Divo Barsotti, un profeta per la Chiesa d\’oggi
Anticipò di decenni le linee maestre dell\’attuale pontificato. E oggi se ne scopre la grandezza, anche grazie a una mostra a lui dedicata. Visse a Firenze, nel vivo dei contrasti del Concilio e del dopoconcilio.
di Sandro Magister
ROMA, 28 agosto 2007 – Al Meeting internazionale organizzato come ogni anno a Rimini in agosto, Comunione e Liberazione ha dedicato una mostra a una personalità cristiana immeritatamente poco nota, eppure grandissima: "Divo Barsotti, l\’ultimo mistico del \’900".
Divo Barsotti – morto a 92 anni d\’età il 15 febbraio del 2006 nel suo eremo di San Sergio a Settignano, sopra Firenze – fu sacerdote, teologo, fondatore della Comunità dei Figli di Dio e insigne mistico e maestro spirituale.
Un anno prima di lui era morto a Milano don Luigi Giussani, il fondatore di Comunione e Liberazione. I due non si incontrarono mai di persona, eppure si stimavano moltissimo.
Il tema che Comunione e Liberazione ha fissato per il Meeting di quest\’anno è stato: "La verità è il destino per il quale siamo fatti".
E proprio sul primato della verità don Barsotti fondò tutta la sua vita e il suo insegnamento, in profetica sintonia con le linee maestre dell\’attuale pontificato. Un motivo in più per riscoprirne e valorizzarne l\’eredità.
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In vita, Divo Barsotti si trovò spesso solo e incompreso. Quand\’era giovane sacerdote, isolato nella sua diocesi di San Miniato. Arrivato a Firenze, capito e sostenuto da pochi. Rimasto da solo, per anni, anche nel suo eremo di Settignano, abbandonato dai suoi primi seguaci. E anche dopo, ignorato e sottovalutato fino al termine della vita da gran parte dei media e dell\’intelligencija cattolica.
Era un autodidatta, mai laureato nelle scienze teologiche. Ha scritto molto: 160 libri e innumerevoli articoli e pagine sparse, ma nessuna opera sistematica. Eppure la sua produzione scritta e orale testimonia una profondità, una coerenza, una lungimiranza, un acume critico, una libertà di spirito che oggi si rivelano assolutamente fuori dal comune.
Quando in Italia quasi nessuno conosceva la spiritualità russa, egli fu il primo a introdurla, con il primo dei suoi libri, nel 1946, e poi a diffonderla. Al grande santo russo Sergio di Radonez intitolò il suo eremo di Settignano, sulle colline di Firenze.
Ma quando l\’orientalismo divenne una moda, più estetizzante che spirituale, egli la bollò con giudizi taglienti: "Noi fiorentini abbiamo il Beato Angelico, il Masaccio, Giotto, Cimabue. Forse non reggono il confronto con le icone russe? Ma sì che lo reggono e lo vincono anche".
Quando in Italia e nelle facoltà teologiche romane, negli anni Quaranta e Cinquanta, stancamente dominava la manualistica, Barsotti non perdeva un libro dei grandi promotori d\’oltralpe del "ressourcement", del ritorno alle fonti bibliche, patristiche, liturgiche: Jean Daniélou, Louis Bouyer, Henri De Lubac.
Quando nel 1951 pubblicò quel suo capolavoro intitolato "Il mistero cristiano nell\’anno liturgico", egli fu il primo in Italia a sviluppare e approfondìre tesi affini a quelle di Odo Casel – il benedettino tedesco che sosteneva l\’oggettiva efficacia della liturgia nel ripresentare l\’avvenimento cristiano – prima ancora d\’averne lette le opere.
Ma non tacque mai i punti deboli degli autori anche da lui più stimati. A Hans Urs von Balthasar – che prima di morire nel 1988 fu per sei mesi suo direttore spirituale – Barsotti non risparmiò le critiche per le sue tesi dubitative sull\’inferno: "Se non ci fosse l\’inferno, io non potrei accettare il paradiso".
