Oscar Sanguinetti, Ivo Musajo Somma, Un cuore per la nuova Europa. Appunti per una biografia del beato Carlo d’Asburgo, D’Ettoris Edizioni, Crotone 2004, pp. 224, € 18
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Ricordiamo che domenica 3 ottobre 2004, in Piazza San Pietro a Roma, il Santo Padre Giovanni Paolo II beatificherà Carlo d’Asburgo
Recensione tratta dal Il Domenicale, n. 34 del 21 agosto 2004
Per chi crede che i re santi siano personaggi da Medioevo, cioè di un periodo storico non ben definito, lontano nel tempo e soprattutto irripetibile nella sua essenza, suonerà senz’altro sorprendente la beatificazione, il 3 ottobre prossimo, dell’imperatore Carlo, morto non nell’anno Mille ma nel 1922.
Chi era costui?
Carlo I d’Asburgo-Lorena, pronipote di Francesco Giuseppe (1830-1916), lui sì ben noto agli italiani, magari come Cecco Beppe, è stato l’ultimo sovrano dell’impero austro-ungarico, l’erede di una dinastia che ha guidato il Sacro Romano Impero per oltre cinquecento anni, l’ultimo imperatore europeo.
Sulla figura di questo personaggio sorprendente è appena uscito il libro Un cuore per la nuova Europa. Appunti per una biografia del beato Carlo d’Asburgo (D’Ettoris Edizioni, Crotone 2004, pp. 224 con ill.), scritto a due mani da Oscar Sanguinetti e Ivo Musajo Somma, con un Invito alla lettura di don Luigi Negri, della Fraternità di Comunione e Liberazione, il quale colloca l’esperienza di santità di Carlo d’Asburgo nella grande tradizione cattolica europea, che ha avuto nell’impero asburgico la sua forma più significativa e di cui Carlo è figlio esemplare.
Marco Invernizzi, storico del movimento cattolico italiano, nella Prefazione sottolinea che la beatificazione del sovrano tiene conto non solo del suo ruolo di marito e padre esemplare, di cristiano devoto in tutte le circostanze difficili della sua esistenza, ma anche del modo in cui ha esercitato le funzioni inerenti al suo rilevante ruolo pubblico. Invernizzi invita l’Italia che entra in Europa a guardare come a un modello all’«imperatore santo», fautore di un non facile federalismo e sostenitore di una politica dell’integrazione, realistica e anti-ideologica, che non fece in tempo a realizzare. Sanguinetti, direttore dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale (ISIIN), di Milano, spiega nella presentazione, intitolata appunto Perché un libro su Carlo d’Asburgo, che è intenzione degli autori rinverdire la memoria del santo sovrano nell’anno della beatificazione e proporre una lettura semplice della sua vita.
Il volume si compone di due saggi. Il primo, dello stesso Sanguinetti, Immagini e momenti della vita del beato Carlo d’Asburgo, traccia un breve profilo biografico del protagonista, con l’intento di fare agiografia, ma agiografia «storica», cioè fondata non su leggende ma su fatti accertati e attinti dalle deposizioni rese dagli 86 testimoni ascoltati nelle udienze del processo di beatificazione. I testi delle deposizioni sono raccolti nei due volumi dal titolo Positio super virtutibus, messi gentilmente a disposizione dall’avvocato Andrea Ambrosi di Roma, ultimo postulatore della causa di Carlo.
Nel secondo saggio, Il beato Carlo d’Asburgo nella «finis Austriae», Musajo Somma, ricercatore universitario, specializzato in storia del Medioevo, offre una lettura critica — alla luce dei principali studi pubblicati, anche recentemente, in lingua italiana, inglese e tedesca — su Carlo e il suo tempo, inquadrandone la figura nel contesto europeo. Completano il volume un’intervista al postulatore Ambrosi su L’iter verso la beatificazione e i suoi «nodi», una cronologia, una bibliografia e un indice dei nomi, curati dall’ISIIN.
