Marco Tangheroni, Cristianità, modernità, Rivoluzione. Appunti di uno storico fra "mestiere" e impegno civico-culturale, SugarCo, Milano 2009, 184 pp.
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Finalmente i cultori della storia – ma anche tutti gli appassionati – hanno a disposizione un nuovo utilissimo strumento per conoscere e riflettere su di essa senza subire i condizionamenti ideologici che spesso tengono prigioniera la musa Clio. Sotto il titolo Cristianità, modernità, Rivoluzione. Appunti di uno storico tra mestiere e impegno civico-culturale sono raccolte – riviste e annotate – alcune conferenze dello storico pisano Marco Tangheroni (1946-2004), docente universitario e grande studioso del Medioevo.
Tangheroni ha insegnato, oltre che nella città natale, nelle Università di Barcellona, di Cagliari e di Sassari. Sposato e padre di tre figlie adottive ruandesi, ha svolto attività politica e di apostolato culturale ed è stato attivo e apprezzato conferenziere su numerosi temi, anche al di fuori dell’ambito strettamente accademico.
Tutto ciò nonostante una grave malattia renale che sin dalla giovinezza ne ha minato il fisico e ha conferito un senso "provvidenziale" alla coincidenza fra la memoria liturgica della Beata Vergine di Lourdes, venerata come salus infirmorum, e la sua morte, avvenuta l’11 febbraio 2004.
Fra i suoi numerosi saggi e volumi pubblicati ricordiamo Commercio e navigazione nel Medioevo (Laterza, Roma-Bari 1996) e la mostra Pisa e il Mediterraneo. Uomini, merci, idee dagli Etruschi ai Medici (Skira, Milano 2003), che costituiscono un po’ la summa delle sue ricerche e dei suoi interessi, nonché il libro postumo Della Storia. In margine ad aforismi di Nicolás Gómez Dávila, recentemente uscito per i tipi di Sugarco di Milano.
Il volume contiene una Nota Praevia (pp. 17-18) redatta da un amico di Tangheroni, Andrea Bartelloni, del Centro Cattolico di Documentazione di Marina di Pisa, che a suo tempo ha organizzato e ospitato le conferenze, tanto quelle raccolte nella prima parte, intitolata Appunti di storia, quanto quelle esterne ospitate nella seconda.
Negli Appunti Tangheroni, dopo alcune Considerazioni introduttive (pp. 21-33), passa a confutare La leggenda nera sul Medioevo (pp. 35-51) per individuare piuttosto Gli elementi costitutivi del Medioevo (pp. 53-61); quindi affronta La crisi del Medioevo e la Riforma protestante (pp. 63-73), La Rivoluzione francese (pp. 75-93) e infine Il Risorgimento italiano (pp. 95-106).
Nell’altra parte del libro, Testi di conferenze, Tangheroni affronta argomenti di attualità, come in 1492-1992. Bilancio di un centenario (pp. 109-131), relazione tenuta in occasione del quinto centenario della scoperta dell’America; come Islam, una realtà sconosciuta (pp. 133-143), e come Le radici storiche dell’Occidente (pp. 145-161).
Quindi il volume si chiude con un a Nota bio-bibliografica (pp. 163-169) a cura di chi scrive e con un elenco di Letture introduttive consigliate (pp. 171-174).
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Nei suoi testi qui raccolti Tangheroni ribadisce che fra i compiti dello storico cattolico non rientra certo una lettura teologica – e nemmeno teleologica della storia –, ma non può fare a meno di notare che fra i vantaggi di quella teologica c’è sicuramente una minore inclinazione a leggere il passato cercando forzatamente conferme o smentite, poiché "[…] sappiamo che la guerra è stata certamente vinta da Cristo, ma che prima della fine molte battaglie potranno essere perdute: questo è il tema, celebre, del "già e non ancora". Non abbiamo perciò bisogno di verifiche dalla storia" (p. 33). Al contrario, la radicata immagine della cristianità europea come "secoli bui", come parentesi ovvero "medio evo", oscura età di mezzo fra le glorie dell’antichità e del Rinascimento, ha prodotto – e continua a produrre per via mediatica ma anche scolastica – una storia ideologica mirante a "[…] far perdere ai cattolici la consapevolezza di avere un passato "sociale" particolarmente glorioso" (p. 35) e a "[…] convincere surrettiziamente che l’impegno per restaurare una civiltà cristiana sia pura utopia" (ibidem). Questa "storia sbagliata" si è coerentemente tradotta in un’azione politica e culturale da parte di un mondo cattolico ormai votato all’espiazione sistematica delle proprie colpe – vere e presunte – mediante l’anonimato politico-sociale. Eppure, fra luci ed ombre, la stessa Europa emerge come frutto del Medioevo: un nuovo mondo nato fra tante rovine, proprio grazie alla forza coagulante del cristianesimo "[…] non solo come generale sentimento religioso, ma anche come istituzioni ecclesiastiche, dalla più piccola cura d’anime fino ai vertici episcopali e fino al papato" (p. 54), dando luogo ad una civiltà originale che, "[…] pur riconoscendo la centralità storica dell’incarnazione di Cristo" (p. 56), si considerava in perfetta continuità con il mondo classico, come "[…] nani sulle spalle dei giganti" (ibidem). Ben