L’assedio che condannò l’Italia all’unità

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Gigi di Fiore: Gli ultimi giorni di Gaeta. L’assedio che condannò l’Italia all’unità; Rizzoli 2010, Codice EAN 9788817043168;  353 pagine, Euro 20,00

Sconto su: http://www.theseuslibri.it

L’atto finale della guerra di conquista che chiamiamo “unificazione”, visto con gli occhi degli sconfitti

“Diciotto mila cittadini mandati a rovina e miseria” (Dal Consiglio comunale di Gaeta del 28 febbraio 1861).

“Noi combattemmo contro italiani, e fu questo necessario ma doloroso ufficio” (Generale Enrico Cialdini).

“La ringrazio a nome della Nazione Italiana. Mi congratulo di cuore coll’Esercito” (Vittorio Emanuele II al generale Cialdini).

Il 13 febbraio 1861, Francesco II di Borbone si arrese definitivamente all’esercito sabaudo: la fortezza di Gaeta, ultimo baluardo difensivo del Regno delle Due Sicilie, cedeva all’armata del generale Cialdini.
I cento giorni d’assedio che resero possibile il Regno d’Italia vengono tutt’ora ricordati in manifestazioni e rievocazioni, ma fu veramente l’evento glorioso che la storia ci racconta? O si trattò dell’epilogo di un’invasione sanguinosa, perpetrata ai danni di uno Stato sovrano, riconosciuto dalle altre potenze europee e consolidato da secoli di autonomia e tradizioni?
A Gaeta l’annessione fu portata a termine dai cannoni, che fecero strage di militari e civili stremati anche dal tifo. L’8 gennaio la piazzaforte fu sottoposta a un cannoneggiamento di dieci ore, che distrusse i quartieri civili; pochi giorni dopo l’ex comandante borbonico Edoardo D’Amico, tradito da tempo il suo schieramento e desideroso di dimostrare la nuova fede, diede inizio al bombardamento del 22 gennaio; a qualche ora dalla resa, mentre si preparava l’accordo, l’artiglieria piemontese continuò il fuoco per l’ultima strage.
Episodi che raccontano una guerra cruenta rimossa dalla memoria comune: un attacco che violava tutte le regole – iniziato senza una dichiarazione di guerra né agitazioni tali da giustificare un intervento straniero – al termine del quale nove milioni di persone furono costrette ad accettare le leggi e la burocrazia del Piemonte grazie a maneggi diplomatici, finanziamenti occulti, ambiguità.

Gigi di Fiore ricostruisce quasi ora per ora l’assedio brutale che pose fine a un conflitto tra italiani, con paziente lavoro di analisi e scavo archivistico, passione narrativa e gusto per l’aneddoto. Documenti e testimonianze, storia, cronaca militare e narrazione si uniscono per restituire vivido e reale il dolore di una città che non ha dimenticato. E permetterci di analizzare da una prospettiva diversa un peccato originale della nostra unità nazionale.

