(Avvenire) La tragedia del Sichuan

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 I due complessi della scuola media, di tre e quattro piani, si sono accartocciati seppellendo circa 800 persone. Un terzo edificio e almeno sette palazzi vicini hanno invece retto

 Cina, tragedia senza fine: è caos sui dispersi 

 DA CHENGDU ANTONIO TALIA

Davanti alla scuola media di Du Jian Yan c’era un campo da basket. A­desso è ridotto a un pantano in cui si agitano a centinaia tra soccorritori, geni­tori dei ragazzi scomparsi, abitanti dei din­torni. Qualcuno ha montato una tenda di fortuna tra i pali del canestro e ha trascor­so lì due notti, in attesa di notizie sui figli; un prete taoista si aggira tra le macerie e parla con le famiglie. Amici e parenti fan­no la spola tra il campo e le case, molte ri­dotte a un mucchio di assi e pietre, e por­tano cibo, acqua e sigarette a quelli che a­spettano. In tutta la zona sembra che due case su tre abbiano subito danni: Du Jian Yan è una cittadina a una quarantina di chi­lometri da Chengdu, la capitale della pro­vincia sudoccidentale del Sichuan, tra le a­ree più colpite dal terremoto di lunedì scor­so. I due complessi della scuola media, 3 e 4 piani, si sono accartocciati come lattine seppellendo circa 800 persone, ma un ter­zo edificio e almeno 7-8 palazzi vicini, con le stesse caratteristiche, hanno retto. Erano stati costruiti prima del 1994, l’anno in cui hanno edificato la scuola. «Stavo al terzo piano – dice un ragazzino di 13 anni con un occhio e un braccio fasciato – e sono riu­scito a uscire da solo. Nella mia classe c’e­rano 60 persone, ce l’abbiamo fatta in 50». «Finora», aggiunge speranzoso.
  Alle 11:30 di ieri, le 5:30 del mattino italia­ne, le autorità hanno deciso di abbattere lo scheletro di quello che restava del terzo pia­no di uno dei due palazzi per facilitare le ri­cerche.
 
Nel giro di qualche ora vengono e-
 Pechino

 stratti dalle macerie quattro cadaveri, tre ragazze e una donna. Ogni studente por­tava al petto una foto col numero di matri­cola, gli addetti col giubbino verde si fan­no strada tra il fango quando salta fuori un tesserino e cercano i genitori. In una delle tende all’estremità nord del campo giace un corpo senza nome, una ragazza. Dalla coperta spuntano solo i piedi; la gente si avvicina, la solleva, lancia un’occhiata, e va via. Li Feng era qui nel 1994 ed è qua ades­so; allora faceva l’operaio, adesso cerca la figlia: «Lo sapevamo. Sapevamo che i ma­teriali erano di pessima qualità, – sibila – ma l’hanno costruita lo stesso».
  Li vive in un villaggio di contadini a poca distanza, dimore misere in cui abita una quindicina di famiglie. Quasi tutte le case ha subito danni e si sono attrezzati come hanno potuto, montando dei rifugi nei campi che coltivano. La popolazione sta dando prova di grande forza: piangono in silenzio, poi si rimettono al lavoro. Eserci­to e polizia armata, inoltre, sembrano ave­re ricevuto l’ordine di non fare di questa ca­tastrofe anche una sconfitta mediatica. Il tempio taoista di Qing Cheng sorge su una collina mozzafiato, circondata dal verde. Regna una calma ir­reale, il terremoto sembra quasi lontano. Ma molte delle botte­ghe per turisti sulla strada sono state ab­battute e lo stesso tempio, che risale al terzo secolo dopo Cri­sto ed è uno dei 10 luoghi più importanti per i taoisti, ha subito crolli: una persona è morta e 15 sono rima­ste intrappolate; tutte salve. All’entrata la Wujing, la polizia ar­mata con compiti di ordine pubblico, im­pedisce l’accesso per ragioni di sicurezza, ma dà anche indica­zioni su come rag­giungere i villaggi at­torno alla collina. Si tratta di una serie di paesi in cui mancano completamente elet­tricità, le linee telefo­niche sono interrotte e le strade sconnesse sono state rese anco­ra più difficili dai crolli. A valle qualcuno stava costruendo “abitazioni di lusso”; a monte, adesso, si dorme per terra.
  Nel villaggio di Shingchiao Hou Shan i rifornimenti arrivano su una camionetta grigia guidata dal massiccio signor Liu, un riservista della Wujing. Distribuisce ra­zioni d’emergenza e parla: «Il giro è mas­sacrante e non sappiamo ancora quanti sono i villaggi in queste condizioni. L’ap­provvigionamento è difficile al momen­to, ma la situazione dovrebbe sbloccarsi domani». Il villaggio conterà due centi­naia di persone, ci sono molte mamme giovani con bambini piccoli, a cui viene riservata una doppia razione di acqua. Mancano i medici: dopo il signor Li arri­va una piccola ambulanza con un dotto­re e due infermieri, che curano i feriti al­loggiati in una tenda di fortuna e poi si lan­ciano a rotta di collo verso il villaggio suc­cessivo. A Shingchiao non ci sono feriti gravi, ma a le comunicazioni sono bloc­cate e i medici non sanno cosa li attende alla prossima curva. Le condizioni me­teorologiche peggiorano.
  Sulla strada del ritorno verso Chengdu il traffico è caotico: moto, ambulanze, ca­mion, biciclette che schizzano in tutte le direzioni. Bande di volontari irregolari hanno stampato cartelloni e li hanno af­fissi alle loro auto; distribuiscono medici­ne e coperte. Una moltitudine di persone si prepara per un’altra notte all’addiaccio.

