(Zenit) Mons. George PELL: La guerra giusta

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+ Mons. George PELL
ROMAN CATHOLIC ARCHBISHOP OF SYDNEY

Nel Vangelo di Matteo, leggiamo che quando i suoi avversari cercarono
di prendere in castagna Gesù su questioni legate alle tasse, rispose
“date a Cesare quello che è di Cesare – e a Dio quello che è di Dio”.
Nel Vangelo di Matteo, leggiamo che quando i suoi avversari cercarono
di prendere in castagna Gesù su questioni legate alle tasse, rispose
“date a Cesare quello che è di Cesare – e a Dio quello che è di Dio”.

Quando va in guerra l’Australia lo decide il nostro governo, eletto
democraticamente, ed è una delle sue responsabilità più gravi.
Le decisioni sulla guerra appartengono a Cesare, non alla Chiesa.

I cristiani quali ottiche possono offrire a Cesare?

Il Vangelo sottolinea l’amore, il perdono dei nemici e la benedizione
speciale per i portatori di pace.
Ma riconosce anche la legittimità dell’autorità politica e il dovere
di reprimere i malfattori.
Qui ci sono delle tensioni reali.

Molti esponenti della minoranza cristiana perseguitata nell’Impero
romano pagano erano pacifisti, una posizione più facile da sostenere
quando c’erano gli eserciti pagani a difendere i confini e a
mantenere l’ordine interno.
La posizione dei cristiani allora era come quella di quegli
australiani di oggi che sono invariabilmente anti-americani, mentre
beneficiano della pace americana conseguita negli ultimi 60 anni.
Un mondo senza la superpotenza americana sarebbe molto più costoso e
pericoloso per gli australiani.

La teoria di una guerra giusta, definita per la prima volta da
Sant’Agostino, nell’Africa del Nord nel V secolo, è stata da allora
continuamente in divenire, e ha visto i politici e gli intellettuali
delle forze armate, a volte anche di più dei teologi, alle prese con
la fondamentale esigenza agostiniana che perché una guerra sia giusta
essa debba avere un motivo giusto, un’autorità legittima e una retta
intenzione.

Oggi, la teoria della guerra giusta cerca quali siano le attività
legittime in tempo di guerra, insieme ai criteri necessari per fare
la guerra, e in questa categoria spuntano spesso altre tre
pre-condizioni. La guerra dovrebbe essere
– l’estrema ratio,
– avere una probabilità di riuscire e
– non dovrebbe produrre mali ancora peggiori.

Nel 1994 il catechismo della Chiesa cattolica limitò l’uso legittimo
della forza militare al caso di difesa contro un’aggressione.
Non comprendeva la possibilità di un intervento militare contro la
pulizia etnica, il terrorismo e la guerriglia urbana (1).
Adesso l’esigenza di impedire l’accesso delle reti terroristiche alle
armi di distruzione di massa prodotte dagli stati canaglia
costituisce una sfida significativa e prudenziale.

Gli Stati Uniti, il Regno Unito e l’Australia hanno fornito una causa
sufficiente per condurre una guerra giusta, alla luce di una simile
lista aggiornata di criteri?
Ancora no.
I nostri governanti non ci hanno ancora dato prove chiare di armi
irachene di distruzione di massa e dei collegamenti con i terroristi
(2).

Il Presidente Bush sta minacciando un attacco preventivo da parte
degli alleati, con o senza l’approvazione dell’ONU, per prevenire
possibili attacchi futuri causati o assistiti dall’Iraq (3).

Un attacco unilaterale preventivo, senza approvazione internazionale,
sarebbe una spada a doppio taglio, una dottrina pericolosa,
destabilizzante dell’ordine internazionale.
Ci dicono che l’inattività potrebbe essere ancora più pericolosa, ma
per dire se questo sia vero servono prove più chiare.

È dal 1837 che è consuetudine degli Stati Uniti opporsi agli attacchi
preventivi. In quella data gli inglesi catturarono la nave americana
Carolina e la buttarono giù per le cascate del Niagara, perché la
ritenevano una minaccia agli interessi britannici per aver dato
sostegno ai ribelli canadesi.
Daniel Webster, all’epoca Segretario di Stato degli Stati Uniti,
affermò che azioni preventive si potevano giustificare solo quando
c’era una schiacciante necessità di auto-difesa all’istante, che non
lasciava scelta quanto a mezzi né dava tempo per deliberare.”
Erano tempi più semplici.

Molti di noi ricordano le fotografie dei silos dei missili sovietici
durante la crisi cubana del 1962.
Bisognerebbe avere prove di questo tipo, per dimostrare che l’Iraq
sta aiutando i terroristi musulmani, che sta producendo e ammassando
armi di distruzione di massa, che non è disarmata.
Le prove che Colin Powell produrrà al Consiglio di sicurezza questa
settimana saranno cruciali.