I cento giorni di storia italiana meno raccontati nei libri scolastici: è l’assedio di Gaeta, che segnò la fine del regno delle Due Sicilie e l’annessione del sud al resto dell’Italia. Quei tre mesi restano invece il simbolo di un’annessione nata male, con due eserciti regolari a farsi guerra: quello piemontese del nord e quello napoletano del sud. Una vicenda che costò oltre mille morti con tantissime vittime tra i civili rimosse dalla storia ufficiale.
Nel saggio di Gigi Di Fiore, attraverso nuovi documenti e testimonianze soprattutto di parte piemontese, attraverso uno stile raccontato c’è la narrazione della vita quotidiana nei due schieramenti contrapposti, le descrizioni di personaggi anche minori, aneddoti. Ma soprattutto, il dettaglio delle sofferenze dei civili e dei danni subiti dalla città di Gaeta in tre mesi di impietoso bombardamento. L’ultima resistenza dello stato delle Due Sicilie, allora ancora riconosciuto da tutte le diplomazie mondiali, in un testo che ne approfondisce e racconta tutti i dettagli, con una bibliografia di ben 8 pagine. “Abbiamo avuto conquistato alla causa l’efficacia dei cannoni Cavalli a lunga gittata” scrisse Cialdini, in un documento inedito, alla fine dell’assedio
Nei nuovi documenti del ministero della Guerra, citati nel testo, si ritrova proprio la conferma dell’uso sperimentale fatto dei micidiali cannoni Cavalli a lunga gittata a Gaeta, sulla pelle dei militari borbonici e dei civili gaetani. Un uso su cui vengono spese parole entusiaste, come di una nuova arma da perfezionare sempre più per il futuro. Una specie di “bomba atomica” dell’epoca per spezzare i residui di resistenza dell’esercito di Francesco II di Borbone. E poi, nelle cifre finali dei comandi piemontesi, i costi di tanto impegno di uomini e mezzi: 25 milioni per espugnare Gaeta.
Il libro si compone di Introduzione, Prologo, 12 capitoli, 3 appendici e due grandi foto d’epoca sull’assedio nei riguardi di copertina.

L\’autore

Gigi Di Fiore, inviato speciale del “Mattino” di Napoli in passato redattore al “Giornale” di Montanelli, ha ottenuto nel 2001 il premio Saint Vincent per il giornalismo. Ha scritto diversi saggi su due temi principali: Risorgimento, Fine del regno delle Due Sicilie, Brigantaggio; Criminalità organizzata. Il suo testo “1861 – Pontelandolfo e Casalduni, un massacro dimenticato”, pubblicato nel 1998 e oggi introvabile, viene citato da tutti gli autori successivi che si sono occupati di quell\’eccidio (Pino Aprile compreso). Vincitore del premio Pedio per la ricerca storia, del Landolfo d’oro per gli studi sull’eccidio del 1861. Il suo libro “Controstoria dell’unità d’Italia”, edito da Rizzoli nel 2007, è stato più volte ristampato ed è stato vincitore del premio Melfi, nonché finalista del prestigioso premio Aqui terme storia. Sui temi della storia del sud, ha scritto anche per la Utet nel 2004 “I vinti del Risorgimento” e per Grimaldi il romanzo “Gli ultimi fuochi di Gaeta”. Sulla camorra, ha pubblicato molti testi a partire dal 1993, qualcuno adottato anche all\’università di Napoli.

(da ilfrizzo.it)

Già redattore al “Giornale” di Montanelli, è oggi inviato del Mattino di Napoli.Nel 2001 ha vinto il premio Saint-Vincent per il giornalismo.
Tre volte premio speciale cronista; Premio Marcello Torre nel 2004.
Per la sua attività giornalistica, si occupa spesso di criminalità organizzata e camorra, su cui ha pubblicato i saggi “Il Palazzo dei misteri”(1992); “Potere camorrista”(1993),”Io Pasquale Galasso”(1995) e “L’impero.Traffici, storia e segreti dell’occulta e potente mafia dei casalesi”(2008).
Attento studioso di storia delle Due Sicilie e del brigantaggio,ha pubblicato “1861 Pontelandolfo e Casalduni: un massacro dimenticato(1998), “I vinti del risorgimento”(2004), “Controstoria dell’unità d’italia.Fatti e misfatti del risorgimento”(Premio letterario città di Melfi 2009 per la saggistica).

Il suo ultimo libro “Gli ultimi giorni di Gaeta.L’assedio che condannò l’Italia all’unità”(2010) edito dalla Rizzoli è già un grande successo. Racconta con dovizia di particolari l\’atto finale, quasi del tutto ignorato dai libri di testo scolastici, dell\’annessione del sud Italia al resto della penisola; fu l\’inizio dei problemi di un\’unificazione che, da quel febbraio, sarà macchiata da una rivolta nel sud repressa con cannoni e fucili;fu la fine delle difficoltà diplomatiche del governo piemontese che, dopo la formale resa del re Borbone, fu finalmente in condizione di convocare il Parlamento per la dichiarazione dell\’unità d\’Italia; fu una pagina oscura di cinismo militare con bombardamenti anche su obiettivi civili, prolungati anche a tre ore dalla firma della capitolazione, che costarono centinaia di morti e danni enormi alla città di Gaeta;fu in definitiva l\’emblema del meglio e del peggio degli italiani: 100 giorni che restano il vero simbolo del processo risorgimentale, forse più illuminante, perchè meno noto, dell\’ultra-celebreta epopea garibaldina.   

