(CorSera) L’appello di Edith Stein e il silenzio di due papi

  • Categoria dell'articolo:Senza categoria

Sharing is caring!

Dopo la scoperta del documento nell’Archivio segreto vaticano, un’analisi storica e psicologica della santa che morì ad Auschwitz

L’appello di Edith Stein e il silenzio di due papi

di Emma Fattorini

Corriere della Sera 20-2-2003 «La responsabilità ricade anche su coloro che tacciono». Così Edith Stein il 12 aprile 1933, nella lettera finora inedita ritrovata nell’Archivio segreto vaticano e pubblicata ieri dal «Corriere», implorava il Papa perché assumesse gli ebrei come figli suoi.

PAPA RATTI Quella della Stein non è tanto una denuncia politica. Ha poco senso ricercarne gli effetti nel comportamento di Pio XI o eventuali tracce nella enciclica contro il razzismo del marzo 1937, Mit brennender Sorge, piuttosto che in un altro documento.
Nello stesso mese l’altra enciclica, Divini redemptoris, condannava il comunismo ateo come male totale e assoluto, in quanto «intrinsecamente perverso»; da ciò si concludeva che con esso non era possibile nessun rapporto. Un pontificato contraddittorio, quello di Pio XI, che condannava l’Action française, firmava i concordati con Mussolini nel ’29 e con Hitler nel ’33, dimostrava scarsa simpatia verso gli ebrei nel 1931 e che però alla fine compiva la prima scomunica dell’antisemitismo, con il progetto dell’enciclica che mai vide la luce. In questo quadro è ben difficile ricostruire gli effetti che le parole della Stein possono aver avuto sul papa, se mai lesse la lettera, e sul suo entourage.
Del resto, se c’è una cosa ormai assodata, ampiamente documentata dagli studi di Giovanni Miccoli, ben prima dei recenti boom archivistici, è che la Santa Sede sapeva attraverso molte e variegate fonti. La voce di Edith Stein dunque si univa a quella di tanti. Né poteva sembrare più prestigiosa o autorevole quella di una donna ebrea convertita dall’ateismo, in procinto di entrare al Carmelo, filosofa e mistica. Il suo grido di dolore, la denuncia della verità storica nasce dalla forza e dall’urgenza di esprimere la sua verità interiore. La verità, nella sua filosofia come nella vita: fino al martirio. (Sarà la sua superiora del Carmelo ad assecondare il suo trasferimento in Olanda e, in questo modo, oggettivamente a consegnarla alla Gestapo).

LA MISTICA Il rifiuto di atti consolatori, «la virtù sta nel tenere dentro il dolore che si conosce», il sapere ri-conoscere e convivere con il male dentro e fuori di noi. La consapevolezza, il non sfuggire al vuoto, alla perdita: «Ogni dolore che non è una perdita è un dolore inutile» scriveva Simone Weil. Radicalità di sentimenti e pensieri mistici, che accomunano donne di grande spiritualità come Edith Stein, Simone Weil, Etty Hillesum. Diversissime tra loro ma accomunate dalla stessa intensa sensibilità femminile mistica: la loro denuncia concreta («i miei piedi sono piantati sulla tua terra» scrive la Hillesum) nasce dall’urgenza profetica di esprimere la propria verità interiore che diventa comune passione eroica fino al martirio. E’ delle donne ospitare l’alterità dentro se stesse.
Il nocciolo teologico della denuncia della Stein è che i nazisti non potevano assumere e usare l’identità di cristiani. Il dovere morale del Papa è denunciare che chi è antisemita non può definirsi cristiano. Ma c’è un gap tra la mistica e il politico. E il vero martirio del mistico è il suo restare inascoltato prima ancora che essere vittima dei nazisti. I tempi della interiorità, le sue urgenze non sono i tempi delle decisioni politiche, neppure di quelle dei papi e della istituzione che rappresentano. Il fatto è che di queste mistiche del Novecento, tutte straordinarie, Edith Stein è stata scelta per essere santa, quindi le sue parole non sono (solo) una testimonianza di particolare intensità interiore nonché di coraggio eroico ma suonano come conferma – anche da parte della istituzione – che la sua denuncia mistica precorre (solo) troppo i tempi.

PAPA PACELLI Le polemiche sui cosiddetti silenzi di Pio XII, che salì al soglio pontificio alla morte di Pio XI nel ’39, alla vigilia della guerra, iniziano fin da subito e a più riprese si ripresentano costantemente fino ai nostri giorni. Non sono destinate a placarsi, come non lo sono ad avere risposta o soluzione perché la loro radice profonda sta in questa aporia, quella tra storia e profezia. Il problema non si risolve con la contabilità di quanti ebrei in più o in meno ha salvato Pio XII o di quanto una dichiarazione avrebbe potuto essere più dura.
Pacelli non è il pavido uomo dell’istituzione al di sotto degli eventi, come un certo stereotipo l’ha dipinto per tanto tempo. Già nunzio negli anni di Weimar capisce l’importanza della nuova Repubblica e contro lo stesso episcopato tedesco più conservatore sostiene la Costituzione e appoggia la partecipazione dei cattolici ai governi di centrosinistra. Sarà un Papa al centro delle più grandi trasformazioni del secolo, come hanno dimostrato le ricerche di Andrea Riccardi. Insomma, non si può schiacciare o ridurre Pio XII al papa dei silenzi, tanto meno alle sciocchezze di chi lo definisce il Papa di Hitler. Pio XII è ben consapevole.
Certo la Santa Sede sapeva ciò che avveniva in Germania. Essa era al corrente attraverso la stampa Alleata, le organizzazioni ebraiche, le singole personalità, tramite i nunzi apostolici, gli episcopati nazionali e i cappellani militari che riporteranno notizie su quello che vedranno in Polonia e in Russia.
Le informazioni dunque c’erano ma – come è noto – la motivazione sempre sostenuta è che la paura di moltiplicare le persecuzioni portava al riserbo, all’imparzialità, alla prudenza.
Riguardo alla situazione della Polonia occupata, Pio XII aveva detto: «Noi dovremmo dire parole di fuoco contro simili orribili cose e solo ci trattiene dal farlo il sapere che renderemmo la situazione di quegli infelici, se parlassimo, ancora più dura». D’altronde Pio XII era non solo informato ma pienamente consapevole anche di quanto fosse pesante il suo silenzio. E’ nota la ansiosa domanda che in una udienza del 10 ottobre del 1941 rivolse a Roncalli. «Mi chiese – scrive il futuro Giovanni XXIII – se il suo silenzio circa il contegno del nazismo non è giudicato male». Un silenzio consapevole per non mettere in pericolo la chiesa, i propri figli, la cattolicità: si dovrà aspettare un’altra stagione della chiesa perché essa consideri a pieno titolo suoi figli tutti gli uomini e in primo luogo i propri fratelli maggiori, gli ebrei.
Ecco quanto aveva profeticamente annunciato Edith Stein, che nel suo essere ebrea nel sangue e cattolica nella fede alza la voce in quei silenzi in nome della fedeltà al suo popolo e all’unico Dio.