Omosessualità maschile. Un nuovo approccio

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Joseph Nicolosi , Omosessualità maschile: un nuovo approccio, Editore SugarCo, EAN 9788871984612, Prezzo 18,40 €
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Dal Catechismo della Chiesa Cattolica, § 2358 (Corrigenda): “Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza”.
 
E’ facile leggere queste righe ed essere colti da un senso di distonia pensando alle parate dei vari “Gay pride” e alle trasmissioni televisive in cui esponenti del mondo omosessuale parlano di omosessualità come di una condizione “naturale” (ovviamente senza troppo soffermarsi sul significato di questo termine). Perché mai provare “compassione” nei confronti di persone che celebrano giornate dell’«orgoglio» gay? Perché “Vi sono uomini omosessuali che rifiutano l’etichetta di «gay» e tutte le implicazioni che tale definizione comporta. Laddove il termine «omosessuale» indica un aspetto innegabile della loro psicologia, la parola «gay» descrive uno stile di vita e dei valori che essi non condividono”. Questo è solo il primo dei vari luoghi comuni che il dott. Joseph Nicolosi, psicoterapeuta, affronta nel suo recente libro “Omosessualità maschile: un nuovo approccio”, edito da Sugarco. L’esuberanza, anche televisiva, degli esponenti del mondo “gay” ha dunque nascosto quell’ampia parte del mondo omosessuale che non è affatto “gaio” nella sua condizione omosessuale, ma che vive con sofferenza il conflitto tra i loro valori e le loro tendenze sessuali.
L’obiettivo del cosiddetto “Movimento di Liberazione dei Gay” è quello di modificare la percezione sociale dell’omosessualità, formulando due richieste: la tolleranza e l’approvazione per l’omosessualità. La due richieste sono tuttavia erroneamente confuse: un conto è la difesa dei diritti individuali degli omosessuali, un conto è affermare che la condizione degli omosessuali è pari a quella dell’eterosessuale. Per fare questo è necessario togliere di mezzo ogni sentore di patologia nei confronti dell’omosessualità. Come? In vari modi.
 
Innanzitutto presentando l’eziologia dell’omosessualità come fatto “a priori”, biologico; sul quale, quindi, non sarebbe lecito indagare come non è lecito indagare sulla natura dell’eterosessualità. Nicolosi oppone a questo tentativo tre argomenti: primo, l’inconsistenza scientifica degli studi che ipotizzano come causa dell’omosessualità malformazioni ipotalamiche, disfunzioni ormonali o la presenza di un fantomatico “gene dell’mosessualità”; secondo, l’osservazione secondo la quale “biologico” non significa “sano” (facendo riferimento, ad esempio, alla trisomia 21); terzo, i suoi studi e la sua pratica psicoterapeutica, della quale parleremo più avanti.
 
Un secondo modo utilizzato dal Movimento di Liberazione dei Gay per convincere l’opinione pubblica della “normalità” dell’omosessualità consiste nel tentativo di dimostrare che la sofferenza provata dagli omosessuali è causata dal pregiudizio della società occidentale e non dall’omosessualità stessa; vengono quindi spesso citati casi di altre culture dove sono presenti schemi comportamentali omosessuali, ad esempio alcune tribù primitive o l’antica Grecia. E’ questo, tuttavia, un tentativo destinato a fallire nelle premesse: presentando l’omosessualità in altre culture non ci si può dimenticare che anche il significato dell’omosessualità nelle altre culture non è lo stesso della nostra. In alcune tribù primitive, infatti, il rituale omosessuale è parte integrante del processo di iniziazione maschile e, per quanto riguarda l’antica Grecia, scrive Nicolosi, al termine di un apposito paragrafo, “Possiamo allora affermare che l’omosessualità è la sessualizzazione del bisogno naturale di un mentore” (1), insomma, un mezzo per completare il processo di identificazione maschile e lo sviluppo eterosessuale.
 