 

1) Lei ha scritto un libro intitolato“1861 Pontelandolfo e Casalduni: un massacro dimenticato(1998). In breve ci può dire cosa successe in questi paesi del Sud? 

I due paesi furono rasi al suolo dai bersaglieri, che in quell’agosto 1861 erano truppa diventata italiana, per un “diritto di rappresaglia” dopo l’uccisione in zona da parte di una banda di briganti di 41 militari in missione di perlustrazione. Morte, distruzione, furti, stupri. Un’azione di guerra contro due paesi diventati italiani, responsabili di “non aver impedito l’uccisione dei militari”.  

2) Chi sono i “I vinti del risorgimento”(2004)?

I vinti del Risorgimento sono, a mio parere, tutti quei contadini, pastori, artigiani meridionali che combatterono sotto le bandiere di quella che ritenevano la loro patria, lo Stato delle Due Sicilie, contro le truppe di uno Stato “amico” diventato invasore: quello del Piemonte. Furono vinti in quella guerra e furono vinti dopo, con l’aumento della miseria, il sangue della guerra civile del brigantaggio, l’emigrazione.

 

3) Come è stato possibile che solo mille garibaldini abbiano sconfitto un esercito di 50.000 soldati borbonici?

I 1089 sbarcati a Marsala rimasero tali solo per due giorni. Poi aumentarono subito con l’arrivo dei picciotti delle bande armate al soldo dei baroni latifondisti siciliani. Ma le condizioni in cui avanzarono furono favorite da accordi preventivi con le classi dirigenti siciliane e i loro uomini, l’aiuto finanziario e concreto dell’Inghilterra, lo sfaldamento e la corruzione di alcuni generali borbonici.

 

4) Il suo libro “Controstoria dell’unità d’italia", racconta fatti e misfatti del risorgimento. Ce ne può raccontare qualcuno ?

Uno dei misfatti del Risorgimento sono certamente le false manifestazioni di piazza, soprattutto nell’Italia centrale, che non furono spontanee agitazioni di popolo. Si trattava, invece, come raccontò l’agente segreto Filippo Curletti, di proteste provocate da carabinieri piemontesi in abiti civili. Provocazioni di piazza, insomma, come ce ne sarebbero state tante negli anni a venire della storia d’Italia.

 

5) Ci può raccontare come si svolsero i plebisciti per le annessioni dei vari stati al Piemonte ?

I plebisciti furono suffragi universali aperti a tutti, con irregolarità evidenti e credibilità inesistente. Niente liste elettorali, votarono anche quelli che non erano legittimati dalle leggi elettorali dell’epoca (spesso più volte). C’erano urne palesi per il sì e il no, sotto la vigilanza di guardia nazionale e camorristi. Insomma, la libertà del voto era del tutto assente.

 

6) Perché nacque il brigantaggio nel Sud?

Il brigantaggio fu una rivolta sociale armata dei contadini meridionali unita alla ribellione di soldati dell’ex esercito meridionali e di ex garibaldini.

 

7) Che caratteristiche ha la camorra attuale?Nella cultura camorristica antistatale c\’è qualche elemento in comune col brigantaggio ?

Nessun elemento comune con il brigantaggio, tranne per qualche aspetto esclusivamente criminale. Oggi la camorra è un insieme di gruppi frammentati, privi di vertice unitario.

 

8) Perché Garibaldi, otto anni dopo la sua impresa, scrisse queste parole:”Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendoci colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio”?

