A Betlemme il sindaco è cristiano, ma chi comanda è Hamas
Che esalta il terrorismo, vuole cancellare Israele e minaccia una tassa ai sudditi non musulmani. La città natale di Gesù è il suo campo di prova
di Sandro Magister ROMA, 29 dicembre 2005 – A Betlemme, a Natale, sono arrivati quest’anno 30 mila pellegrini da tutto il mondo, un terzo in più dell’anno precedente. Il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, il musulmano Mahmoud Abbas, ha assistito alla messa di mezzanotte nella basilica della Natività. E nell’omelia il patriarca cattolico di Gerusalemme dei latini, l’arabo Michel Sabbah, l’ha salutato come uomo di pace, protestando invece per “il muro che si innalza dappertutto costringendoci a vivere come in una prigione, le nostre terre espropriate, i nostri giovani trascinati via nell’oscurità della notte e gettati nelle prigioni israeliane”.
Ma tra cristiani e musulmani, proprio nella città in cui nacque Gesù, i rapporti sono più complicati di come appaiono.
Intanto, la maggioranza dei 30 mila abitanti della città non è più fatta di cristiani, come era sempre stato in passato. I musulmani superano oggi i cristiani nella stessa proporzione in cui le moschee, 15, sono più numerose delle chiese, 10.
Il sindaco di Betlemme continua a essere un cristiano, come sempre. Nel consiglio comunale otto seggi su quindici sono tuttora riservati ai cristiani. Ma dalle ultime elezioni comunali, svoltesi nel maggio del 2005, è uscita vittoriosa una coalizione che ha nei musulmani di Hamas la sua colonna portante.
Il capogruppo di Hamas nel consiglio comunale di Betlemme, Hassam El-Masalmeh, esalta gli attentati suicidi contro gli ebrei e afferma che essi continueranno fino a quando l’intera Palestina, incluso il territorio di Israele, sarà sotto il controllo dei palestinesi.
Il sindaco Victor Batarseh, cattolico praticante, condanna invece gli attentati terroristici e vuole che Hamas cessi di compierli. Si dice pronto a un compromesso territoriale con Israele per far nascere un vero stato palestinese. Ma fin da prima delle scorse elezioni comunali ha scelto come suo principale alleato proprio Hamas, assieme a un’altra formazione estremista denominata Jihad Islamica.
Negli anni Novanta, Betlemme era stata governata da uomini legati al partito di Yasser Arafat, Fatah.
Contro questi uomini correvano accuse di corruzione e di prepotenze ai danni della popolazione cristiana. Quando scoppiò la seconda Intifada, nel 2000, parte delle forze di sicurezza di Arafat diedero vita a un nuovo gruppo armato, le Brigate dei Martiri di Al-Aqsa.
Nell’aprile 2002 guerriglieri legati a Fatah, incalzati dalle truppe israeliane, occuparono a Betlemme la basilica della Natività e – fatto meno noto – altri conventi e istituti cristiani. La crisi si svolse sotto gli occhi del mondo e si concluse con la liberazione della basilica. I capi della sommossa furono trasferiti a Gaza e in alcuni paesi europei.
Nel vuoto così creato si inserì prontamente Hamas. Essa conquistò il favore di larga parte della popolazione di Betlemme dando vita a iniziative di cura medica, di tutela degli orfani, di difesa sindacale dei lavoratori, di contrasto della corruzione.
Victor Batarseh, il futuro sindaco, 71 anni, medico con un passato di militante nel Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, una formazione estremista fondata da arabi cristiani, si alleò con Hamas e contro il partito Fatah, in vista delle elezioni comunali del maggio 2005, proprio su questa base: lotta alla corruzione, governo trasparente, miglioramento della vita dei cittadini. Secondo l’accordo, i motivi di divisione religiosa tra cristiani e musulmani dovevano essere tenuti a margine.
Eletto sindaco Batarseh, la coalizione da lui presieduta ha cominciato ad attuare il suo programma. Ha vietato l’uso delle auto comunali per motivi privati; ha chiuso gli esercizi commerciali privi di autorizzazione; ha fissato nuove regole d’appalto dei lavori pubblici mirate ad eliminare gli sprechi; ha licenziato i dipendenti comunali che erano sulla lista paga ma non svolgevano nessun lavoro.
Contro queste misure gli uomini legati a Fatah hanno reagito in vari modi. Pochi giorni prima di Natale, militanti delle Brigate dei Martiti di Al-Aqsa hanno occupato il municipio di Betlemme reclamando stipendi arretrati e nuove assunzioni.
Ma le reazioni fanno leva anche su altri timori. Hanna Nasser, il precedente sindaco di Betlemme, cristiano della corrente vicina a Fatah, ha accusato la nuova amministrazione di “diffondere il fondamentalismo islamico”.
È un timore che ha preso corpo dopo la vittoria elettorale di Hamas nelle elezioni comunali non solo di Betlemme, ma anche di altre città della Cisgiordania: Nablus, Jenin, Qalqilya. Nei municipi dove Hamas si è insediata già si vedono i segni di un nuovo stile: le impiegate cristiane abituate a stringere le mani a tutti sono tenute a distanza dai nuovi eletti, secondo cui questo contatto fisico viola i principi islamici.
Nel programma generale di Hamas c’è anche l’imposizione di una tassa speciale a tutti i non musulmani residenti nei territori palestinesi, chiamata al-jeziya. È una tassa che ricalca quella applicata nell’intera storia dell’islam ai dhimmi, i cittadini di second’ordine ebrei e cristiani.
Intervistato da Karby Legget su “The Wall Street Journal” del 23-26 dicembre, il capogruppo di Hamas al consiglio comunale di Betlemme, Masalmeh, ha confermato: “Noi di Hamas intendiamo introdurre questa tassa. Lo diciamo apertamente: diamo a tutti il benvenuto in Palestina, ma a patto che accettino di vivere sotto le nostre regole”.
Batarseh, il sindaco, non è d’accordo. Non vuole questa tassa e dice che non sarà mai introdotta.
Sa bene che convivere con Hamas è difficile. Si dice però convinto che “la sola via per spostare Hamas su posizioni moderate è portarla dentro il sistema”.
È la stessa scommessa che Mahmoud Abbas ha dichiarato più volte di fare: integrare Hamas nel sistema politico, perché abbandoni il terrorismo poi. Né Israele, né gli Stati Uniti accettano tuttavia di riconoscere Hamas come interlocutore, se non abbandona il terrorismo prima.
A fine gennaio si terranno nei territori palestinesi le elezioni politiche generali. Il rebus che ne uscirà è forse già scritto a Betlemme.