Dopo Colonia. La formidabile lezione del professor Ratzinger
Ai cattolici, ai cristiani, agli ebrei, ai musulmani. Un bilancio del primo viaggio fuori d’Italia del nuovo papa. Che più è esigente, e più conquista le menti e i cuori
di Sandro Magister
Detto e fatto. Al milione di giovani accorsi da 197 paesi del mondo, anche di poca fede, anche non battezzati, nei quattro giorni passati nella città che custodisce le reliquie dei Magi, Benedetto XVI ha predicato proprio “l’inconcepibile grandezza di un Dio che si è abbassato fino al punto di mostrarsi nella mangiatoia, di darsi come cibo sull’altare”.
Un altro suo annuncio della prima ora era che il papa “non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo”.
E ha mantenuto anche quest’altra promessa. A Colonia, tra il 18 e il 21 agosto, Benedetto XVI non ha regalato alla massa un solo gesto teatrale, una sola frase ad effetto. Ha guidato i giovani a guardare non lui ma sempre e soltanto il protagonista vero: il Gesù adorato dai Magi a Betlemme “casa del pane”, e oggi nascosto nell’ostia consacrata.
Joseph Ratzinger ha molto osato, a Colonia. Il cardinale Angelo Scola, uno dei tantissimi vescovi accorsi a catechizzare i giovani nei tre giorni prima della veglia col papa, ha pensato di conquistarli con una citazione di dieci minuti da “On the Road” di Jack Kerouac. Benedetto XVI ha invece sfidato l’attenzione di tutti, nel mezzo dell’omelia sulla spianata di Marienfeld, con un’ardua spiegazione della “differente accezione che la parola ‘adorazione’ ha in greco e in latino. La parola greca suona ‘proskynesis’, essa significa il gesto della sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura. […] La parola latina è ‘ad-oratio’, contatto bocca a bocca, bacio, abbraccio e quindi in fondo amore. La sottomissione diventa unione, perché colui al quale ci sottomettiamo è amore”.
Il motto di questa ventesima Giornata Mondiale della Gioventù era: “Siamo venuti ad adorarlo”, parole dei Magi al seguito della stella. Ratzinger ne ha fatto la traccia di una sua formidabile lezione durata quattro giorni – a cominciare dallo sbarco sulle rive del Reno – “sulla grande processione dei fedeli chiamata Chiesa”. Dietro i Magi camminano i santi “nelle cui vite, come in un grande libro illustrato, si svela la ricchezza del Vangelo”. Le loro reliquie sono “povere ossa umane” ma di “persone visitate dalla potenza trascendente di Dio”. E sul loro reliquiario, “il più prezioso dell’intero mondo cristiano”, Colonia “ha elevato un reliquiario ancora più grande: questa stupenda cattedrale gotica, […] uno dei luoghi di pellegrinaggio più importanti dell’Occidente cristiano”, assieme a Roma, Santiago de Compostela, Gerusalemme. Perciò “sperimentiamo proprio qui a Colonia quanto sia bello appartenere a una famiglia vasta come il mondo, che comprende cielo e terra, il passato, il presente e il futuro”. Si può criticare la Chiesa perché in essa c’è grano e zizzania, ma “è consolante il fatto che esista la zizzania nella Chiesa: così, con tutti i nostri difetti possiamo tuttavia sperare di trovarci ancora nella sequela di Gesù, che ha chiamato proprio i peccatori”.
Queste ultime parole, Benedetto XVI le ha dette al culmine della veglia notturna a Marienfeld, davanti all’altare sotto il cielo stellato. E poi, all’improvviso: “Cari amici, questa non è una storia lontana, avvenuta tanto tempo fa. Questa è presenza. Qui nell’ostia sacra. […] Egli è presente come allora in Betlemme. Ci invita a quel pellegrinaggio interiore che si chiama adorazione”. Silenzio. Il papa benedice con l’ostia e si allontana rapido nel buio, senza passare in mezzo alla folla. Tornerà la mattina dopo per la messa, a ribadire che è solo da Dio e dall’eucaristia che viene la vera rivoluzione del mondo. E ai giovani darà due consegne: andare a messa la domenica e studiare il catechismo.
Le cronache televisive hanno mancato i tratti più caratterizzanti del meeting. Le tre mattine di catechesi per gruppi, in 270 chiese e palasport di Colonia e dintorni, predicate da cardinali e vescovi messi alla frusta dal nuovo papa. Il pellegrinaggio incessante verso la cattedrale, alle reliquie dei Magi. Le molte Via Crucis del venerdì sera. Le miriadi di confessioni sacramentali in tutte le lingue. La preghiera diurna e notturna nelle chiese: quella di Sant’Agnese a Colonia presa in cura dalla comunità ecumenica di Taizé, antesignana di questi incontri internazionali di fede, tra giovani. Il fiorire di amori tra ragazzi e ragazze, ma anche di vocazioni a prete e suora. All’agenda standard delle Giornate Mondiali della Gioventù, Benedetto XVI ha voluto aggiungere un incontro con i seminaristi, i sacerdoti della Chiesa di domani.