Non meno critico era con quelli che si affidavano a lui come maestro di spirito. Giuseppe Dossetti fu suo discepolo spirituale dal 1951, da quando cioè abbandonò la politica per farsi monaco e sacerdote e dedicarsi integralmente a rinnovare a suo modo la Chiesa, fino alla morte nel 1996. Ma Barsotti non ne approvò affatto tutte le tesi politiche e teologiche. Un giorno scrisse nel suo diario: "Sembrerebbe meglio per don Giuseppe ritirarsi in qualche isolotto a Hong Kong". Soprattutto, Barsotti non accettava che Dossetti fosse così legato a Giuseppe Alberigo e alla sua interpretazione del Concilio Vaticano II e del dopoconcilio come "nuovo inizio" della storia della Chiesa. Giudicava la frequentazione tra i due un "pericolo". Arrivò a porre a Dossetti l\’aut aut: o la rottura con Alberigo o la fine della direzione spirituale.
Lo stesso avvenne con altri eminenti cattolici fiorentini, Giorgio La Pira, Gianpaolo Meucci, Mario Gozzini, quando non ne approvava le posizioni politiche ed ecclesiali.
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Anche ai papi don Barsotti rivolse delle critiche, che per lui erano un atto di giustizia "voluto dal Signore".
Nel 1971 fu chiamato in Vaticano a predicare gli esercizi spirituali d\’inizio Quaresima al papa Paolo VI e alla curia romana. Nelle prediche toccò il tema del potere di Pietro e disse – come poi ricordò nei suoi diari – che "la Chiesa ha un potere coercitivo perché Dio glielo ha affidato, e allora deve usarlo. In quegli anni infatti nella Chiesa dilagava l\’anarchia e nelle Chiese del Nord Europa ci si faceva beffe del Santo Padre".
Per "potere coercitivo" Barsotti intendeva l\’affermazione della verità e la condanna dell\’errore, esattamente ciò che il Concilio Vaticano II e gran parte della gerarchia cattolica dopo di esso avevano rinunciato a fare, come egli disse e scrisse più volte: una rinuncia "che praticamente negava l\’essenza stessa della Chiesa".
Di Giovanni Paolo II Barsotti era convinto ammiratore, per lo stesso motivo per il quale l\’intelligencija cattolica lo svalutava: "Ciò che maggiormente ci ha fatto capire che Cristo è presente in questo papa è l\’esercizio di un magistero che, più dell\’ultimo Concilio, ha confermato la verità e ha condannato l\’errore". Un papa "che ha sempre insegnato l\’esclusività della fede cristiana: solo Cristo salva".
Ma anche a papa Wojtyla "colonna della Chiesa" Barsotti non ha taciuto le sue critiche, ad esempio sull\’incontro interreligioso di Assisi del 1986. In esso, scrisse, "le intenzioni del papa erano chiarissime". Non però le deduzioni di tanti uomini di Chiesa, i quali "affermano che l\’evento di Assisi è il primo passo di un cammino che dovrebbe realizzare l\’unità nella pace di ogni fede dogmatica".
In due lettere, Barsotti scrisse a Giovanni Paolo II che il suo magistero di papa era "più importante o almeno altrettanto importante del magistero dell\’ultimo Concilio", il quale "aveva messo solo delle virgole al discorso continuo della tradizione", e quindi "non si capisce perché si citi quasi esclusivamente questo Concilio ultimo".
Barsotti godeva di silenzioso rispetto anche tra i cattolici progressisti, ma non perché ne assecondasse le aspettative. Tutt\’altro. Nella vicenda della Chiesa italiana e mondiale egli rappresentava la resistenza alla deriva dopoconciliare, in nome dei "fondamentali" della fede cristiana. Tra gli uomini di Chiesa di grado elevato ne vedeva pochi altrettanto decisi a "mettere l\’accento sull\’essenziale, sulla novità di Cristo, che è la cosa di cui oggi la Chiesa ha più bisogno". Nel 1990 ne indicò due, Joseph Ratzinger e Giacomo Biffi. Che divennero in seguito i suoi due "papabili" preferiti.
