Polonia contro Russia a Kiev. Con un arbitro impossibile, il papa
Impossibile perché inesorabilmente di parte. Per secoli l’Ucraina è stata contesa tra Varsavia e Mosca, tra cattolicesimo romano e ortodossia. Anche oggi è così. A Giovanni Paolo II non resta che pregare
di Sandro Magister
ROMA – Quasi in ogni sua uscita pubblica a partire da mercoledì 24 novembre, Giovanni Paolo II ha una parola per l’Ucraina. “Assicuro la mia preghiera per la pace”, ha detto domenica 28 senza parteggiare esplicitamente per l’uno o per l’altro dei due Viktor in conflitto, il filorusso Yanukovych e il filoccidentale Yushchenko.Ma che la Chiesa cattolica sia schierata per Yushchenko è palese.
Lo si vede dalle sciarpe arancione – il colore della protesta a suo favore – che i pellegrini ucraini sventolano a Roma sotto gli occhi del papa.
Lo si vede dai lunghi articoli che “L’Osservatore Romano”, il giornale della Santa Sede, dedica alla vicenda ucraina.
Lo si vede dalle parole e dalla mobilitazione della Chiesa greco-cattolica dell’Ucraina, forte di cinque milioni e mezzo di fedeli concentrati soprattutto nell’ovest del paese. Il suo patriarca di fatto, cardinale Lubomyr Husar, arcivescovo maggiore di Leopoli ma da quest’anno residente nella capitale Kiev, ha emesso il 24 novembre a nome suo e del sinodo un comunicato d’entusiastico appoggio agli insorti pro Yushchenko: “È gente coraggiosa, responsabile e pronta a sacrificarsi. Dovrebbe essere onorata e la sua voce ascoltata, perché la voce del popolo è la voce di Dio”.
Lo stesso giorno, a Kiev, in piazza Europa, è stata celebrata una messa per i fedeli di Leopoli recatisi nella capitale ucraina a manifestare (vedi foto). “Siamo agnelli tra i lupi”, ha detto il rappresentante di Husar nell’omelia. Era la festa di san Vittore, nome di entrambi i contendenti, ma alla fine della messa i festeggiamenti sono stati tutti e solo per Yushchenko.
Nelle cancellerie – e a maggior ragione a Mosca – è convinzione concorde che questo schierarsi della Chiesa cattolica, in Ucraina, a favore del filoccidentale Yushchenko sia rafforzato dal fatto che Giovanni Paolo II è un papa venuto dalla confinante Polonia.
Sono polacchi, in effetti, anche i personaggi che più si sono attivati nei primi giorni della crisi ucraina, tutti a sostegno degli insorti: dall’ex leader di Solidarnosc Lech Walesa, ricomparso in piazza a Kiev, al presidente della Polonia Aleksandr Kwasniewski, offertosi come mediatore, all’esperto di geopolitica Zbigniew Brzezinski, prodigo di consigli al presidente USA George W. Bush.
È stata la Polonia la nazione che negli ultimi anni si è mossa di più per strappare l’Ucraina all’orbita russa e avvicinarla all’occidente.
È stata la Polonia il primo paese che ha riconosciuto l’Ucraina il giorno dopo che questa s’è proclamata indipendente dall’Unione Sovietica, il 1 dicembre 1991.
È stata la Polonia la più decisa a premere per l’ingresso dell’Ucraina nel Consiglio d’Europa e nella partnership con la NATO, e oggi a prospettare la sua integrazione nell’Unione Europea.
Per il papa polacco Karol Wojtyla, i motivi che lo spingono a fianco di un’Ucraina filoccidentale e filocattolica sono gli stessi che lo mettono così drammaticamente in contrasto con la Russia ortodossa, e in particolare con il patriarcato di Mosca.
All’origine di tutto c’è la storica rivalità tra la Polonia e la Russia, politica e religiosa, con l’Ucraina contesa tra le due.
Per i russi l’Ucraina è terra natale. La Russia è sorta a Kiev più di mille anni fa dal principato vichingo dei Rus, ed è lì che s’è convertita al cristianesimo, è lì che ha tutt’ora gli archetipi della sua fede, dell’arte, della liturgia, del monachesimo.