Per il resto il copione era scritto. E non tutto collimava con gli orientamenti di Ratzinger. Le messe, i vespri, le benedizioni eucaristiche celebrate tra cori folk alla moda, chitarre rock, danze indiane, tamburi africani, flauti andini sono state oggetto di severe sue reprimende in passato, quand’era teologo e cardinale.
Questa volta, a Colonia, il pot-pourri era un po’ più misurato, qua e là balenavano spunti di canto gregoriano o i meditativi “canoni” di Taizé, ma c’è stato anche il giocoliere argentino che faceva volare cappelli davanti all’altare, stile “jongleur de Notre Dame”. Un paziente Benedetto XVI ha bilanciato il tutto con la sua presenza sobria, austera. Al suo fianco il cerimoniere pontificio Piero Marini, regista di questi riti di massa cari a Giovanni Paolo II, firmava una delle sue ultime performance.
Papa Karol Wojtyla, in un suo viaggio di identica durata in Germania, nel 1980, infilò 29 discorsi. Benedetto XVI ne ha pronunciati molti di meno, 12, di cui tre rivolti ad ebrei, musulmani e cristiani non cattolici: tutti e tre molto netti nel tracciare quella che sarà la linea “ad extra” del suo pontificato.
Agli ebrei, il 19 agosto nella sinagoga di Colonia, ha detto che è importante soprattutto “fare passi avanti nella valutazione, dal punto di vista teologico, del rapporto tra ebraismo e cristianesimo”. Ha ribadito la tesi dell’apostolo Paolo che “i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili”. Ha parlato di una “fiaccola della speranza che da Dio è stata data agli ebrei come ai cristiani” affinché gli uni e gli altri la trasmettano alle giovani generazioni.
E con ciò Benedetto XVI ha tagliato la vera radice del conflitto secolare tra ebrei e cristiani: quella “teologia della sostituzione”, ancor oggi largamente diffusa, secondo cui è la Chiesa il solo vero Israele che sostituisce il vecchio ripudiato da Dio. Ebrei e cristiani, ha detto Ratzinger, restano accomunati dall’unica, eterna alleanza stabilita da Dio: e quindi “anche nelle cose che a causa della nostra intima convinzione di fede ci distinguono gli uni dagli altri, anzi proprio in esse, dobbiamo rispettarci ed amarci a vicenda”. A cominciare dalla distinzione capitale: il credere o no in Gesù messia e figlio di Dio.
Il rabbino della sinagoga Netanel Teitelbaum, commosso, ha porto al papa “la mano del popolo ebraico”. Il cantore ha intonato in struggente musica klezmer il racconto della creazione dell’uomo nel capitolo 1 della Genesi e il salmo 23: “Il Signore è il mio pastore”. È risuonato lo shofar, il corno della pace.
Dello stato d’Israele il papa non ha fatto parola. S’è concentrato sui fondamenti: sul rapporto tra le due fedi. Ma ha anche fissato degli impegni pratici: per i cristiani la vigilanza contro i “nuovi segni di antisemitismo”, e per ebrei e cristiani insieme “la difesa e la promozione dei diritti dell’uomo e della sacralità della vita umana”, sulle tracce del Decalogo che “è per noi patrimonio e impegno comune”.
Anche ai “cari amici musulmani” ricevuti in arcivescovado il 20 agosto Benedetto XVI ha chiesto unità d’azione “al servizio dei fondamentali valori morali […] scanditi in modo inconfondibile dalla voce sommessa ma chiara della coscienza”.
In concreto ha proposto d’agire insieme, cristiani e musulmani, per i diritti della persona, per la libertà religiosa, per il rispetto delle minoranze. Ma prima ancora per “estirpare dai cuori” il rancore, l’intolleranza, il fanatismo di cui si nutrono i terroristi.
Mai prima di questa volta a Colonia un papa era stato così esplicito e tagliente, nell’affrontare la questione del terrorismo, a tu per tu con rappresentanti di comunità musulmane.