La narrazione affronta sinteticamente i momenti principali della vita di Carlo: la formazione giovanile del futuro imperatore, nato nel 1887; la carriera militare, come per tutti i potenziali sovrani; il matrimonio, nel 1911, con la principessa italo-francese Zita Maria delle Grazie di Borbone-Parma, che gli darà otto figli; l’assassinio dello zio Francesco Ferdinando a Sarajevo nel luglio 1914, che modifica la linea di successione al trono facendo di Carlo l’erede designato; la partecipazione alla prima guerra mondiale su entrambi i fronti, orientale e occidentale; la morte dell’ottantaseienne Francesco Giuseppe, il 21 novembre 1916, e l’ascesa del giovane pronipote ai troni d’Austria, di Boemia e d’Ungheria. Il suo breve regno è segnato profondamente dalla guerra, che egli vive al fronte e nella capitale con un misto di abnegazione e ardimento, mitezza e sollecitudine per le truppe al fronte, le famiglie a casa e la popolazione civile. Contrario all’impiego di sottomarini su larga scala, perché non facevano distinzione fra militari e civili, porrà limitazioni alla guerra aerea e compirà ogni sforzo per bandire l’uso dei gas asfissianti. Questa idea — un po’ medievale e molto cattolica — della guerra limitata, gli alienerà le simpatie dei comandi germanici, influenzati dai circoli militaristici e nazionalistici. Costoro vanificheranno i suoi ripetuti sforzi di pace nel 1917, che saranno osteggiati anche della massoneria, molto influente, soprattutto nei paesi latini, sui parlamenti e sui sovrani. La dinastia asburgica pagava in questo modo la sua opposizione alle logge, che cercavano di portare alle ultime conseguenze la traduzione politica dell’ideologia libertaria e ugualitaristica della Rivoluzione del 1789, trovando un ostacolo non solo nella Chiesa cattolica ma anche negli eredi del Sacro Romano Impero. Dopo la sconfitta, Carlo rifiuterà di abdicare e verrà allontanato da Vienna con la complicità delle potenze vincitrici; falliti due tentativi di restaurazione, subirà, fra gravi disagi, l’esilio finale nell’isola atlantica di Madera, dove si spegnerà il 1° aprile 1922, degno testimone di quelle radici cristiane europee che i suoi nemici di allora e di oggi si ostinano a voler recidere.
Francesco Pappalardo
Don Luigi Negri
Invito alla lettura
La grande tradizione cattolica, nell’affronto della vicenda sociale e politica che ha caratterizzato quasi millecinquecento anni di storia e che ha avuto nell’impero asburgico la sua espressione più significativa, è il contesto vivo nel quale collocare l’espe-rien-za di santità di Carlo d’Asburgo.
La fede per secoli fu vissuta come forma «totalizzante» la vita della persona e delle realtà sociali, prima fra tutte la Chiesa, non certo nel senso chiuso e statico e violento, cui ci hanno abituato le grandi ideologie moderne con i loro tragici totalitarismi. Ma una forma di vita, che, fornendo alla persona una innegabile esperienza di unità culturale, consentiva alla vita personale e sociale di modularsi secondo il ritmo di una autentica responsabilità, appunto personale e sociale.
Questa fu l’Europa dei popoli, delle nazioni e, quindi, degli Stati: è questa la tradizionale definizione che ne dà il magistero della Chiesa, che si pone, quindi, in trasparente polemica con l’Europa dei soli Stati.
Tutto questo poté avvenire perché, fino alla rottura della unità religiosa dell’Europa ed alla nascita e allo sviluppo del laicismo moderno, il vero ed adeguato soggetto della storia fu il popolo cristiano, nella sua originalità di esperienza storica, e quindi di cultura e di iniziativa sociale. Questo popolo che, come ha definito il Concilio Ecumenico Vaticano II, è «[…] radunato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».
È questo popolo e, al suo interno, la persona maturata dalla presenza ecclesiale, che acquista coscienza della propria identità e che si assume una effettiva responsabilità di azione. Da esso nasce, quindi, un movimento, che crea cultura e, di conseguenza, civiltà. E si tratta, evidentemente, di una cultura e di una civiltà, quelle medievali, che, come quelle di ogni altro momento della vita ecclesiale, sono espressione della radicalità e della vivezza della fede, pur essendo comunque esperienze storiche e, quindi, obiettivamente fallibili e migliorabili.
È in ogni modo vero che questo movimento d’inculturazione della fede e di civilizzazione a partire dalla fede rappresenta nella storia dei popoli europei il fenomeno che li ha generati e che li ha elevati a forme di vita culturale, sociale e politica mature e articolate, ma insieme riferite all’unità sostanziale della fede e della carità.
È questo il contesto dell’impero asburgico, che, in modo particolare, certamente non previsto e altamente drammatico, Carlo eredita dai suoi antenati, questo il contesto in cui la sua figura, la sua personalità, il suo cammino di fede e di impegno civile si è potuto attuare.
Carlo d’Asburgo è un figlio, cristianamente esemplare, di questa tradizione. Ha vissuto la sua responsabilità di fronte ai suoi popoli con l’impeto della dipendenza dalla Chiesa cattolica ed ha assunto la propria responsabilità, cristiana e sociale, in un’ora terribile della storia del suo impero e dell’Europa e ha cercato di attuare coerentemente un programma di vita e di azione che faceva suo il contenuto fondamentale del magistero di Papa Benedetto XV. In ogni momento della sua breve ed esemplare vita la preoccupazione costante di Carlo è stata quella di aderire incondizionatamente al magistero del papa e di vivere autenticamente l’appartenenza ecclesiale, traendo da essa chiarezza per giudicare le situazioni ed energia per una serie di azioni, che andavano evidentemente controcorrente nei confronti di una politica europea, e quindi mondiale, ormai dominata dalla Realpolitik degli Stati totalitari, che intendevano formulare una nuova Europa, per poter conquistare alla ideologia illuministica e laicistica l’intero mondo.
