Dare bellezza per la gloria di Dio

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\"\"Benedetto XVI, Dare bellezza per la gloria di Dio. Discorso alla Cappella Musicale Pontificia “Sistina”, Edizioni Feeria – Comunità di San Leolino, Panzano in Chianti (FI) 2006, pp. 22, ill., € 5,00

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Una possibile chiave di lettura del pontificato che stiamo vivendo è quella di un rilancio della fede ripartendo dall’essenziale, come dimostrano le due encicliche Deus caritas est e Spe salvi, incentrate sul cuore del messaggio cristiano, cioè rispettivamente l’amore e la speranza – nonché sui rispettivi fraintendimenti che rischiano di renderle sterili. Un altro ritorno all’essenziale riguarda l’educazione allo «spirito della liturgia» – per riprendere il titolo di un importante testo dell’allora cardinale Joseph Ratzinger – affinchè sia sempre più chiaro che in essa si consuma il supremo atto d’amore tra Cristo e la Chiesa, dinanzi al quale la risposta più appropriata è quella suggerita dal salmo 137(138), ripreso dalla Regola benedettina: in conspectu angelorum psallam tibi, di fronte agli angeli voglio cantarti. L’essenza della liturgia consiste in ciò che compiono gli angeli nel cielo e i monaci sulla terra: nell’adorazione.
Il concetto è stato più volte ribadito dal teologo e cardinale Ratzinger e poi da Papa Benedetto XVI (ad esempio nella visita all’abbazia di Heiligenkreuz, in Austria, il 9 settembre 2007) e va tenuto presente non solo per quanto riguarda la liturgia in generale, ma soprattutto quella sua componente fondamentale – drammaticamente travolta dalla ideologica e quindi falsa contrapposizione tra pre- e postconcilio – che è il canto e la musica sacra; è ovviamente questo l’argomento del discorso tenuto dal regnante pontefice ai cantori della Cappella Sistina il 20 dicembre 2005 e pubblicato dalle Edizioni Feeria insieme ad una prefazione del segretario di Stato vaticano, cardinal Tarcisio Bertone, ad un indirizzo di saluto del Maestro Direttore della Cappella Sistina, monsignor Giuseppe Liberto, e ad un breve saluto dello stesso Pontefice alla fine dell’udienza generale del 15 febbraio 2006.
Il concetto è stato più volte ribadito dal teologo e cardinale Ratzinger e poi da Papa Benedetto XVI (ad esempio nella visita all’abbazia di Heiligenkreuz, in Austria, il 9 settembre 2007) e va tenuto presente non solo per quanto riguarda la liturgia in generale, ma soprattutto quella sua componente fondamentale – drammaticamente travolta dalla ideologica e quindi falsa contrapposizione tra pre- e postconcilio – che è il canto e la musica sacra; è ovviamente questo l’argomento del discorso tenuto dal regnante pontefice ai cantori della Cappella Sistina il 20 dicembre 2005 e pubblicato dalle Edizioni Feeria insieme ad una prefazione del segretario di Stato vaticano, cardinal Tarcisio Bertone, ad un indirizzo di saluto del Maestro Direttore della Cappella Sistina, monsignor Giuseppe Liberto, e ad un breve saluto dello stesso Pontefice alla fine dell’udienza generale del 15 febbraio 2006. In apertura il cardinal Bertone ci introduce molto opportunamente all’argomento, quasi fornendoci le basi «antropologiche» del canto: «L’espressione canora fa parte della natura dell’essere umano; essa è mezzo per esternare in maniera più esplicita qualcosa che alberga nel profondo dell’animo della persona» e che non sarebbe traducibile in altri linguaggi. «È proprio dell’uomo cantare e cantando comunicare se stesso» ed è per tale motivo che «La Chiesa pone in evidenza la funzione e l’importanza del canto nelle proprie liturgie. In esse cantare è contemporaneamente lodare, adorare il Signore e confidare in lui».
Nel suo discorso papa Benedetto approfitta felicemente dell’imminenza del Natale per prendere le mosse da quel primo Gloria in excelsis Deo (Lc 2,14) col quale gli angeli fondarono, per così dire, il canto liturgico cristiano: «La tradizione è da sempre convinta che gli angeli non abbiano semplicemente parlato come fanno gli uomini, ma che abbiano cantato e che fosse un canto di una bellezza celeste, il quale rivelava la bellezza del Cielo». La musica sacra non solo deve uniformarsi a questa bellezza celeste, ma deve essere il punto di unione tra angeli e uomini, affinchè nella liturgia terrena «[…] noi possiamo sentire la presenza della liturgia celeste, un po’ della bellezza nella quale il Signore ci vuole comunicare la sua gioia».
Affinchè ciò sia possibile, la musica non deve considerarsi una semplice aggiunta alla liturgia, e quindi regolarsi più o meno autonomamente secondo propri criteri. «In realtà, la lode di Dio esige il canto», che da Mosè e Davide fino all’Apocalisse «[…] è essenziale per la liturgia: non è un ornamento marginale, ma la liturgia come tale esige questa bellezza, esige il canto per lodare Dio e per dare gioia ai partecipanti».
Il Papa chiude con gratitudine verso i piccoli cantori, consapevole – anche per l’esperienza personale del fratello, monsignor Georg Ratzinger, già direttore del coro della cattedrale di Ratisbona – dei sacrifici che questa bellezza impone loro rispetto ai coetanei, ma esortandoli a tenere a mente l’importante opera cui le loro fatiche contribuiscono: «La liturgia del Papa, la liturgia in San Pietro, deve essere la liturgia esemplare per il mondo. […] imparano da qui, o non imparano da qui, che cosa è la liturgia, come si deve celebrare la liturgia». In conclusione, sta tutta qui la tanto chiacchierata riforma della riforma: tornare innanzitutto allo spirito «angelico» della liturgia e affacciarsi sulla lode che i cherubini e i serafini offrono incessantemente al loro Signore; quindi spargere la voce che questa festa celeste è un po’ meglio delle nostre festicciole terrene, e che ad essa siamo tutti invitati. E questa non è altro che la Nuova Evangelizzazione…

Stefano Chiappalone