(Avvenire) Il messaggio dei vescovi nel 40° del concilio

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Ieri nel duomo di San Rufino, i presuli riuniti in assemblea ad Assisi hanno consegnato a sedici rappresentanti delle nuove generazioni il messaggio sull’attualità dell’evento conciliare a quarant’anni dalla sua conclusione

Ai giovani l’eredità del Concilio


I vescovi italiani: «Una guida per portare pace e giustizia al mondo» «Il rinnovamento nato dal Vaticano II ha inciso in modo profondo sulla realtà delle nostre Chiese e anche sui modi e sulle forme della presenza cristiana nel Paese»


I Vescovi Italiani


Sara è da un anno il sindaco del suo comune. Fascia tricolore a tracolla avanza insieme a 15 altri giovani lungo la navata centrale del duomo di San Rufino, per ricevere dalle mani del vescovo di Assisi, monsignor Sergio Goretti, il messaggio che i vescovi italiani riuniti in Assemblea generale hanno scritto in occasione dei 40 anni della fine del Concilio.
Ci sono anche Paola e Martino, studentessa lei, giovane laureato lui, Claudio, un pianista, in rappresentanza degli artisti. Laura e Irene, rispettivamente educatrice di Ac e volontaria della Caritas. E poi Michele e Daniela, che rappresentano i giovani lavoratori e anche «i tanti precari, sottoccupati e disoccupati che faticano a costruire il loro futuro», dice presentandoli all’assemblea, il direttore del Servizio nazionale di pastorale giovanile, don Paolo Giulietti. Seguono Alessandro, giovane disabile, che come tanti nella sua condizione «testimonia con coraggio ragioni di vita e di speranza ai propri coetanei e alla società tutta». E infine, Flavio, Fulvio, Giorgio, Andrea, Gianluigi e Francesco, a rappresentare i milioni di ragazzi di tutta Italia, cui con questo gesto simbolico i vescovi si rivolgono.
Del resto, erano giovani anche loro 40 anni fa, come scrivono all’inizio del Messaggio che Avvenire pubblica integralmente qui sotto. E ai giovani, dunque, consegnano «l’eredità del Concilio, che ci ha insegnato – affermano – a discernere negli avvenimenti i veri segni della presenza e del disegno di Dio». Un’eredità da «conoscere meglio», traendone «ispirazione per il servizio al Regno nella storia».
La cerimonia si svolge nella cattedrale di San Rufino, dove nel 1182 fu battezzato il piccolo San Francesco. I vescovi di tutta Italia celebrano insieme i vespri solenni, cantano i salmi e gli altri inni intonati dal Coro (anch’esso composto di giovani) del Coperlim, il Corso di perfezionamento liturgico musicale, diretto da don Antonio Parisi. Si raccolgono in preghiera mentre il violoncello di Matte o Malagoli e l’organo di Germano Becchimanzi sottolineano con le loro note i momenti di raccoglimento. «Siamo chiamati a incarnare il Vangelo nel nostro tempo», afferma monsignor Goretti. E sarà più facile, come scrivono i vescovi, seguendo «la sicura bussola» del Vaticano II. Perché il cammino iniziato 40 anni fa continua ancora.
dal nostro inviato ad Assisi
Mimmo Muolo;