Carlo fu innanzitutto un testimone, un testimone non di una progettualità culturale, sociale e politica compiuta, ma un testimone della fede, di quella fede, che se è tale, come ci ha insegnato Giovanni Paolo II, non può non diventare fonte di cultura e, quindi, di impegno sociale.
Questa testimonianza fu da lui vissuta nei termini di una squisita carità nei confronti di tutti quelli che lo incontravano, verso i quali, tutti, ebbe sempre un atteggiamento di grande benevolenza e di profonda dedizione: sia che fossero i grandi dignitari politici del suo impero o i politici stranieri con cui venne in contatto nei brevi anni del suo impero, sia che si trattasse degli ultimi soldati, con i quali divise fatiche, dolori e ansie nelle trincee terribili della Prima Guerra Mondiale. E questa vita di stenti, vissuta esemplarmente in nome della carità, che lo legava ai suoi popoli, e di un’au-to-re-vo-lez-za, che non era potere autoritario, ma servizio, fu la causa prossima della malattia, che lo condusse in breve alla morte.
Credo che la Chiesa riconosca in lui l’esperienza straordinaria di un’autentica laicità. La laicità, a differenza di quanto si è potuto credere anche recentemente, non è il frutto di una distinzione e, tanto meno, di una separazione del corpo vivo della Chiesa dal suo essere popolo nel mondo. La laicità, pienezza di personalità e di responsabilità morale e civile, è il frutto maturo di questa appartenenza. Carlo d’Asburgo è stato un grande laico cristiano: in qualche modo ha signi-ficativamente anticipato quella indimenticabile definizione del laico cristiano, che è contenuta nel magistero del Concilio Vaticano II, là dove si parla di santità comune del popolo di Dio. Santità comune del popolo di Dio che, per la straordinaria esperienza della sua vita e per la dedizione caritatevole agli uomini e alle loro condizioni e alle situazioni di vita, la Chiesa riconosce oggi come singolarmente straordinaria in Carlo d’Asburgo. In lui le generazioni dei laici, che si apprestano a vivere all’inizio del terzo millennio cristiano questa fase nuova, drammatica ed esaltante, di una nuova evangelizzazione, non potranno non trovare un punto di riferimento sicuro e confortante.
Marco Invernizzi
Prefazione
Ho conosciuto la figura di Carlo d’Asburgo per la prima volta oltre trent’anni fa, partecipando agl’incontri spirituali di Alleanza Cattolica — l’associazione di apostolato culturale di cui faccio parte —, dove si pregava per la sua beatificazione.
Grande quindi è la gioia di apprendere la prossima beatificazione dell’ultimo imperatore europeo e il piacere di scrivere la prefazione al bel lavoro dell’amico Oscar e del giovane storico piacentino, non-ché anch’egli amico, Ivo Mu-sajo Somma, che permette anche al lettore italiano di poter leggere cenni e riflessioni sulla vita del prossimo beato.
Ma una prefazione, oltre che per ricordare, è anche occasione per riflettere «a voce alta» sul tema del libro che si propone al lettore.
Indubbiamente, Carlo potrebbe essere pregato e la sua vita letta come quella di un grande uomo del secolo scorso, provato da mille croci e persecuzioni, marito e padre esemplare, cristiano devoto e rassegnato alla volontà di Dio, sempre e soprattutto nelle circostanze difficili che accompagnarono la sua esistenza.
Ma non è così, non è soltanto così e non sarebbe giusto e vero dimenticare che Carlo è stato l’imperatore di una dinastia che ha guidato l’impero cristiano d’Occidente per quasi settecento anni, da Rodolfo I (1218-1291) — il capostipite, che regnò dal 1273 alla morte — appunto fino a lui, che successe all’imperatore Francesco Giuseppe I di Asburgo Lorena (1830-1916) alla guida dell’Impero austro-ungarico nel 1916, per rimanervi fino alla fine del 1918, quando sarà costretto a ritirarsi dalla guida dell’impero e poi all’e-si-lio dalle rivoluzioni nazionaliste che, anche nei territori imperiali, seguirono la prima guerra mondiale. La sua beatificazione non «beatifica» evidentemente tutti i gesti della sua politica, ma certamente tiene conto del ruolo che ha occupato e del come ha esercitato le funzioni inerenti a questo ruolo pubblico di così grande rilevanza.
