La devozione al Cuore di Gesù, vaccino per orgoglio e superbia
Intervista al Cardinal Albert Vanhoye, S.I.
ROMA, venerdì, 23 giugno 2006 (ZENIT.org).- La devozione al Cuore di Gesù è una lezione di umiltà, rinuncia completa alla violenza e amore generoso che parla agli uomini di oggi e li aiuta a vincere chiusure e superficialità, spiega il Cardinal Albert Vanhoye. Così ha affermato il neo porporato di 82 anni, gesuita, esegeta, Docente e Rettore emerito del Pontificio Istituto Biblico, alla vigilia del IV Congresso Nazionale dell’Apostolato della Preghiera, “Attingerete acqua con gioia alle sorgenti del Salvatore”, che si svolgerà a Roma dal 26 al 28 giugno prossimi, in occasione del 50° anniversario della Enciclica Haurietis aquas.
Nell’intervista, concessa all’Apostolato della Preghiera (http://www.adp.it/), il Cardinale spiega l’attualità di una devozione a torto ritenuta superata.
Eminenza, lei ha messo nel suo stemma cardinalizio il motto Cordi tuo unitus: c’è un motivo particolare?
Cardinal Vanhoye: Ci sono due motivi: uno personale e uno apostolico. Quello personale risale alla mia fanciullezza. Sono stato educato in un istituto del Sacro Cuore dai 4 agli 11 anni e poi nel seminario minore della diocesi di Lille, nel nord della Francia, dove facevamo l’offerta quotidiana dell’Apostolato della Preghiera. Proprio in questo periodo è iniziata la mia devozione al Cuore di Gesù che si è poi rafforzata con la vocazione a diventare un gesuita. Quando studiavo filosofia facevo parte di un gruppetto che ne approfondiva i diversi aspetti e al termine della formazione questo orientamento si è ulteriormente consolidato. C’è poi un motivo apostolico nella scelta del motto, quello di suggerire a tutti coloro che lo leggeranno lo stesso atteggiamento spirituale. “Unito al tuo Cuore” esprime, infatti, nel contempo un proposito e una preghiera. Il proposito di vivere unito al Cuore di Gesù in pensieri, azioni, affetti e parole e al tempo stesso una invocazione umile e fiduciosa perché questa unione non ce la possiamo dare da soli, ma è grazia quanto mai desiderabile.
La devozione al S. Cuore, dopo una grande diffusione tra la fine dell’800 e la prima metà del ‘900, è stata considerata da molti sorpassata. Questa obiezione ha un fondamento biblico?
Cardinal Vanhoye: Le obiezioni prendono di mira soprattutto un certo devozionismo sentimentale, ma non credo che siano fondate, soprattutto se si parla del vero culto che è stimolo alla vita spirituale e apostolica. Tuttavia per certi versi non è sbagliato dire che questa devozione non ha un sufficiente fondamento biblico, anche se è falso in sostanza. È esatto, cioè, affermare che il nuovo testamento non parla molto del Cuore di Gesù. Infatti viene menzionato una volta sola, nel passo di Matteo al capitolo 11 nel quale Gesù dice “imparate da me che sono mite e umile di cuore”. La frase è però molto importante perché è l’unico momento in cui Gesù definisce le proprie qualità che riscontreremo in numerosi episodi della sua vita e perché è in rapporto con un verbo dei vangeli, usato solo per Gesù o da Gesù, derivato dalla parola greca che significa “viscere” e che possiamo tradurre con “il mio cuore si commuove”. È un rimando importante alla compassione umana e alla grande sensibilità di Gesù. L’evangelista Giovanni, poi, non parla di cuore trafitto ma di costato trafitto, anche se è abbastanza evidente che attraverso il costato si raggiunge il cuore. D’altra parte, se prendiamo in considerazione tutta la Sacra Scrittura, il fondamento della devozione al Sacro Cuore è amplissimo. L’antico testamento mette in grande rilievo l’importanza del cuore per la relazione con Dio, cioè dell’interiorità della persona umana: memoria, intelletto, affettività e volontà.
In cosa consiste l’attualità di questa devozione?
Cardinal Vanhoye: Proprio nell’unione al Cuore di Gesù. Non si tratta affatto di una devozione superata, anzi è attuale e addirittura essenziale se capita bene. Senza questa unione non possiamo vivere pienamente l’amore che viene da Dio né diventare umili. Anzi corriamo il rischio di nutrire solo orgoglio e superbia. D’altronde è lo stesso Vangelo a presentarci una religione del cuore, lontana dall’esteriorità. Occorre anche dire che la devozione al Cuore di Gesù ha una forma popolare che non sempre corrisponde a questo orientamento, ma penso che si possa fare molto perché diventi ancor più significativa.
Il messaggio di Benedetto XVI a P. Kolvenbach, generale della Compagnia di Gesù, per i 50 anni dell’Enciclica Haurietis aquas di Pio XII sul Sacro Cuore ha rilanciato questi temi…
Cardinal Vanhoye: Il Papa ha voluto sottolineare con forza l’anniversario con un messaggio proprio perché la Compagnia di Gesù si è mostrata sempre attiva nella promozione di questa fondamentale devozione, soprattutto grazie all’Apostolato della Preghiera e alla sua proposta di spiritualità nient’affatto sentimentale, ma che coinvolge l’intera esistenza umana. Già nell’enciclica Deus caritas est Benedetto XVI aveva parlato più volte del costato trafitto e del Cuore di Gesù, vera sorgente dell’amore. È chiaro, anche dalle parole del Papa, che la devozione al Sacro Cuore non può fermarsi alla sola umanità di Gesù, proprio perché questa è espressione dell’amore di Dio per il mondo che può essere sperimentato e quindi testimoniato solo guardando a quel costato trafitto. A questo proposito, in Francia P. Glotin S.I. ha ultimato uno studio profondo e ampio sulla devozione al Cuore di Gesù che uscirà all’inizio del prossimo anno. A conferma di quanto sia importante richiamare l’attenzione della gente su questa spiritualità. Non si può fare a meno di una relazione con il Cuore di Gesù.
Qual è il messaggio che vuole inviare al IV Congresso Nazionale dell’AdP che si svolgerà a Roma alla fine di giugno proprio su questi temi?
Cardinal Vanhoye: Mi rallegro che l’Apostolato della Preghiera italiano abbia preparato un Congresso Nazionale. Mi auguro che contribuisca a rafforzare la convinzione che l’unione al Cuore di Gesù è fondamentale per la vita spirituale personale e per la vita apostolica.
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