Un terzo argomento più volte ripetuto dagli esponenti del Movimento di Liberazione dei Gay, consisterebbe nel fatto che, dal 1973, il DSM, ossia il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders dell’Associazione Psichiatrica Americana, uno strumento clinico utilizzato in tutto il mondo per la sua pretesa “a-teoricità”, avrebbe cancellato ogni riferimento all’omosessualità e questa non sarebbe più una malattia. Nella prima edizione del DSM (1952) l’omosessualità era inclusa nella lista dei disturbi della personalità caratterizzati da un comportamento asociale; nel 1968, tuttavia, il DSM – II cancellò da questa lista l’omosessualità, inserendola nelle “deviazioni sessuali” (sottintendendo che l’omosessualità era considerata un problema solo se essa fosse risultata incompatibile con il concetto di io dell’individuo. Infine l’esclusione del 1973, fortemente condizionata dal movimento di “liberazione sessuale” e dai movimenti per i “diritti” delle minoranze. Nicolosi, a questo proposito, cita una frase di Bayer, tratta dal suo libro, pubblicato nel 1981 e intitolato Homosexuality and American Psychiatry: The Politics of Diagnosis: “”Il risultato non fu una conclusione basata su un’approssimazione della verità scientifica dettata dalla ragione, bensì un’azione imposta dall’orientamento ideologico di quegli anni” (2). A parte alcune considerazioni cliniche sulla natura della diagnosi (come qualcuno ha osservato, il giorno in cui è stato pubblicato il DSM -–III sono improvvisamente guariti milioni di persone), che però non è il caso di affrontare qui, va osservato che, nella categoria “Disturbi Sessuali della Identità di Genere”, compare un Disturbo Sessuale Non Altrimenti Identificato (F52.9) che fa riferimenti ad un “Persistente e intenso disagio riguardo all’orientamento sessuale”. Nicolosi riferisce di aver posto al presidente del Comitato della Nomenclatura del DSM, Robert L. Spitzer, la seguente domanda: “E’ mai successo nella storia della psichiatria che un eterosessuale sia entrato in cura per l’angoscia d’essere tale, desiderando di essere omosessuale?”. La risposta di Spitzer fu: “Come ben immagina, la risposta è no” (3).
 
Infine la “naturalezza” dell’omosessualità e la sua equiparazione con l’eterosessualità passa attraverso la battaglia per i “matrimoni” gay e le adozioni da parte di gay. Impedire alle coppie omosessuali di sposarsi e di adottare dei bambini come fanno le coppie eterosessuali (alle quali le prime vengono equiparate) sarebbe una discriminazione. Nicolosi però ha cura di dimostrare, citando ricerche scientifiche, che le relazioni omosessuali non sono assolutamente paragonabili a quelle eterosessuali, essendo le prime connotate da una estrema brevità e precarietà, ed essendo la sessualità gay caratterizzata da estreme promiscuità ed enfasi.
 
E’ semplice comprendere, a questo punto, per quale motivo si è imposta, nel mondo omosessuale, la cosiddetta “Terapia di Affermazione Gay (Gay Affirmative Therapy, GAT), che si propone di facilitare il processo di accettazione del proprio orientamento da parte degli omosessuali. Come motivo di fondo, “la Terapia di Affermazione si pone l’obiettivo di alleggerire il fardello imposto all’omosessuale dalla società” (4). Prosegue Nicolosi: “Il fondamento che contestiamo è l’ostinata convinzione che l’omosessualità sia una sana e naturale variazione sessuale. Sulla base di questa premessa, la GAT attribuisce qualsiasi problema personale e interpersonale dell’omosessuale all’omofobia sociale o interiorizzata” (5).
 
Nicolosi propone, in opposizione alla GAT, semplicemente una “cura”, anzi, un “processo di cambiamento di autoidentificazione” dell’omosessualità rivolta agli omosessuali non gay. Le premesse di questo approccio sono, ovviamente, l’esistenza di problematiche insite nella condizione omosessuale (anziché attribuirne la causa alla “omofobia” sociale) e l’importanza delle dinamiche familiari nello sviluppo dell’omosessualità (e l’insesistenza di cause biologiche o innate [6]).
 