Carlo d’Asburgo è espressione di un mondo storico, la cristianità occidentale, che termina con lui da un punto di vista istituzionale; il suo nome richiama alla memoria altri due Carli che come lui hanno avuto un ruolo essenziale nella costruzione e nella difesa dell’iden-tità europea, Carlo Magno (742-814) e Carlo V (1500-1558), che rispettivamente fondarono e difesero il Sacro Romano Impero, del quale l’impero del beato Carlo è stato il legittimo erede. Tutti e tre gli imperatori ricordano all’Europa, che oggi si sta faticosamente cercando di costruire anche da un punto di vista politico, le sue radici, le sue glorie e la colpa di quei governanti europei che hanno voluto eliminare a tutti i costi l’impero, nel 1918, per puro odio ideologico, come ha scritto François Fejtö nel suo libro sulla «morte» dell’impero austro-ungarico ( ).
Tuttavia, questo mondo storico è definitivamente venuto meno.
Non soltanto da un punto di vista istituzionale, come appunto avvenne al termine della Grande Guerra, ma anche da quello della sua omogeneità culturale, che, in qualche modo, aveva permesso a Francesco Giuseppe, il predecessore di Carlo, di governare dal 1848 al 1916 sopra un mosaico di popoli di diversa religione ed etnia attraverso un comune senso di appartenenza culturale, di cui è coagulo e guida una famiglia, gli Asburgo appunto. Questo mondo storico nel secondo dopoguerra è caduto in gran parte sotto il dominio dell’impero social-comunista, e, se, dopo il 1989, è riuscito a ricuperare la sua libertà, esso è comunque diventato un «altro» mondo, che deve ancora assorbire le ferite patite a causa della pluridecennale devastazione sociale ed etica del totalitarismo comunista, mentre è già attraversato da «altri» problemi, dal relativismo dei valori al conflitto etnico nei Balcani, all’immigrazione.
Certamente in questo mondo sopravvivono minoranze consistenti di «bene intenzionati», di uomini di buona volontà che potranno essere gli artefici di una rinascita religiosa e culturale, forse anche — non certo però a breve — istituzionale e politica, ma questo mondo futuro potrà essere solo il frutto di una «seconda evangelizzazione», e sarà comunque un altro mondo storico rispetto a quello che si esaurisce con Carlo d’Asburgo. Per questo bisogna evitare di confondere l’ammirazione per Carlo e per il mondo con lui scomparso, con l’opera culturale e missionaria richiesta ai cattolici nel mondo di oggi.
Carlo I d’Asburgo ci invita all’unica nostalgia che ha sempre una ragion d’essere, la nostalgia della santità. Egli la trasmette, la dona in eredità a chi vuole edificare un’Europa rispettosa delle sue radici cristiane e della sua storia e porta così a compimento, nel più alto dei modi, la vocazione cattolica ed europea della sua grande famiglia.
Peraltro, la beatificazione di Carlo I è un’occasione anche per riflettere su alcuni aspetti della storia italiana, che toccano direttamente uno dei punti irrisolti della vita italiana, il quale sta, fra l’altro, all’origine dell’istituto storico che ha collaborato alla pubblicazione di questo libro, appunto l’identità nazionale. È inevitabile che provi un malessere, per esempio, chi, italiano e magari anche lombar-do, si rechi nelle valli trentine e dell’Alto Adige, allorché s’im-bat-te in popolazioni che tuttora ammirano l’imperatore Carlo anche e perché ne leggono la figura in chiave anti-italiana, ricordando quando, all’inizio della Grande Guerra, l’Italia, fin dal 1882 alleata agli Stati germanici nella Triplice Alleanza, nel 1914-1915, nel breve giro di un anno, decise di scendere in guerra contro di loro. Non è questa certo la sede per riaprire questa ferita, che comunque esiste e che può trovare cura proprio e solo se ci si pone in una prospettiva di ricostruzione dell’identità italiana al di là delle ideologie e nella sua compiutezza.
Ma è senz’altro la sede per invitare l’Italia, che entra in Europa, a guar-dare come un esempio e un modello a un «imperatore santo», che fu fautore di una pur non facile politica federalistica, desideroso com’era di elevare tutti i popoli del suo vasto impero alla stessa dignità; che si rivelò sostenitore di una politica dell’integrazione, realistica e anti-ideologica, che non fece in tempo a realizzare, ma che è assai illuminante proprio perché i problemi da affrontare oggi, soprattutto nel Balcani dilacerati, non sono molto diversi da quelli di allora. E, infine, per invitare sia l’Italia, sia l’Europa a chiedere a questo grande europeo di intercedere per i rispettivi popoli presso l’Altissimo, che è Signore anche delle nazioni.
Con il permesso dell’editore