(L’Espresso) Missionari di Cristo o dei no global?

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Missionari di Cristo o dei no global? La grande disputa


Uomini, fatti, tendenze dello scontro in atto su come far missione. In ottobre il papa farà santo Daniele Comboni, ma i suoi eredi sono molto divisi


di Sandro Magister


[Da “L’espresso” n. 34 del 21 agosto 2003]


ROMA – Carmen Nava e Clotilde Bonavia sono due suore missionarie. Sono in Liberia da trent’anni, a Buchanan. Nell’inferno della guerra civile fanno funzionare un ambulatorio e una scuola, assieme a due frati cappuccini dell’India. “Non ce ne andremo da qui neanche se ci cacciano con i fucili”, dicono via radio, mentre ottomila disperati trovano rifugio da loro.


Lelamur è un villaggio nell’Uganda del Nord. Una banda di ribelli dà l’assalto alla missione cattolica e si porta via venti fedeli e tre catechisti. Ne dà notizia la Misna, Missionary Service News Agency, diretta dal missionario italiano Giulio Albanese.

Carlo Buzzi è missionario in Bangladesh. Per anni ha tirato avanti da solo senza che nessuno si convertisse, ma adesso ci sono cinque famiglie cattoliche e a Pasqua ha battezzato altri due bambini. Una goccia in un mare di musulmani.

Storie ordinarie di missione. Balenano a fatica tra le notizie di giornali e telegiornali. Eppure hanno dietro di sé grandi numeri e grandissimo impegno. Di missionari e missionarie – preti, suore e semplici volontari – l’Italia ne ha sul campo, fin nelle più sperdute regioni del globo, più di 16.000. E all’opposto di altri paesi cattolici, negli ultimi decenni sono aumentati invece che diminuiti. Il prossimo 5 ottobre Giovanni Paolo II farà santo uno dei loro predecessori: Daniele Comboni, morto a Khartoum nel 1881, fondatore dei missionari comboniani.

Ma proprio sulla missionarietà è in corso nella Chiesa una grossa disputa. Per tutto settembre i comboniani, più di 1.800 in quattro continenti, terranno un capitolo generale su che cosa vuol dire far missione cristiana tra le genti. E sarà battaglia in casa. Il più celebre loro confratello, ad esempio, Alex Zanotelli, è portatore di una interpretazione molto netta. L’ultimo suo gesto pubblico l’ha fatto il 2 agosto sulle Alpi, sul ghiacciaio della Marmolada: una catena umana contro le multinazionali che si accaparrano l’acqua, in testa la Vivendi e la Nestlé “che si è già impadronita delle acque minerali Pejo”.

Tutta opposta la linea di Piero Gheddo, che non è comboniano ma del Pime, Pontificio istituto missioni estere: “Quando tutto il lavoro missionario si concentra sulla fame nel mondo e la protesta contro le multinazionali e la globalizzazione capitalistica, mi chiedo: dov’è finito Gesù Cristo? Perché la nostra vocazione missionaria è trasmettere la fede in lui, l’unica ricchezza che abbiamo”.

Gheddo è un’autorità in materia. Quando a Giovanni Paolo II è venuto in mente di scrivere un’enciclica sulle missioni, la “Redemptoris Missio” del 1990, è a lui che ha fatto scrivere la bozza. Sulla rivista del Pime, “Mondo e Missione”, tiene una rubrica dal titolo che è tutto un programma: “Armagheddo”, dalla quale cala fendenti sulle altre riviste missionarie di quasi esclusivo profilo no global.

“Nigrizia”, dei comboniani, è stata la prima a imboccare la strada terzomondista e anticapitalista. La dirigeva Zanotelli, che nel 1985 creò un putiferio affibbiando all’allora ministro degli esteri italiano, il cattolicissimo Giulio Andreotti, l’epiteto di “commesso viaggiatore di armi”. Zanotelli perse il posto ed emigrò in Africa, nella bidonville di Korogocho alla periferia di Nairobi. È da lui che l’attuale sindaco di Roma Walter Veltroni, del partito dei Democratici di sinistra, ex partito comunista, si recò pellegrino nel 2000, a maturare la sua passione per l’Africa, poi pubblicizzata nel libretto dal titolo “Forse Dio è malato”.

Oggi che Zanotelli è tornato in Italia, l’arcipelago no global lo ha come faro. Nel sito web di “Nigrizia” la sua pagina è visitatissima. E alle parole seguono i fatti. Per protestare contro la guerra in Iraq Zanotelli ha ispirato il boicottaggio della benzina americana Esso. Alcuni suoi confratelli, in Puglia, hanno fatto sciopero invece di dir messa. Un’altra sua campagna è contro la legge che controlla l’immigrazione: il 7 giugno, per protesta, due comboniani si sono incatenati alla questura di Caserta.