Nicolosi individua come fattore primario nello sviluppo dell’omosessualità il fallimento del rapporto padre – figlio: “Un’attenta analisi della letteratura sull’argomento suggerisce che spesso i padri omosessuali non sono stati all’altezza del proprio compito […] Nel complesso, che siano severi e ipercritici o passivi e introversi, ci troviamo di fronte a padri poco autorevoli. E’ raro che l’atteggiamento di un padre nei confronti del figlio sia decisamente ostile; più spesso è profondamente ambivalente e contraddittorio” (7).
 
La terapia che Nicolosi propone ai suoi parenti passa attraverso vari graduali passaggi che vanno dall’accettazione della propria identità sessuale, la riappacificazione con il padre, un positivo rapporto transferale terapeuta (maschio) – paziente (forse il primo rapporto autentico e sincero con un individuo di sesso maschile) e infine l’incoraggiamento ad amicizie maschili non omosessuali.
 
Paradossalmente l’incoraggiare relazioni eterosessuali premature è controproducente, poiché la difficoltà dell’omosessuale non è nel cercare amicizie femminili, ma nel sessualizzare l’amicizia: “In realtà, la relazione amorosa con una donna non ha in sostanza valore fino alle ultime fasi della terapia” (8-).
 
In sostanza si tratta sicuramente di un libro coraggioso e stimolante, non solo per psicologi e psicoterapeuti ma anche per chiunque voglia affrontare questo tema senza i maliziosi preconcetti della vulgata dominante. Ben strutturato ed esauriente, ha forse l’unica pecca nel citare le numerose ricerche senza fornirne i dati, come sarebbe stato sicuramente interessante ed utile.
 
Bibliografia:
 
– American Psychiatric Association, DSM – IV, ed. Masson, Milano, 2000.
– Claudio Basevi, “L’omosessualità & la Bibbia”, in Studi Cattolici, pp. 292 – 296, n° 458/459, aprile/maggio 1999.
– Bruto Maria Bruti, “Omosessualità: vizio o programmazione biologica?”, in Cristianità n. 243-244 (1995).
– Bruto Maria Bruti, “L’omosessualità” in Voci per un Dizionario del Pensiero Forte, I.D.I.S. – Istituto per la Dottrina e l’Informazione Sociale.
– Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1993.
– Catechismo della Chiesa Cattolica – Corrigenda di contenuti, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano.
– Congregazione per la Dottrina della Fede, “Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali”, del 01/10/1986.
– Congregazione per la Dottrina della Fede, “Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali”, in L’Osservatore Romano, del 24/07/1992.
– Roberta Dabbene, “La terapia riparativa dell’omosessualità maschile”, in Studi Cattolici, pp. 626 – 630, n° 463, settembre 1999.
– Joseph Nicolosi, “Omosessualità maschile: un nuovo approccio”, ed. Sugarco, Milano, 2002.
– Gerard van den Aardweg, “Omosessualità e speranza”, ed. Ares, Milano, 1995.
– Gerard van den Aardweg, “«Matrimonio» omosessuale & affidamento a omosessuali”, in Studi Cattolici, pp. 499 – 509, n° 449 – 450, luglio/agosto 1998.

Roberto Marchesini

 
1 Nicolosi, p. 104.
2 Ibidem, p. 19.
3 Ibidem, p. 19.
4 Ibidem, p. 107.
5 Ibidem, p. 108.
6 Fino all’uscita della Corrigenda di contenuti, il Catechismo della Chiesa Cattolica riportava “Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali innate” (CCC 2358-). L’uso del termine “innate” era errato per due motivi: perché in questo modo il Magistero faceva un’affermazione che non gli competevano (essendo questa materia di dominio scientifico) e perché, anche dal punto di vista scientifico, l’affermazione stessa, come dimostra il lavoro di Nicolosi, era errata. Nella Corrigenda la frase è stata corretta in “Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate”.
7 Nicolosi, p. 44.
8 Ibidem, p. 148.