(Avvenire) Vangeli, quale lingua?

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“Avvenire”, 16 ottobre 2002

BOTTA E RISPOSTA

Scritti in aramaico e poi tradotti in greco?

Studiosi divisi su una querelle
che investe anche la questione della storicità

«La nostra teoria consente di chiarire alcuni aspetti rimasti irrisolti – e
a volte contraddittori – nei testi dei 4 evangelisti»

Di JosÉ Miguel Garcia
Il 6 ottobre in un breve articolo su Avvenire Gian Maria Vian rifiutava
l’ipotesi di un’origine semitica dei vangeli ricorrendo alla tradizione
ecclesiale. Poiché si riferiva al lavoro che sto realizzando, desidero
rispondere.
Credo che nessuno possa negare che Gesù e i suoi discepoli parlarono
aramaico e che, quindi, la tradizione evangelica si formulò nei suoi primi
passi in questa lingua. Lo stesso Oscar Wilde, benché non specialista,
riconosceva che il vangelo inglese era una traduzione di una traduzione:
«Sempre si è detto che Gesù parlò aramaico. Convinto di ciò era lo stesso
Renan. Ora sappiamo che i popolani della Galilea, come quelli irlandesi dei
nostri giorni, erano bilingui, e che il greco era la lingua di comunicazione
in tutta la Palestina, perfino in tutto il mondo orientale. Non mi ero reso
conto finora del fatto che possediamo solo la traduzione di una traduzione
delle parole originali di Cristo». Si tratta allora di capire quanto questa
lingua originale abbia segnato il greco arrivato fino a noi, e se questa
traduzione ebbe luogo solamente in una tappa orale o ci siano anche indizi
chiari del fatto che ci furono testi originali scritti in aramaico, poi
tradotti in greco. La risposta si può trovare solo dopo un’accurata ricerca
filologica bilingue (greca e aramaica) e non certo ripetendo enunciati di
alcune antiche fonti.
Tale lavoro filologico è decisivo per sapere se i vangeli furono scritti in
aramaico e il suo principale interesse risiede nella luce che apporta per
rischiarare i numerosi versetti che risultano inintellegibili nel contesto
dei vangeli. Un lettore che con attenzione esamini i testi evangelici greci
dovrà fare i conti con difficoltà di senso, frasi che non ottengono
un’adeguata traduzione e perfino notizie contraddittorie. Come esempio basti
alludere ad alcune difficoltà ne i racconti pasquali. Secondo Marco, la
tomba vuota fu scoperta da Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salomè;
secondo Matteo, furono soltanto due donne: Maria di Magdala e l’altra Maria;
Giovanni parla solo di Maria di Magdala. Marco e Matteo parlano di un angelo
al sepolcro, invece Luca e Giovanni dicono che le donne ne videro due.
Esistono chiare differenze tra gli evangelisti su quando ebbe luogo la
scoperta della tomba vuota, sul motivo della visita delle donne al sepolcro,
su come questo fu aperto e sulla presenza di guardie. Ma la più singolare
differenza si trova alla fine del racconto di Marco sulla scoperta del
sepolcro vuoto, vera tortura non solo per gli studiosi, ma anche per i
fedeli, in quanto vi si dice che le donne, dopo aver ricevuto dall’angelo la
notizia della resurrezione di Gesù e l’ordine di annunciarla ai discepoli,
«non dissero niente a nessuno, perché erano piene di paura», in evidente
contraddizione con gli altri evangeli sti e con gli avvenimenti successivi.
Com’è possibile che ci siano simili incongruenze e perfino contraddizioni
nella trasmissione di fatti così decisivi per la fede cristiana? Se queste
anomalie sono semplicemente “supposte”, come pare dire Vian, il lettore può
giudicare da sé. Di fronte a esse, il primo compito dell’esegeta è tentare
di risolvere le stranezze del testo greco giunto a noi. Vista
l’impossibilità di soluzioni a partire dal greco, il nostro gruppo di
studiosi sta dimostrando che tutte queste incongruenze trovano una soluzione
soddisfacente partendo dalla ricostruzione accurata dell’originale aramaico
che, in quanto tradotto erroneamente, generò queste contraddizioni, spesso
usate come argomento contro la storicità dei racconti evangelici.
Del resto, osserva J. de Zwaan, «non appena si è raggiunta la certezza
riguardo a pochi casi di semitismi dovuti alla traduzione, il problema
risulta più semplice. Allora l’opera può essere portata avanti con la
convinzione che dietro ogni difficoltà del greco stia l’originale aramaico».
Tuttavia, utilizzando la filologia bilingue come strumento di ricerca, il
nostro interesse non è tanto quello di dimostrare che i vangeli o le sue
fonti furono scritte originalmente in aramaico. Quel che ci ha mosso è stato
cercare di chiarire tutti gli enigmi e verificare l’ipotesi di una
traduzione erronea come possibile causa delle difficoltà del greco e, al
tempo stesso, che queste traduzioni difettose avevano celato dati della vita
reale narrata o della teologia.
David Friedrich Strauss, uno dei pionieri dello studio critico dei vangeli,
intuì la grande obiezione alle sue ricostruzioni delle origini della fede
cristiana quando affermò: «La storia evangelica sarebbe inattaccabile se
fosse stabilito che fu scritta da testimoni oculari o alme no da uomini
vicini nel tempo agli avvenimenti». Anche noi siamo convinti che l’origine
semitica dei vangeli, e quindi la loro antichità, sia un argomento decisivo
a favore della loro storicità. Che siano stati scritti in aramaico suppone
una prova ulteriore delle loro radici nel giudaismo che costituiscono,
secondo Vian, uno delle indizi della loro attendibilità.
Evidentemente il valore delle nostre proposte di soluzione dipende dalla
loro capacità di rispondere con coerenza alle difficoltà dei testi. Proprio
a questo riguardo da un critico come Vian ci si aspetterebbe una discussione
sugli argomenti linguistici e filologici che noi documentiamo. Purtroppo
Vian risolve la questione con una serie di affermazioni generiche.
Attendiamo i suoi argomenti; continueremo allora molto volentieri il
dialogo.