Saddam Hussein è tiranno del suo popolo, oppressore della minoranza
curda, ha usato armi di distruzione di massa contro l’Iran e contro i
curdi.
Ha sfidato per 12 anni le condizioni dell’ONU per la pace, che
esigevano il suo disarmo.
Si dice che Hussein finanzi i kamikaze palestinesi, e che fino a poco
tempo fa finanziasse il gruppo terrorista di Abu Nidal.
Un ramo di Al Qaeda sta combattendo una guerriglia contro i nemici di
Hussein, i curdi, nel nord dell’Iraq.
Gli esperti insistono che ci sono molte altre prove.
Bisognerebbe che queste prove fossero rese disponibili, e a
sufficienza.

Un altro criterio importante per una guerra giusta è che non si
facciano male i civili non combattenti.
In questo campo il XX secolo ha registrato un deterioramento
terribile.
Nella prima guerra mondiale le vittime civili furono il 5 percento del
totale e nella seconda guerra mondiale furono il 50 per cento.
In Vietnam, le vittime civili aumentarono ancora e arrivarono al
60/70 per cento.
Un imperativo fondamentale per gli alleati deve essere quello di
evitare le vittime civili in Iraq.

Il giusto processo è sempre importante nei tribunali australiani e a
livello internazionale.
Ciò comporta la necessità di lavorare attraverso l’ONU, uno strumento
imperfetto per interessi nationali contrastanti, in cui si trovano
molte nazioni che hanno un brutto profilo nel campo dei diritti
umani.
Ma l’ONU è l’unico strumento che abbiamo.

Importanti Paesi democratici come la Francia e la Germania rimangono
perplessi, nonostante il fatto che Hussein abbia sfidato 17
risoluzioni dell’ONU e che sia ancora valida la risoluzione 678 del
1990 che autorizza l’uso della forza militare.
L’11 settembre e Bali costituiscono dei ricordi gravi.

Se il sostegno internazionale non può determinare la moralità
dell’invasione dell’Irak, l’autorità morale legittima è uno dei
criteri per una guerra giusta.
Abbiamo bisogno che siano rese pubbliche altre prove che dimostrino
che la causa alleata è giusta e per ottenere il sostegno del
Consiglio di Sicurezza.

Anche le persone di buona volontà che concordano sui criteri della
guerra giusta a volte si divideranno nelle conclusioni pratiche.
I governi decidono ma i cittadini dovrebbero poter discutere della
moralità delle loro decisioni.

Secondo me, è moralmente giustificabile che la marina australiana
contribuisca a rafforzare l’embargo all’Iraq e che le truppe
australiane facciano pressioni sul dittatore iracheno perché
ottemperi alle condizioni dell’ONU per la pace, che aveva accettato
nel 1991.
Queste sono attività onorevoli.
Ma le prove rese pubbliche finora sono insufficienti per giustificare
l’entrata in guerra, particolarmente se non c’è il sostegno del
Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

+ Mons. George PELL
ROMAN CATHOLIC ARCHBISHOP OF SYDNEY
http://www.sydney.catholic.org.au/

Da “The Australian”, Sydney, 4 febbraio, 2003,
ripubblicato con permesso, da Zenit, 8 febbraio, 2003

[Traduzione cortesemente offerta da A. Nucci]

NOTE

(1) In merito all’intervento bellico a fini umanitari nella ex
Jugoslavia, cosi’ si e’ espresso Papa Giovanni Paolo II:
“La pace è un fondamentale diritto di ogni uomo, che va continuamente
promosso, tenendo conto che ‘gli uomini in quanto peccatori sono e
saranno sempre sotto la minaccia della guerra fino alla venuta del
Cristo’ (Lumen gentium, 78).
Talora questo compito, come l’esperienza anche recente ha dimostrato,
comporta iniziative concrete per disarmare l’aggressore.
Intendo qui riferirmi alla cosiddetta ‘ingerenza umanitaria’, che
rappresenta, dopo il fallimento degli sforzi della politica e degli
strumenti di difesa non violenti, l’estremo tentativo a cui ricorrere
per arrestare la mano dell’ingiusto aggressore” (NDR).

(2) L’arcivescovo di Sidney ha scritto questo articolo prima che il
ministro nordamericano Colin Powell avesse mostrato al mondo le prove
della presenza di armi di distruzioni di massa chimico –
batteriologiche (NDR).

(3) Si tratta di una situazione analoga a quella della
cosiddetta «guerra dei Sei giorni» nel 1967, in cui Israele attaccò i
Paesi arabi per prevenire una aggressione egiziana