Carissimi nel Signore,
quarant’anni fa, l’8 dicembre 1965, Paolo VI chiudeva il Concilio Vaticano II. Quasi tutti eravamo, allora, seminaristi o giovani preti. Oggi che lo Spirito Santo ci ha posto come Vescovi a pascere le Chiese di Dio che sono in Italia (cfr At 20,28) ricordiamo ancora con commozione quei giorni; abbiamo davanti agli occhi immagini piene di fascino, come quella dei duemila Vescovi che entrano in processione in San Pietro o quella di Papa Giovanni che, dalla finestra del Palazzo Apostolico, saluta i fedeli venuti per essere testimoni di quell’avvenimento. Ma soprattutto portiamo ancora nel cuore i desideri, le attese, le speranze che il Concilio aveva suscitato in noi. Eravamo – e lo siamo nello stesso modo oggi – gioiosi e fieri della Chiesa e della testimonianza di universalità, di unità, di amore al Vangelo che essa offriva al mondo; ed eravamo convinti di vivere una primavera, una stagione bella, ricca di promesse e di speranze. Abbiamo capito meglio, in quegli anni, che cosa sia la Chiesa, istituzione antica e sempre nuova, che noi amiamo con affetto profondo. Essa è il popolo «in religioso ascolto della parola di Dio», chiamato a proclamarla a tutti con ferma fiducia, secondo la testimonianza ricevuta fin dalle origini e così espressa dall’apostolo Giovanni: «Vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi; quello che abbiamo veduto e udito noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi e la nostra comunione sia col Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo» (Gv 1,1-3), «affinché mediante l’annuncio d ella salvezza il mondo intero ascoltando creda, credendo speri, sperando ami» (DV 1). Così il Concilio si è presentato e così noi desideriamo che la Chiesa sempre si manifesti: popolo che si pone in ascolto della Parola di Dio, la riceve e la proclama, e celebra i divini misteri per la salvezza del mondo. Anzitutto l’ascolto: all’inizio, infatti, non ci siamo noi con i nostri progetti; all’inizio risuona quella parola che, scaturita dal silenzio di Dio, tocca i nostri cuori e li riempie di gioia stupita e riconoscente. C’è una parola di Dio per noi, una parola che ci coglie nell’intimo del nostro cuore e si rivolge alla nostra libertà suscitando la risposta della fede. La costituzione dogmatica Dei Verbum confessa questa parola, per la quale «Dio invisibile per la ricchezza del suo amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con loro per invitarli e ammetterli alla comunione con sé» (DV 2). In questo modo, il Concilio ci ha ricordato che l’uomo non è solo, gettato a vivere nella fredda immensità dell’universo, ma è chiamato da una parola amica a rispondere a un appello e a costruire insieme un mondo degno dell’uomo e di Dio. Le tante e varie parole che scandiscono la storia del rapporto tra Dio e l’uomo (cfr Eb 1,1-2) hanno il loro compimento e la loro perfezione nella Parola fatta carne, in Gesù di Nazaret (DV 4). Poiché è Dio in carne umana, egli ci rivela il volto di amore del Padre; e poiché è uomo a perfetta somiglianza di Dio, egli ci permette di sperare sempre nell’uomo e di comprenderne il compito sulla terra. È il mistero di Cristo a unire indissolubilmente l’uomo e Dio e a rivelare la nostra vocazione, il compito che ci è affidato: la comunione. Comunione con Dio Padre, dal quale riceviamo con gratitudine la vita; comunione tra noi, perché Dio sia santificato nel mondo. Questo mistero di vita e di morte, di amore che ha vinto il peccato, ci è donato nell’Eucaristia e nei diversi sacramenti che da esso scaturiscono, esprimendone la ricchezza e a ttuandone la forza. La costituzione Sacrosanctum Concilium proclama proprio questo: che il mistero di Cristo non appartiene soltanto al passato come fatto storico, ma è vivo, presente, efficace come azione di salvezza di Dio. Per questo la Chiesa attraverso i secoli non smette di celebrare la liturgia, che «è il culmine cui tende la [sua] azione… e, insieme, la fonte da cui promana tutto il suo vigore» (SC 10): è consapevole che nel mistero di Cristo, reso presente tra noi per la forza dello Spirito Santo, sta l’origine inesauribile della sua vita, la forza della sua missione, la via della sua santità, la manifestazione piena della sua identità. Nella Parola e nei sacramenti è Cristo stesso, vincitore del peccato e della morte, a operare ed edificare il suo corpo, la Chiesa, che in Maria contempla il proprio ideale mentre la venera come Madre. Fatta di uomini con le loro doti e i loro limiti, la Chiesa è però dono di Dio, presa di mezzo al mondo, riempita dello Spirito del Risorto, costruita come comunione di fede e di amore per essere nel mondo, segno e strumento di unità. «Popolo radunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo», essa – come ci insegna la costituzione dogmatica Lumen gentium – esiste per riunire gli uomini con Dio e fra di loro e per attirare il mondo intero al Padre (cfr LG1). L’unica Chiesa, una santa cattolica e apostolica, articolata nella molteplicità dei ministeri e arricchita dalla varietà dei carismi, si fa presente in tutte le Chiese particolari, guidate dai loro Vescovi: e l’unità generata dall’unica Parola e dall’unico Pane di vita è espressa dalla comunione collegiale dei Vescovi con il Vescovo di Roma, il successore di Pietro. Il Signore chiama tutti alla