E quando il primo dei due divenne papa per davvero, nel 2005, avvenne quasi un passaggio di testimone. Mentre Barsotti, ultranovantenne, infermo, pian piano cessava di scrivere e parlare, nel pontificato di Benedetto XVI venivano affermate "urbi et orbi" – con l\’autorità del successore di Pietro – proprio quelle tesi che il prete toscano aveva sostenuto in tutta la sua vita.
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È fortissima la somiglianza tra le diagnosi sul Concilio e il dopoconcilio formulate da Barsotti e da Ratzinger prima e dopo la sua elezione a papa, da ultimo nel colloquio del 24 luglio scorso con i preti del Cadore.
È notevole l\’affinità tra i due nel cercare alimento nella grande tradizione della Chiesa e nello spezzare questo pane al gran numero dei semplici cristiani. Basti pensare, per Benedetto XVI, ai suoi due cicli delle catechesi del mercoledì: il primo dedicato alla Chiesa apostolica, con i profili ad uno ad uno degli apostoli e degli altri protagonisti del Nuovo Testamento; il secondo dedicato ai padri greci e latini dei primi secoli della Chiesa, ora arrivato a illustrare i grandi vescovi e teologi della Cappadocia, Basilio, Gregorio di Nazianzo, Gregorio di Nissa.
È perfetta la coincidenza tra Barsotti e papa Ratzinger nel leggere le Sacre Scritture e penetrarne il senso profondo: non con i soli strumenti della scienza storica o filologica ma alla luce del loro Autore primo, lo Spirito Santo, riconoscibile nella tradizione della Chiesa.
Anche sulla politica e la storia le visioni dei due sono simili. Entrambi contrarissimi all\’idea che nella storia terrena si edifichi progressivamente, quasi per naturale evoluzione, un regno di pace e di giustizia. Entrambi certissimi che l\’eschaton, l\’atto ultimo e definitivo della salvezza dell\’uomo e del mondo, è già presente qui ed ora e non è altri che Gesù crocifisso e risorto.
Il "mistero cristiano" è lui, Gesù crocifisso e risorto, che siede alla destra del Padre ma nello stesso tempo si fa pane per gli uomini nell\’eucaristia. Nella messa si attualizzano gli eventi del mistero. Anche qui c\’è una straordinaria consonanza tra il Barsotti del "Mistero cristiano nell\’anno liturgico" e delle successive riflessioni e le omelie di Benedetto XVI nelle messe pontificali.
Dal libro "Gesù di Nazaret", opera capitale di questo pontificato, alla centralità data all\’eucaristia, all\’enciclica "Deus caritas est" il magistero di Benedetto XVI appare di una coesione abbagliante. La stessa coesione che è apparsa nella vita e nelle opere di Barsotti. In una nota del suo "Mistero cristiano" del 1951 c\’è una riflessione su eros e agape che sbalordisce per come anticipi il cuore dell\’enciclica di papa Ratzinger.
In entrambi c\’è la consapevolezza che la Chiesa vive sul fondamento della verità e che solo dalla "veritas" sgorghi la "caritas", come lo Spirito procede "ex Patre Filioque": dal Padre e dal Figlio che è il Logos, il Verbo di Dio.
In quello che è forse il suo ultimo scritto pubblico, a commento di un libro uscito nel 2006 sul filosofo cristiano Romano Amerio, Divo Barsottti ha lasciato proprio questa consegna:
"Io vedo il progresso della Chiesa a partire da qui, dal ritorno della santa Verità alla base di ogni atto. La pace promessa da Cristo, la libertà, l’amore sono per ogni uomo il fine da raggiungere, ma bisogna giungervi solo dopo avere costruito il fondamento della verità e le colonne della fede".