Su “Nigrizia” scrive ogni mese l’ebreo Gad Lerner, che al confronto fa la parte del moderato. Su “Missioni Consolata”, invece, altra rivista missionaria delle più diffuse, edita a Torino, tiene campo dallo scorso gennaio Giulietto Chiesa, ex corrispondente dall’Urss dell’”Unità”, organo dell’allora partito comunista, e critico virulento dell’impero americano sul mondo. Numerosi lettori hanno scritto al direttore, padre Francesco Bernardi, per lamentarsi del cambiamento impresso alla rivista. A Giulietto Chiesa preferivano il mite Carlo Urbani, martire della lotta contro la polmonite Sars, che su “Missioni Consolata” teneva una rubrica in cui raccontava la sua missione di medico cristiano nei paesi poveri.

Altro mensile missionario d’ultrasinistra è “Missioni Oggi”, dei saveriani di Brescia. Padre Eugenio Melandri, suo ex direttore, è stato eletto in parlamento nelle file di Rifondazione comunista. Il suo direttore attuale, Meo Elia, accusò due anni fa Gheddo di voler ricolonizzare l’Africa. Gheddo ribatté che “un’Africa felice prima del colonialismo è pura fantasia” e che gli africani imparano a civilizzarsi molto di più dal Vangelo che da mille prediche terzomondiste. “Popoli”, la rivista missionaria dei gesuiti, diretta da Bartolomeo Sorge, inclina un po’ anch’essa in quest’ultima direzione: sull’ultimo numero una sociologa camerunese, Axelle Cabou, argomenta che sono gli africani i primi responsabili della loro arretratezza.

Anche dalle terre di missione salgono proteste contro i missionari no global. L’arcivescovo Thomas Menamparampil di Guwahati, nell’India orientale, li ha recentemente accusati di “senso di colpa, timidezza, apatia”. Tutti presi dal fustigare il colonialismo, “hanno vergogna di annunciare Gesù Cristo, e così la missione muore”.

Ma un conto è la linea rappresentata dalle riviste missionarie no global, un conto il lavoro che i missionari fanno sul campo. Tra Zanotelli da una parte e Gheddo dall’altra c’è una linea maggioritaria che prende un po’ dell’uno e la sostanza dell’altro. Un emblema di questa linea mediana, che è anche la più praticata, è un altro missionario famoso, comboniano, Renato Kizito Sesana.

Barba e capelli bianchi, padre Kizito comparve due anni fa in tv in uno spot che incitava a devolvere alla Chiesa cattolica l’otto per mille del reddito. Opera in Kenya, Zambia e Sudan, tra bambini di strada, profughi Nuba e villaggi di capanne. Ha aperto uno sportello per microcrediti alle donne, sul modello della celebre Grameen Bank del musulmano bengalese Muhammad Yunus e del Fondo per i poveri di un’altra missionaria cattolica di spicco, suor Nancy Pereira, indiana. Ma sempre con l’annuncio del Vangelo al primissimo posto. Ambulatorio, scuola, catechismo, battesimo: questa continua a essere l’immagine vincente della missione cattolica nel mondo.

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E questi sono i loro martiri


Dal 1990, ogni fine anno, la congregazione vaticana De Propaganda Fide, che sovrintende alle missioni, tiene il conto dei religiosi caduti sul campo. E non esita a chiamarli martiri, perché uccisi testimoniando la fede.

In tredici anni la somma è di 659 caduti. Nel 2002 sono stati 25: un vescovo, 18 sacerdoti, un frate, 2 suore, 2 seminaristi, un laico consacrato. Provenivano 14 dalle Americhe, 5 dall’Europa, 5 dall’Africa, uno dall’Asia.

La Colombia, con 11 vittime, è stato lo scorso anno il paese più colpito. Quattro sono stati uccisi alla fine della messa: tra essi l’arcivescovo di Cali, Isaias Duarte Concino. Un altro dei caduti è stato padre Arley Arias garcia, presidente del tavolo di trattativa tra guerriglieri e paramilitari. Un altro ancora, padre Gabriel Arias Posadas, vicario generale della diocesi di Armenia, l’hanno ammazzato mentre trattava per la liberazione di un sequestrato.

In Congo, due sono morti per una bomba scagliata contro la processione della domenica delle palme.

In Iraq, a Baghdad, è stata uccisa da uomini armati penetrati in convento una monaca caldea, suor Cecilia.

Il cardinale Giacomo Biffi, in un’omelia nella cattedrale di Bologna, commentando questo martirologio ha lamentato il silenzio che lo circonda: “Non si è levata da noi alcuna protesta e non è sfilato per le nostre strade nessun corteo”.

E questo anche per colpa dei cristiani: “troppo paurosi, con una strana propensione alla resa e all’assurda disponibilità a sacrificare al dialogo e all’accoglienza ogni manifestazione e ogni segno della propria identità”.

Propaganda Fide tiene anche il conteggio dei religiosi che in Cina sono privati della libertà. Lo scorso anno erano 33, tra i quali 13 vescovi.

Quanto ai missionari uccisi quest’anno, ce n’è già una lista nutrita. Le ultime vittime sono i comboniani Mario Mantovani, 84 anni, italiano, e Godfrey Kiryowa, 29 anni, ugandese. Il 14 agosto, nel nord dell’Uganda, sono stati colpiti a morte in un’imboscata, non lontano dalla loro missione di Kanawat.