Ma nel 1240 arrivarono i mongoli e occuparono quasi tutto il territorio. A riconquistarlo non furono però i russi, ma i polacchi e i lituani. I russi si affrancarono dai mongoli come principato di Mosca, mentre dal Baltico al Mar Nero si costituì la “Res Publica Polonarum”, che per quattro secoli fu la più grande potenza territoriale d’Europa, con puntate aggressive fino a Mosca e all’”anello d’oro” dei monasteri della Moscovia. Secondo una tradizione, a salvare la Russia da una di queste scorrerie polacche nel cuore del suo territorio fu la Madonna di Kazan: quella dell’icona restituita da Giovanni Paolo II al patriarcato di Mosca nel 2004.
Nel 1596, a Brest, un sinodo architettato da gesuiti polacchi sancì il ritorno all’obbedienza al papa di Roma di una parte consistente della Chiesa ortodossa dell’Ucraina, pur mantenendo lingua, riti e usanze bizantine.
Ma mezzo secolo dopo la situazione si rovescia. Una rivolta cosacca riporta i russi a Kiev, da dove iniziano a marciare verso occidente. Alla metà del Settecento Caterina la Grande colloca sul trono di Polonia un suo favorito, Stanislaw Poniatowski. E alla fine del secolo la Polonia addirittura scompare come stato. La Russia ingloba Varsavia. All’Austria va la Galizia con Leopoli: e lì sopravvive la Chiesa greco-cattolica unita a Roma, mentre nel resto dell’Ucraina Mosca ha imposto il ritorno all’ortodossia.
Nel corso dell’Ottocento i polacchi si ribellano ai russi un paio di volte. Hanno il sostegno di molti intellettuali europei, ma non delle grandi potenze né del papa di Roma. È in quel periodo che in Polonia nasce il sogno di un “papa slavo” capace di restaurarne le sorti.
La Polonia rinasce come stato dopo la prima guerra mondiale. E mentre la Russia è in piena rivoluzione bolscevica, rioccupa Kiev. L’armata rossa contrattacca arrivando alle porte di Varsavia. Il trattato di Riga del 1921 annette alla Polonia l’Ucraina occidentale con la Galizia, più parti della Bielorussia e della Lituania. L’Ucraina di Kiev, formalmente indipendente, nel 1924 si associa all’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
All’inizio della seconda guerra mondiale, grazie al patto con la Germania hitleriana, l’URSS si riprende l’Ucraina occidentale e parte della stessa Polonia. Alla fine della guerra l’Ucraina ha gli stessi confini che ha oggi ed è tutta sotto il dominio sovietico. Anche sotto il profilo religioso. Nel 1946 Mosca organizza a Lvov, nome russo di Leopoli, in ucraino Lviv, un sinodo che cancella la Chiesa greco-cattolica, obbligandola a rientrare nell’ortodossia. L’arcivescovo Slipji, esarca legittimo, è messo in prigione. Sarà liberato nel 1963.
La Chiesa greco-cattolica ucraina deve aspettare il 1989 per uscire dalle catacombe. E subito affronta la Chiesa ortodossa, dalla quale esige – e spesso strappa con la forza – la restituzione di chiese e case. Altri colpi la Chiesa ortodossa li subisce entro le proprie file. Dall’obbedienza a Mosca s’è distaccato un patriarcato autocefalo, agli ordini dello scomunicato metropolita Filarete; mentre un altra Chiesa ortodossa resasi indipendente nel 1919 e vissuta in esilio è tornata in patria e raccoglie un discreto seguito.
Non sorprende, quindi, che nelle contestate elezioni che hanno preceduto gli attuali tumulti, la gerarchia della Chiesa ortodossa ucraina che obbedisce al patriarcato di Mosca sia stata la sola a schierarsi a favore del filorusso Yanukovych, con una dichiarazione del suo metropolita Vladimir. Tutte le altre Chiese, in testa la greco-cattolica, parteggiano per il filoccidentale Yushchenko.
Su questo sfondo, nonostante le sue cautele verbali, il suo spirito ecumenico e la sua volontà di dialogo, un papa polacco in Ucraina appare inesorabilmente parte in causa, non possibile mediatore di pace. Non gli resta, come fa, che pregare.
__________
Il sito web, in inglese, della Chiesa greco-cattolica ucraina, con notizie sempre aggiornate:
> The Ukrainian Greek Catholic Church
l’Espressonline 1-12-2004