Cardinale Giacomo Biffi, Pinocchio, Peppone, l’Anticristo e altre divagazioni, Siena, 2005, Edizioni Cantagalli, ISBN: 88-8272-212-0, pagine: 256, prezzo: € 14,90
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«Un cardinale che non gioca a bocce o non si affaccia mai a contemplare la luna, non scrive filastrocche per i bambini della scuola materna o non alleva canarini, ma compie solo quello che in ogni caso gli verrà attribuito dopo la morte dalle biografie ufficiali, è più pericoloso per la cristianità di un eresiarca.»
Questa indicazione del sacerdote Giacomo Biffi non è stata a suo tempo dimenticata dal cardinale Giacomo Biffi, che – per fortuna dei lettori – ha deciso di frequentare altri campi oltre a quelli propri del magistero cardinalizio. Nasce così questo libro, in realtà una raccolta di saggi già pubblicati, riorganizzati e rivisti. Col gran discutere di "cattivi maestri" che hanno funestato la nostra storia recente ed ancora infestano il dibattito mediatico, immergersi in queste pagine è un ristoro per l’intelletto; Biffi mostra come la cultura cristiana abbia buone ragioni per essere considerata un pensiero forte, in grado di esprimere giudizi pregnanti sulla cultura contemporanea. Inoltre, l’argomentazione – mai tediosa – ha quel pizzico di humour che induce a girare le pagine con curiosità crescente.
Sebbene il titolo citi tre personaggi letterari, il contenuto è più vario. Il primo capitolo è dedicato a Pinocchio di Carlo Collodi, seguono riflessioni su Giovanni Guareschi, sul filosofo russo Vladimir Sergeevic Solovev autore di I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo, su Gilbert Keith Chesterton, Riccardo Bacchelli autore di Il mulino del Po e John Ronald Reuel Tolkien. Gli ultimi due capitoli sono dedicati alla rivoluzione francese ed al Risorgimento. Una scelta assai interessante, che contribuisce non poco alla riuscita del volume; temi delicati ed autori di prima grandezza spesso snobbati dalla cultura egemone nelle accademie e nelle scuole.
Se Pinocchio è ormai un classico della letteratura, stupisce che un cardinale abbia letto Tolkien fin dal 1971; alla faccia di quanti vorrebbero i prelati avulsi dal dibattito corrente e rinchiusi in immaginarie biblioteche polverose di atavici palazzi vescovili. In questo volume Biffi non rivendica per sè il ruolo di specialista, limitandosi ad esprimere con arguzia una serie di considerazioni da lettore informato. Relativamente a Pinocchio, egli dimostra che sia l’opera sia il percorso esistenziale di Collodi sono compatibili con la visione cristiana; la storia del burattino è così distinta nettamente dall’altro grande successo della letteratura per l’infanzia ottocentesca, Cuore di De Amicis.
Fra gli elementi narrativi che caratterizzano il racconto di Collodi in senso cristiano Biffi individua il senso della storia, la linearità della trama che non si avvolge su se stessa, ma muove dall’inizio alla conclusione. Inoltre, Pinocchio è confrontato dalla possibilità di scegliere fra esiti alternativi; divenire un bambino comportandosi bene o abbandonarsi al mondo dei balocchi. La morte di Lucignolo, che conclude la sua esistenza come un asino stremato dal lavoro, testimonia la reale libertà del protagonista. Nel mondo di Pinocchio esistono forze oggettivamente al servizio del male; fra queste il Gatto e la Volpe, ma anche il satanico omino untuoso che conduce con il carro i ragazzi verso il paese dei Balocchi. A quest’ultimo personaggio Collodi attribuisce alcune delle più riuscite battute di tutto il libro, che lo caratterizzano in senso negativo; basti ricordare la minacciosa canzoncina «Tutti la notte dormono / E io non dormo mai». Fra gli altri personaggi che compaiono nella vicenda, Biffi cita la Fata Turchina – che introduce nella vicenda un elemento salvifico femminile – e Geppetto, il padre creatore.
Di Guareschi, trattato più brevemente, il cardinale ammira il linguaggio semplice, diretto e la religiosità che sembra impregnare ogni pagina, in maniera più o meno palese. Il volume riproduce due racconti di Guareschi, Giacomone e All’"anonima", che permetteranno a quanti ancora non conoscessero questo autore di scoprirne il talento. Biffi evidenzia come il dialogo fra Peppone e don Camillo tragga la propria vitalità dalla forte identità di ciascuno dei due contendenti, che non rinunciano alle rispettive culture per venirsi incontro, come vorrebbero alcuni apologeti di un malinteso ecumenismo.
La figura del filosofo russo Vladimir Sergeevic Solovev è forse meno nota al grande pubblico italiano, ma di straordinaria attualità. Questo scrittore, morto nel 1900, si distingueva per essere un fervido cristiano, capace di chiedere allo zar Alessandro III di perdonare gli assassini del padre – perdendo così la cattedra – e di pregare in punto di morte per gli ebrei. In I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo Solovev predisse che il ventesimo secolo sarebbe stato travagliato da grandi conflitti, al termine dei quali sarebbero sorti gli Stati Uniti d’Europa.