diversa fu la rinascita negromantica dell’antico attuata dall’Umanesimo, che nelle corti europee – inclusa quella pontificia – "[…] è spesso un alibi ideologico per abbandonarsi ai lussi e ai piaceri della vita" (p. 70). Parallelamente avveniva un cambio di mentalità all’insegna di un crescente individualismo, anche in ambito religioso – dalla devotio moderna all’ossessiva preoccupazione per la propria salvezza individuale. Alla radice della rottura protestante c’è anche l’antropologia esasperatamente pessimistica di Martin Lutero (1483-1546) per cui "[…] è impossibile all’uomo di procurarsi qualsiasi merito di fronte a un Dio che salva o condanna del tutto arbitrariamente" (p. 71) a prescindere dalle opere. Poiché Tangheroni amava dire che la storia si fa anche con i se, non possiamo fare a meno di chiederci se su queste basi spirituali sarebbe stata possibile l’immane opera di ricostruzione avvenuta nell’Alto Medioevo. In ogni caso fu del tutto coerente il controllo totalitario nella Repubblica fondata a Ginevra da Giovanni Calvino (1509-1564), poiché una natura umana incapace di agire bene "[…] deve essere violentemente coartata e corretta alla luce della rivelazione cristiana" (p. 72). Analogamente la Rivoluzione francese, eliminate le libertà concrete in favore dell’astratta liberté, rendeva tutti gli individui eguali e fratelli in quanto tutti soggetti allo Stato rivoluzionario che realizzava l’uomo "nuovo" – volente o nolente –, mentre in Vandea la pelle dell’uomo "vecchio", del contadino insorto contro la Repubblica, finiva in mano a un conciatore per farne dei gambali… Nonostante ciò il mito della Rivoluzione francese resiste ed è intoccabile, così come, nella Penisola, la mitologia risorgimentale fa sì che tuttora non si possa che parlar bene di Giuseppe Garibaldi (1807-1882).
Senza pretesa di esaurire tutta la storia – poiché l’unico ad avere una vita sufficientemente lunga per conoscerla e raccontarla tutta è Dio – questi "riassunti" ci abituano a studiare il passato – ma anche il presente – con un senso della complessità del reale che spinge a non accontentarsi delle mitologie correnti, ponendosi sempre nuove domande. Così, in un clima culturale caratterizzato – anche a livello accademico – dalla facilità a indignarsi piuttosto che dalla volontà di capire, Tangheroni ci indica da quali pulpiti vengono le prediche: ad accusare Cristoforo Colombo (1451-1506) di essere all’origine del genocidio degli indios c’è persino un mondo nord-americano che ha fatto davvero tabula rasa delle popolazioni indigene, come attesta la totale assenza di meticciato, diffusissimo invece in America Latina – dove uccisero più i batteri portati dagli spagnoli che la loro "barbarie". E se i sacrifici umani di incas e aztechi vengono facilmente compresi in nome di un relativismo culturale che non riconosce gerarchie di civiltà, "[…] allora non si vede perché ai poveri spagnoli invece questa relatività debba essere sistematicamente negata" (p. 131). Né, cambiando argomento, ci si può accontentare del significato interiore del jihad, senza porsi il problema di una parallela connotazione esteriore ed aggressiva, che ha contribuito alla fulminea espansione dell’Islam. Infine, osserviamo curiosamente che se il mondo islamico – ammirato anche da tanti occidentali che diffidano dell’Occidente – nel momento del suo massimo sviluppo aveva già in sé le premesse del successivo arresto, a partire dal XIII secolo, parallelamente l’Europa, che pure all’epoca appariva meno evoluta, aveva però in sé uno sguardo positivo verso il mondo e verso la storia poiché è proprio grazie al cristianesimo, cioè alla religione di un Dio che si incarna nello spazio e nel tempo, "[…] che questa apertura, questa ansia, questo desiderio di conoscenza che possono avere acquisito – e che hanno certamente acquisito, in parte – un carattere prometeico, cioè di rivolta contro la divinità, sono per altro insite nelle radici della nostra civiltà" (p. 160).
Se è lecito, in chiusura, un primo rapido commento, mi servo di un elemento apparentemente marginale, ma che in realtà racchiude tutto ciò che si può attendere dalla pubblicazione delle preziose pagine di Marco Tangheroni. La copertina scelta per questo libro – che ce lo renderà immediatamente riconoscibile – è la più efficace presentazione tanto del testo quanto dell’autore: l’icona di san Giorgio che su un cavallo bianco uccide il drago per liberare la principessa. Scopo principale di queste riflessioni non è certo quello di produrre esperti, per quanto effettivamente si possano imparare molte cose da esse. Piuttosto, in un contesto caratterizzato da un bombardamento di informazioni cui corrisponde una pressoché nulla formazione, Tangheroni ci insegna, "tra mestiere e impegno civile", a muoverci, ad andare a cavallo e a maneggiare la lancia per poter finalmente liberare la principessa imprigionata – dall’ideologia di turno o dalle deformazioni mediatiche – cioè la Verità.
Stefano Chiappalone