Gli allegri (si fa per dire, perché in verità sono pateticamente tristi) sostenitori del melting pot di solito non vanno nemmeno al cinema, sennò saprebbero che gli Usa sono, sì, una società multietnica, ma niente affatto multiculturale.
Chiunque vi si stabilisca ha una sola alternativa: diventare americano.
Può, certo, praticare la sua religione, ma è l’unica diversità che può permettersi, altrimenti va fuori dai piedi.
Ma la democrazia americana, purtroppo, non è quella che gli europei hanno ereditato dal giacobinismo e dalle ideologie che esso ha figliato: è nata dalla necessità, non dall’utopia.
Ne sanno qualcosa i francesi, nelle cui banlieuses (certune, almeno) ormai anche la polizia sconsiglia l’ingresso.
Se ne devono essere accorti anche i danesi, che alle loro ultime elezioni hanno decretato il trionfo del partito che più si oppone all’immigrazione senza regole, il Dansk Folkeparti di Pia Kjaersgaard. Ai danesi, popolo civilissimo, non si possono certo dare lezioni di accoglienza e tolleranza per il «diverso». Ma anche il danese si preoccupa quando vede che gli immigrati turchi, per esempio, non hanno alcuna voglia di integrarsi: anche quelli di terza generazione vanno a cercarsi moglie in Turchia attraverso matrimoni combinati e sentono come un obbligo il chiamare i parenti di lei e di lui.
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