L’Anticristo di Solovev non è un essere apertamente diabolico, ma un asceta rispettoso dei valori cristiani, pacifista, ecologista, ecumenista. Egli si spinge fino ad apprezzare Cristo, negandone però l’unicità, minimizzando l’insegnamento morale e negando la permanenza della sua presenza viva dopo la morte. Il bersaglio polemico di Solovev è il «Vangelo» di Tolstoj, che aveva estrapolato dal discorso della montagna cinque regole di comportamento universali, riducendo il cristianesimo ad una morale. Biffi riconosce l’attualità della contesa fra i due scrittori, dichiarando apertamente che la predicazione di Tolstoj trova spesso seguaci inconsapevoli fra quanti credono di seguire il Vangelo di Cristo.
A Chesterton, Bacchelli e Tolkien sono dedicate poche pagine, sufficienti per sottolineare alcuni punti essenziali. Lo scrittore inglese Chesterton, inventore fra l’altro di Padre Brown, viene definito senza mezzi termini un dono della Provvidenza ed un antidoto contro una serie di mali dell’anima assai di moda nei nostri tempi, fra i quali la facile adesione a dottrine esotiche ed al buddismo.
Il capitolo dedicato a Riccardo Bacchelli introduce nell’opera di Biffi il tema del Risorgimento; ne Il mulino del Po, infatti, lo scrittore riporta il punto di vista del popolo minuto riguardo agli eventi risorgimentali. Nel rilevare che a Bacchelli mancarono i massimi riconoscimenti istituzionali che un autore della sua levatura avrebbe meritato, Biffi cita un altro maestro forse troppo presto dimenticato, il cardinale di Milano Giovanni Colombo, autore negli anni Settanta di memorabili Discorsi indirizzati alla città di Milano e grande estimatore di Bacchelli.
Discutendo di Tolkien e de Il Signore degli anelli, Biffi nota come nel suo capolavoro bene e male siano nettamente distinti e si affrontino in campo aperto, rifuggendo da ogni tentazione di relativismo e soggettivismo. Il cardinale respinge il tentativo di etichettare Tolkien come reazionario e manicheo, negando altresì che Il Signore degli anelli sia un’opera destinata esclusivamente ai ragazzi.
Negli ultimi capitoli del libro, dedicati alla Rivoluzione francese, al Risorgimento ed alle questioni dello stato e dell’identità nazionale, Biffi si addentra in campo storico, affrontando in maniera critica problematiche complesse che spesso anche a scuola vengono esposte semplicisticamente. L’intervento è tanto più opportuno in quanto nel nostro Paese la storia come scienza gode di ben poco prestigio; basti pensare al pregiudizio scolastico secondo il quale «la storia basta studiarla», o alla pretesa di molti di conoscere «i fatti» senza le intepretazioni, qualunque cosa questo possa significare.
La Rivoluzione francese è definita un deragliamento della ragione, denunciando l’esistenza di una sorta di catechismo rivoluzionario per cui gli anni dal 1789 al 1804 dividerebbero arbitrariamente la storia in due epoche, la prima irrimediabilmente negativa, la seconda positiva. Discutendo dell’arrivo in Italia dell’esercito francese rivoluzionario, Biffi cita le «insorgenze», ovvero la spontanea reazione della popolazione che si opponeva al sovvertimento dei valori tradizionali ed in particolare al disprezzo per la sensibilità religiosa nazionale. Il cardinale rileva coraggiosamente come le libertà introdotte in Francia dalla Rivoluzione furono ottenute prima e con meno spargimento di sangue dal mondo anglosassone.
L’anticattolicesimo e l’anticlericalismo – queste piaghe della società italiana raramente esecrate dagli ipersensibili paladini di tutte le minoranze – non mancarono di viziare anche il nostro Risorgimento. Biffi non ha nostalgie neoguelfe, non rivendica il potere temporale del papa e nemmeno cede alle sirene del separatismo; egli ricorda che se lo Stato italiano per molto tempo è stato percepito dai cittadini come un’entità astratta, ciò fu dovuto in larga parte all’errore originario della leadership piemontese e postunitaria, ferocemente anticattolica.
Riprendendo la distinzione fra nazione italiana e stato italiano, Biffi ricorda che prima dell’Unità la cultura italiana era universalmente ammirata, come testimonia la grandezza di Tiepolo, Canova, Scarlatti, Vivaldi, Albinoni, Galvani, Volta; dopo l’Unità, questa fioritura ebbe termine. A questo proposito egli cita pagine di Dostoevskij e Solovev, entrambi in sintonia con quest’analisi. La questione della maggiore o minore vitalità della cultura italiana contemporanea è ovviamente estremamente complessa, ma certo merita di essere considerata con attenzione.
In conclusione, l’ottimo volume di Biffi è una lettura consigliata in particolare a coloro che desiderano approfondire la loro conscenza della cultura cattolica; partendo dai molti suggerimenti del cardinale, non sarà difficile esplorare nuovi percorsi di altissimo livello qualitativo.
Paolo Smeraldi
Tratto da ragionpolitica.it, 2-12-2005