Corrêa de Oliveira e la crisi nella Chiesa

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\"\"Massimo Introvigne, Una battaglia nella notte., Plinio Corrêa de Oliveira e la crisi del secolo XX nella Chiesa, SugarCo, 2008, pp. 296, € 19,50.

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Il secolo di Plinio Côrrea de Oliveira
di Marco Respinti

A 100 anni dalla nascita del pensatore e uomo di azione brasiliano, un bilancio del suo legato. La rivoluzione e la contro-rivoluzione, la civiltà cristiana, la speranza che non muore mai. Da fare c’è ancora molto, nel suo segno
Sono occorsi quattro lunghi e tempestosi decenni sia per farsi una ragione sia per avere ragione non tanto del Concilio Ecumenico Vaticano II quanto di ciò che ne è stato fatto dal “metaconcilio”, smascherato da mons. Philippe Delhaye in La scienza del bene & del male. La morale del Vaticano II e il “metaconcilio” (trad. it., Ares, Milano 1979) . L’interpretatio authentica del Concilio è infatti l\’enorme magistero di Papa Giovanni Paolo II, culminato nel Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 e coronato dalla “rigorizzazione” ora operata da Papa Benedetto XVI, che già da cardinale, intervistato da Vittorio Messori in Rapporto sulla fede (Paoline, Torino 1985), mise in luce il dissidio fra il «Concilio vero» e «un sedicente “spirito del Concilio”», cioè «un vero “anti-spirito”» per il quale «tutto ciò che è “nuovo” (o presunto tale: quante antiche eresie sono comparse in questi anni, presentate come novità!) sarebbe sempre e comunque migliore di ciò che c’è stato o c’è. È l’anti-spirito secondo il quale la storia della Chiesa sarebbe da far cominciare dal Vaticano II, visto come una specie di punto zero». Modernismi: tanti, troppi

Del resto, attorno alla “questione Concilio” maturarono veleni ben più antichi della convocazione di quell’assise, dei suoi lavori e soprattutto di quei suoi testi che troppi citano e pochi leggono, molti ignorano e innumerevoli travisano. La posta giocata attraverso il Concilio, infatti – o usando il Concilio come scusa –, si è incentrata sulla pertinenza, o meno, del cristianesimo cattolico rispetto alla storia dell’uomo, dunque sul diritto di cittadinanza che ha il giudizio del cristianesimo sulla realtà, che ha l’umanesimo autentico di cui esso è portatore, insomma che hanno la cultura e le civiltà in cui esso s’incarna, e questo sempre, quindi anche hic et nunc, ovvero in un preciso frangente, cioè in questo particolare momento storico.
La speranza, insomma, virtù teologale e cuore della fede stessa, è stato l’oggetto primo di quello scontro; la speranza in Cristo signore anche della storia contro il venir meno di essa, in primis nei credenti, dunque, a ricaduta, nell’ordine temporale da loro animato o, appunto, esanimato. Del resto il modernismo – ogni modernismo – è anzitutto la perdita della speranza teologale: la rinuncia, di principio, alla signoria di Cristo sulla vita culturale, politica ed economica degli uomini che così si affidano al “mondo”, insomma alle ideologie del tempo, quelle stesse che l’allora cardinale Ratzinger denunciava come votate all’idolatria del “nuovo”; e che lo “spirito del Concilio” sia un modernismo il regnante pontefice lo afferma da prima ancora di salire al Soglio di Pietro.
Ebbene, non si comprenderebbe nulla della vita e dell’opera di Plinio Côrrea de Oliveira se si esulasse da questo quadro, ovvero da quella lunga notte del post-Concilio che fu per tempo annunciata da segni oscuramente prodigiosi ben prima della convocazione del Concilio stesso.
Una notte che però è stata anche una pugna, seria e aspra, come documenta, con la consueta acribia e passione scientifica, Massimo Introvigne nel volume Una battaglia nella notte. Plinio Côrrea de Oliveira e la crisi del secolo XX nella Chiesa (Sugarco, Milano, pp.294, E19,50).
Ora, Introvigne è un sociologo delle religioni – tra i più accrediti a livello scientifico e i più noti in ambito internazionale –, fondatore e direttore a Torino del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni, autore di decine di studi e curatore di altrettanti, nonché specialista, nello studio dei nuovi movimenti religiosi, del sacro postmoderno. I suoi titoli a trattare De Oliveira sono cioè validissimi proprio perché garanti del necessario quadro di fondo. Né (chi leggerà il libro se ne accorgerà a ogni rigo) il fatto di essere Introvigne dirigente di Alleanza Cattolica (un’associazione di laici che al magistero culturale di De Oliveira s’ispira organicamente), insomma legato al biografato da “amicizia” e da “discepolato”, inficia la sua descrizione fenomenologica, l’unica efficace nell’interpretare gli accadimenti, e per di più – quando fatta bene, e Introvigne la fa bene (ma la cosa va sussurrata, sennò lo scienziato Introvigne prende subito, giustamente, le distanze) – persino apologetica.