Benedetto XVI non ha concesso alcuna attenuante al fenomeno, non ha chiamato in causa oppressione e miseria. Nell’uso del nome di Dio da parte del terrorismo ha indicato semmai un’aggravante. Ha detto che “gli ideatori e programmatori di questi attentati mostrano di voler avvelenare i nostri rapporti servendosi di tutti i mezzi, anche della religione”. Ha accusato il terrorismo di “scalzare le fondamenta stesse di ogni civile convivenza”. Ha ricordato le battaglie e le guerre tra cristiani e musulmani combattute “quasi che uccidere l’avversario potesse essere cosa a Dio gradita”. Per subito aggiungere: “Il ricordo di questi tristi eventi dovrebbe riempirci di vergogna, ben sapendo quali atrocità siano state commesse nel nome della religione. Le lezioni del passato devono servirci ad evitare di ripetere gli stessi errori”.
E per il presente e il futuro ha chiesto ai musulmani di farsi educatori di pace:
“Voi guidate i credenti nell’islam e li educate nella fede musulmana. L’insegnamento è il veicolo attraverso cui si comunicano idee e convincimenti. La parola è la strada maestra nell’educazione della mente. Voi avete, pertanto, una grande responsabilità nella formazione delle nuove generazioni. Insieme, cristiani e musulmani, dobbiamo far fronte alle numerose sfide che il nostro tempo ci propone. Non c’è spazio per l’apatia e il disimpegno ed ancor meno per la parzialità e il settarismo”.
È questo il “dialogo interreligioso e interculturale fra cristiani e musulmani” che Benedetto XVI vuole. Un dialogo a caro prezzo.
Sul giornale della conferenza episcopale italiana, “Avvenire”, il musulmano algerino con cittadinanza italiana Khaled Fouad Allam, professore nelle università di Trieste e di Urbino, ha commentato:
“Le parole di Benedetto XVI sono per noi un salutare scossone. In un momento in cui all’interno delle nostre comunità sembrano imperversare i cattivi maestri, le sue parole sono un incoraggiamento a far emergere i veri educatori, che esistono e sono all’opera, ma non riescono a far sentire la loro voce come sarebbe invece necessario. Il papa ha ragione quando dice che non ci può più essere spazio per l’apatia e il disimpegno. Ci vuole il coraggio della denuncia per isolare chi ha una lingua di fuoco e incita alla violenza usando il nome di Dio”.
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Prossima meta, Costantinopoli
Dopo Colonia, c’è un’altra città che Benedetto XVI vorrrebbe presto raggiungere: Istanbul. La data che ha in mente è il 30 novembre, festa di sant’Andrea che è patrono del patriarcato ecumenico di Costantinopoli.
Bartolomeo I, il patriarca, ha già invitato il papa. E ha già mandato a Roma, il 29 giugno, festa dei santi Pietro e Paolo che sono i patroni del papato romano, il suo teologo più autorevole e fidato, Ioannis Zizioulas, metropolita di Pergamo. Zizioulas e Ratzinger si frequentano e si stimano da decenni. Hanno messo in cantiere, per l’autunno, una ripresa dei lavori della Commissione del dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa. E sul maggior punto di rottura tra le due Chiese, il primato del papa di Roma, hanno una visione affine. La soluzione è da cercarsi alla luce dell’assioma: “Dove c’è l’eucaristia c’è la Chiesa”.
Appena eletto papa, Benedetto XVI ha posto l’unità dei cristiani tra gli obiettivi prioritari. Ma rivolgendosi a Colonia, il 19 agosto, a rappresentanti delle Chiese non cattoliche, ha avvertito che “non può esserci un dialogo a prezzo della verità”. Ha ribadito che l’unità dei cristiani “sussiste, secondo la nostra convinzione, nella Chiesa cattolica”. E ha affermato che “la forma migliore di ecumenismo consiste nel vivere secondo il Vangelo”.
Intanto, ha sollecitato i cristiani di tutte le confessioni a far unità fin da subito, almeno, nell’orientare sulle “grandi questioni etiche poste dal nostro tempo”. In caso contrario, “veniamo meno al nostro dovere di dare al nostro tempo la testimonianza necessaria”.
A Ratzinger brucia il silenzio – o la resa – di cui hanno dato prova ultimamente molte autorità cristiane, specie protestanti, sugli attaccchi in atto in vari paesi contro l’intangibilità della vita di ogni essere umano, dal concepimento alla morte naturale.
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I testi integrali dei principali discorsi e omelie pronunciati da Benedetto XVI a Colonia:
> Dal battello sul Reno, 18 agosto 2005
> Nella cattedrale, 18 agosto 2005
> Nella sinagoga, 19 agosto 2005
> A rappresentanti di Chiese non cattoliche, 19 agosto 2005
> A rappresentanti musulmani, 20 agosto 2005
> A Marienfeld, alla veglia notturna, 20 agosto 2005
> A Marienfeld, alla messa, 21 agosto 2005