sua Chiesa: di qui nasce la passione che ogni battezzato deve sentire per la causa del Vangelo, impegnandosi per essa con piena consapevolezza e responsabilità nell’attività di evangelizzazione e di missione. Da qui scaturisce la passione per l’unità del corpo eccle siale di Cristo, e dunque l’impegno ecumenico, a cui tutti siamo chiamati. Da qui viene l’urgenza di riscoprire il legame della Chiesa con la sua santa radice, la fede d’Israele, e di avere a cuore il dialogo e l’amicizia con i «fratelli maggiori», gli ebrei. Da questa vocazione alla comunione con Dio nasce anche l’urgenza del dialogo con i credenti di tutte le religioni. Da qui, infine, sorge il bisogno di sviluppare un dialogo rispettoso, mai separato dalla proclamazione del Vangelo con le donne e gli uomini di buona volontà a qualunque cultura, situazione storica o posizione appartengano. La Chiesa vive così nella storia al servizio della salvezza per la gloria di Dio: scaturisce da qui l’ispirazione della costituzione pastorale del Concilio Gaudium et spes, che offre uno sguardo fiducioso sul panorama dell’esistenza umana per cogliere nelle culture l’anelito all’unità e alla comunione, per valorizzare tutti i germi di bene, per moltiplicare le esperienze di donazione, di amore, «al fine di stabilire quella fraternità universale che corrisponde a tale vocazione» (GS 3), e accoglie il contributo che le può venire dall’uomo e dalla sua storia (cfr GS 44). In modo particolare si colloca in questa luce l’impegno della Chiesa al servizio della pace fra gli uomini e i popoli: il rifiuto della violenza si coniuga all’urgenza di promuovere la giustizia e la riconciliazione come unica via possibile a una pace autentica e duratura. La ricezione del Concilio, ossia la sua assimilazione e attuazione concreta nella vita e nella missione della Chiesa, è stata ed è un’opera complessa e spesso travagliata; ma i frutti positivi sono comunque assai grandi e ben più rilevanti delle difficoltà: abbiamo dunque tutti i motivi per ringraziare il Signore del dono che ci ha fatto attraverso il Vaticano II. In Italia il rinnovamento conciliare, per cui tanto si è speso, con non poca sofferenza, Paolo VI e poi, con altrettanta fedeltà, Giovanni Paolo II, ha inciso in maniera profonda sul volto e sulla realtà delle nostre Chiese, e anche sui modi e sulle forme della presenza cristiana nella vita del Paese: anche se non è stato possibile arrestare i processi di secolarizzazione e purtroppo di scristianizzazione, il rinnovamento conciliare ha indubbiamente aiutato a comprendere le radici di questi fenomeni e soprattutto ha stimolato una risposta pastorale e culturale, in chiave di missione e di evangelizzazione. Gli aspetti di travaglio, di contestazione e di crisi del periodo successivo al Concilio in Italia non hanno bloccato la rinnovata consapevolezza della comunione ecclesiale e della responsabilità missionaria condivisa da tutti i credenti, in particolare mediante l’impegno capillare e generoso dei laici cristiani e delle loro molteplici aggregazioni. Il panorama, rispetto a quarant’anni fa, è assai cambiato, ma è rimasta viva e feconda l’eredità del Concilio, che ci ha insegnato a «discernere negli avvenimenti… i veri segni della presenza e del disegno di Dio» (GS 11) e al contempo ci ha ammonito che «al di sotto di tutti i mutamenti ci sono molte cose che non cambiano; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli (cfr Eb 13,8)» (GS 10). La Chiesa è chiamata pertanto a continuare oggi, e sempre di nuovo, quella grande opera di discernimento e di orientamento profetico che il Vaticano II, sotto la guida dello Spirito Santo, ha saputo compiere tanto fruttuosamente, testimone della speranza che non delude in questo mondo che cambia. Sono queste alcune delle considerazioni che ci hanno motivato a fare memoria con voi e per voi di questa «grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo ventesimo. In esso – come ci ha ricordato Giovanni Paolo II – ci è offerta una sicura “bussola” per orientarci nel cammino del secolo che si apre» (NMI 57). È una convinzione che Benedetto XVI ci ha riproposto con forza nel suo primo messaggio. Per questo sentiamo di dover riconsegnare il patrimonio del C oncilio alle nostre comunità cristiane, soprattutto ai giovani. È grande in noi tutti il desiderio che il cammino verso la comunione con Dio – amore infinito – e verso la comunione tra gli uomini si rinnovi con fresca energia. Questo compito noi ora lo affidiamo a voi, giovani. Ve lo ripetiamo con le parole sempre attuali e belle che il Concilio vi ha rivolto: «La Chiesa vi guarda con fiducia e con amore… essa è la vera giovinezza del mondo. Essa possiede ciò che fa la forza e la bellezza dei giovani: la capacità di rallegrarsi per ciò che comincia, di darsi senza ritorno, di rinnovarsi e ripartire verso nuove conquiste. Guardatela e voi ritroverete in essa il volto di Cristo, il vero eroe umile e saggio, profeta della verità e dell’amore, il compagno e l’amico dei giovani» (Messaggi del Concilio all’umanità, Ai giovani). Per questo vi invitiamo a conoscere meglio e ad amare il Concilio, traendone ispirazione sempre nuova per la vostra fede, per la costruzione del popolo di Dio e per il servizio al Regno nella storia, secondo la volontà del Signore.

Assisi, 16 novembre 2005