Il mondo, la società, il re

Perché, fra “notte” e “battaglia”, De Oliveira risulterebbe incomprensibile se non lo si apprezzasse come un convinto e coraggioso testimone di quella speranza teologale che è il cuore stesso della fede cattolica la quale non rinuncia, nemmeno quando è piccolo gregge avvolto dal buio più nero, ad affermare, con semplicità e con serenità, la signoria di Cristo sul creato intero, ivi ovviamente comprese, anzi per prime, le realtà storiche umane. Non Cristo re del mondo, ma Cristo re anche in questo mondo. De Oliveira ha cioè tenuta ferma la speranza in una fede capace d’illuminare ogni anfratto dell’umano, quindi di convertire anche la cultura e d’incarnarsi pure in civiltà, cioè in società – come ebbe a dire Papa Giovanni Paolo II – «a misura di uomo e secondo il piano di Dio», privilegiate e antropiche, autenticamente umanistiche – “medioevali”, “barocche” – nel loro essere (plurale, mai singolare) delle Cristianità, cosa del resto ben diversa dal concepire l’uomo come “misura delle cose”. A un secolo dalla sua nascita e a 13 anni dalla scomparsa, Introvigne ci restituisce un De Oliveira così.
Nato il 13 dicembre 1908 a San Paolo, in Brasile, da una famiglia dell’aristocrazia rurale, De Oliveira si forma nella facoltà di Giurisprudenza della città. A 24 anni è eletto all’Assemblea Costituente nella lista della Lega Elettorale Cattolica, il deputato più giovane e più votato del Paese. Insegna Storia della Civiltà nel collegio universitario annesso alla facoltà di Giurisprudenza di San Paolo, quindi Storia Moderna e Contemporanea in facoltà poi integrate nella Pontificia Università Cattolica. A San Paolo è tra i fondatori dell’Azione Cattolica.
Morto a San Paolo il 3 ottobre 1995, la sua fama di pensatore, oratore, conferenziere e giornalista si lega all’analisi della crisi contemporanea e a giudizi sulla vita della Chiesa, del mondo cattolico e di quello socio-politico che di volta in volta sono brasiliani, iberoamericani, americani, occidentali, internazionali. Lascia studi di carattere sociologico e storico, 2500 fra articoli e manifesti, 20mila registrazioni di conferenze, ma soprattutto la realtà della TFP, l’Associazione per la difesa della Tradizione, della Famiglia e della Proprietà, fondata in Brasile nel 1960 e poi riferimento di gruppi simili, ma giuridicamente indipendenti, in ogni continente.
La sua visione della storia – modellata su sant’Agostino, sant’Ignazio di Loyola, san Luigi Maria Grignon de Monfort, nonché dagli scritti di mons. Henri Delassus – è compendiata nell’opera Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, di cui il 2009 segnerà il 50° anniversario, accresciuta (dalla terza edizione italiana, pubblicata nel 1977 a Piacenza da Cristianità, l’editrice di Alleanza Cattolica di cui sopra) con nuove riflessioni a fronte del postconcilio e del Sessantotto.
Per la TFP De Oliveira s’ispirò ai Comitati Civici, costituiti in Italia da Luigi Gedda nel 1948. Ecco – come direbbe quel J.R.R. Tolkien amato da un grande “discepolo” di De Oliveira nonché lucido interprete del concetto di “Magna Europa”, l’Occidente rispetto all’Europa, ossia lo storico italiano, scomparso, Marco Tangheroni –, è con questo “Gedda brasiliano” che dalla provincia iberoamericana della Magna Europa la speranza cristiana rinasce. Giacché essa muore se non vi sono uomini che la nutrono.

(C) Il Domenicale, SABATO 29 NOVEMBRE 2008