(ZENIT) L’Emilia ”rossa” non sa chiedere perdono dei propri crimini

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Il consiglio comunale di Scandiano rifiuta di commemorare un sacerdote ucciso dai partigiani


Don Carlo Terenziani, morto il 29 aprile 1945

ROMA, domenica, 18 dicembre 2005 (ZENIT.org).- A don Carlo Terenziani, un sacerdote della diocesi di Reggio Emilia barbaramente ucciso da quattro partigiani il 29 aprile 1945, il consiglio comunale di Scandiano ha rifiutato l’onore di una targa commemorativa.

Il 29 novembre il consiglio comunale di Scandiano, cittadina dove ancora oggi vivono due componenti del gruppo che uccise don Terenziani, ha votato contro la proposta dell’opposizione per realizzare una targa in ricordo del sacerdote ucciso.

Per conoscere fatti e implicazioni della vicenda, ZENIT ha intervistato Roberto Beretta, giornalista di “Avvenire” e scrittore, autore del libro “Storia dei preti uccisi dai partigiani” (Piemme 2005, pp.320, Euro 14,90).

Chi era don Carlo Terenziani?

Beretta: E’ uno dei 129 preti uccisi dai partigiani in tutt’Italia nel dopoguerra, ma nello stesso tempo è anche un simbolo: perché venne assassinato il 29 aprile 1945, prima domenica dell’Italia senza guerra; come per ammonire che la violenza non sarebbe finita con la Liberazione. Quel giorno don Carlo fu rapito a Reggio Emilia ¬– in pieno centro, alle 11 di mattina e mentre era già sui gradini del santuario della Ghiara, il più caro ai reggiani, dove andava per dire Messa – da tre o quattro uomini che lo caricarono su un’auto; fece appena in tempo a chiedere di avvisare il Vescovo.

Anche il giovanissimo Romano Prodi (intervistato di recente da Bruno Vespa) ha ricordato di aver assistito a quell’episodio, mentre la sorella maggiore gli metteva la mano sugli occhi perché non ne vedesse la crudeltà. Il commando portò don Terenziani prima a Cà de Caroli – dove il sacerdote aveva fatto costruire chiesa, asilo e cimitero –, facendogli fare il giro delle strade al grido di “È arrivato il porco! Venite a vederlo!”; poi, siccome la gente invece di acclamare i partigiani si ritraeva dalle finestre e si chiudeva nelle case, si diresse verso Ventoso, frazione di Scandiano di cui don Terenziani era parroco. Lì fecero bere vino rosso alla vittima e poi attesero l’uscita dei fedeli dalla Messa cantata per giustiziarlo a colpi di mitra vicino al cimitero. Pare che le ultime parole del prete, che aveva 45 anni, siano state: “Viva Cristo Re!”.

Perché fu ucciso?

Beretta: Don Terenziani era stato minacciato più volte di morte, ufficialmente perché era stato cappellano della Milizia volontaria di sicurezza nazionale e della Gioventù del Littorio (“in seguito a nomina fattami da Mons. Vescovo”, scrisse peraltro nella sua lettera-testamento) e perché fu accusato di aver provocato il rastrellamento nazista di Ventoso il 28 luglio 1944; l’accusa di essere spie era del resto la più facile e comune per i molti preti assassinati in quel periodo. Dopo il suo assassinio vennero fatte circolare voci ancora più assurde, come quelle di essere un torturatore, di aver strozzato due partigiani con le sue mani e altri averne fatti murare vivi in una cella segreta del carcere.

Così la Curia stessa aveva fatto riparare don Carlo nel capoluogo per proteggerlo. Credo però che il vero motivo dell’omicidio fu che don Terenziani (il quale proveniva da una cattolicissima famiglia di 15 figli, di cui ben 8 consacrati: tre suore, quattro preti e un religioso) apparteneva al manipolo scelto dei “missionari predicatori” della diocesi (dello stesso gruppo facevano parte anche due altri martiri del “triangolo della morte”, don Umberto Pessina e don Pasquino Borghi – quest’ultimo ucciso dai nazisti), reggeva con polso la sua difficile parrocchia quasi totalmente “rossa” e proprio il successo di tale dedizione (don Carlo era anche eccellente compositore di canzoni religiose) dava fastidio ai numerosi anticlericali della zona.

Cosa pensa della decisione del consiglio comunale di Scandiano di rifiutare la targa commemorativa a don Carlo?

Beretta: E’ incredibile e anche molto doloroso che, sessant’anni dopo i fatti (e fatti di quella gravità ed ingiustizia), ancora ci si accanisca in una lettura ideologica che impedisce alla verità di venire a galla. Oggi a Ventoso don Terenziani è ricordato solo da una piccola lapide, senza alcuna indicazione delle circostanze e delle responsabilità della sua morte: quasi che sia “tragicamente scomparso” in un incidente stradale…

Al di là delle accuse ribadite contro di lui, che hanno tutta l’aria di essere pretestuose né ci fu alcun processo per accertare la verità, bisognerebbe almeno prendere atto di ciò che il sacerdote scrisse al Comitato di Liberazione Nazionale (Cln) di Ventoso la mattina stessa della sua uccisione, ancora ignaro della sua sorte: “Ringrazio Iddio che abbia dato la vittoria al Comitato Nazionale di liberazione. Aderisco pienamente al programma di Giustizia, di Pace e di Libertà in bene del popolo. Per il bene del popolo sono disposto a cooperare con cotesto spett. Comitato (per il bene del popolo infatti io ho costruito la Chiesa e l’Asilo di Cà de Caroli).

Lo stesso Prodi ha dichiarato che “non si può essere contrari a riflettere su questo capitolo della nostra storia”; invece evidentemente a Ventoso si è deciso di rimanere a 60 anni fa, quando persino la grande croce eretta sul luogo dell’esecuzione di don Terenziani venne rimossa nottetempo. Questa persistente insofferenza ad ogni segno di pietà e di giustizia è un brutto indice per il futuro e temo purtroppo che non mancherà di rivoltarsi contro chi ancora la sostiene, perpetuando l’odio ancora a lungo.
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