Anche Garibaldi si rese conto che il Risorgimento fu una rivoluzione tradita e di pochi. Soprattutto nel sud, dove si rese conto che gli effetti erano stati non quelli che aveva sperato. Soprattutto per i contadini e i ceti meno abbienti.
 

9) Lei ha intitolato il suo ultimo libro Gli ultimi giorni di Gaeta.L’assedio che condannò l’Italia all’unità.Perchè?

Una provocazione. La condanna all’unità significa la forzatura di un processo unitario affrettato con la forza delle armi, che proprio per questo si tramutò in un’ulteriore divisione tra il nord e il sud dell’Italia.

10) Lei ha ricostruito quasi ora per ora l’assedio brutale che pose fine a un conflitto tra italiani, con un paziente lavorio di analisi e scavo archivistico. Ha avuto difficoltà a reperire le sue fonti? 

Le fonti vanno cercate, coltivate, favorite. Le difficoltà sono sempre quelle comuni ad ogni ricerca. Ma è stimolante il lavoro di scavo della verità proprio per questo. Un lavoro che deve essere paziente e mai frettoloso. 

11) Come sono stati accolti i suoi libri degli storici di professione? Perchè un giornalista ha “invaso” il campo del mondo accademico?

Gran parte dei docenti si stupisce della ricchezza delle mie note e dei riferimenti bibliografici. Molti si meravigliano che legga anche i loro libri.

 

12) Cosa pensa di tutti questi movimenti (i neoborbonici, le leghe del sud) che stanno sorgendo in questi ultimi anni? C’è voglia di separatismo al sud?

Sono espressione di fermenti e di rinascita di un orgoglio di identità meridionale, che prima era solo vergogna per una condizione che, in un’errata autoconvinzione, veniva considerata di inferiorità rispetto al nord.

 

13) Se il Sud fosse rimasto indipendente dal nord, sotto la dinastia dei Borboni saremmo stati economicamente più forti?Avremmo avuto sempre la criminalità organizzata ?

La storia dei se e dei ma è sempre difficile da ipotizzare. Di certo, quando partì l’unità le due parti dell’Italia erano in condizione di minore squilibrio economico dell’attuale.

 

14) E veniamo alla sua attività di giornalista. Ritiene che in Italia il giornalismo sia libero? Ha mai avuto difficoltà nello svolgere le sue inchieste di cronaca giudiziaria?

La libertà il singolo giornalista se la conquista ogni giorno, con la serietà e la credibilità del suo lavoro.

 

15) Che consigli darebbe ad un giovane aspirante giornalista?

Di prepararsi bene, essere convinto e determinato nella sua scelta, in un momento in cui il giornalismo tradizionale attraverso una fase di crisi e trasformazione.

 

16) Concludendo col tema iniziale della nostra intervista,Lei ha scritto che dopo 150 anni dall’unificazione italiana manca ancora una coscienza unitaria: siamo rimasti napoletani, torinesi, milanesi siciliani, romani, veneti, fiorentini, bolognesi. Come nel tifo calcistico. Come mai?

Perché gli italiani non si conoscono e non conoscono le rispettive storie. Questo contribuisce ad isolarli e a tenerli lontani gli uni dagli altri. Ecco perché io scrivo i miei libri: per dare un contributo maggiore di conoscenza e avvicinare gli italiani del nord a quelli del sud.

 

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Nel ringraziare Gigi Di Fiore maestro di giornalismo e di storia del risorgimento vorremmo citare queste parole di Ugo Foscolo:“O Italiani, io vi esorto alle storie,perché niun popolo più di voi può mostrare né più calamità da compiangere, né più errori da evitare, né più virtù che vi facciano rispettare, né più grandi anime  degne di essere liberate dalla obblivione”. Fu il suo Discorso  “Dell’Origine e dell’ufficio della letteratura”, pronunciato il 22 gennaio 1809 all’Università di Pisa.

da: telestreetarcobaleno.tv