascismo e i fenomeni totalitari di massa, con conseguente tragica spaccatura del popolo italiano.
E in tutto questo, non possiamo non ricordare il ruolo svolto dalle grandi correnti storiografiche nazionali (liberali, nazionaliste, fasciste, quindi giacobine e marxiste, cattolico-progressiste, laiciste), che hanno, ognuna a proprio turno e per i propri scopi ideologici, avallato e spesso costruito, la “vulgata” risorgimentale, nell’esaltazione di ciascuna delle tante problematiche suddette, e soprattutto nell’occultamento di tutto quanto non corrispondeva o si opponeva alla grandezza della nuova Italia rivoluzionaria. E così, sono sparite le insorgenze antigiacobine, i terroristi mazziniani sono divenuti eroi patrioti, Pio IX è divenuto il “cattivo” di tutto il Risorgimento (l’anti-italiano per eccellenza), sparì ogni notizia riguardo la guerra alla Chiesa Cattolica, all’arresto di cardinali, di decine di vescovi e centinaia di sacerdoti, alla tentata protestantizzazione, allo scioglimento di decine di ordini religiosi, all’incameramento di quasi tutto il patrimonio ecclesiastico, alla depauperizzazione delle popolazioni meridionali, ci si dimenticò di narrare le malefatte dei garibaldini o di Cialdini e La Marmora e soci, così come di dire che vi fu una vera e propria guerra civile nel Meridione che fu risolta con decine di migliaia di italiani morti tramite metodi di sterminio organizzati e voluti direttamente dal neonato parlamento nazionale italiano, ci si dimenticò di ricordare il progresso degli Stati preunitari così come la rovina economica e sociale dell’Italia postunitaria… e si fecero passare mille avventurieri per titani della storia mondiale…
E ancora oggi chi osa ricordare ciò che fu occultato e denunciare ciò che fu falsificato, è fatto passare per anti-italiano, per “storico poco serio”, non degno di attenzione. Da notare però che quasi mai viene smentito nello specifico delle sue affermazioni.
Tutto questo non ha contribuito – né potrebbe mai farlo – a unire gli italiani. Anzi, ha contribuito a dividerli nell’odio, nel rancore, nel disprezzo di tutto ciò che è italiano. Il risultato di tutto questo è la domanda con cui abbiamo iniziato il nostro studio: esiste una nazione italiana a 150 anni dall’unificazione statuale? (…)
Concludo questo mio lavoro con il pressante invito a festeggiare il centocinquantesimo anniversario dell’unificazione italiana ricordando, con la giustizia storica e l’onore militare e intellettuale dovuti, tutti quegli italiani che seppero combattere e sovente morire per la propria idea di Italia, dal 1796 al 1870. Per la propria identità, secolare, millenaria, universale e particolare allo stesso tempo.

Se e quando questo avverrà, un importante passo avanti verso l’unità della nazione italiana sarà stato compiuto. E da due Italie si inizierà a camminare verso una sola unica Italia.