 A Du Jian Yan, 40 chilometri da Chengdu, si scava ancora Dove c’erano scuole ora ci sono macerie. «I materiali erano di pessima qualità»

«Oltre 30mila, il doppio dei morti». Allarme per le dighe  

FRANCESCA BERTOLDI
 È
   cresciuto ancora il numero delle vittime del terremoto che ha devastato lunedì scorso la provincia cinese del Sichuan.
  L’ultima stima ufficiale fornita dal regime parla di 14.800 vittime. Mentre resta ancora incerto il numero dei dispersi: l’agenzia
Nuova Cina ha fornito cifre contraddittorie, parlando di circa mille dispersi. Ma nella sola città di Shifang mancherebbero all’appello 30mila persone.
  Diverse località però ad alcuni giorni dal sisma risultano ancora irraggiungibili, sfuggendo quindi del tutto alle statistiche. Intanto nelle aree colpite si continua a lavorare senza sosta. E a salvare vite: una bambina di appena 3 anni è stata ritrovata ancora viva nella contea di Beichuan a 43 ore dal disastro. A salvarle la vita corpi dei suoi genitori, morti a causa del sisma, impedendole di finire schiacciata dalla massa di detriti. Nelle zone più colpite dal peggior sisma registrato in Cina negli ultimi 30 anni si calcola
che sono crollati tutti i ponti, l’80 per cento delle case e il 70 per cento delle strade è inutilizzabile. Di fronte alle dimensioni del disastro, il regime ha deciso di impegnare maggiormente l’esercito. Sono ben 100mila gli uomini impegnati nei soccorsi, mentre ieri un primo gruppo di cento paracadutisti è stato lanciato nelle zone ancora inaccessibili della Cina occidentale. I soldati sono atterrati nel distretto di Maoxian, pochi chilometri a nord dell’epicentro del sisma, che è stato localizzato nella contea di Wenchuan. Una zona letteralmente rasa al suolo. Su diecimila abitanti che la cittadina di Yingxiu contava prima del disastro, ne sono rimasti in vita appena 2.300; i morti ammontano a 7.700 e, tra i superstiti, oltre mille lamentano gravi lesioni. Provviste, medicine e tende sono stati paracaduti in voli successivi dagli elicotteri dell’esercito. La Cina ha invece respinto l’offerta dell’Australia di mandare specialisti di ricerca e di soccorso per aiutare ad individuare superstiti. Un portavoce del ministro degli Esteri australiano Stephen Smith ha riferito che i cinesi hanno ringraziato Canberra per l’offerta, ma non l’hanno accettata. «Le difficoltà estreme di trasporto e comunicazione nella regione del terremoto sono tali, che a questo punto tale assistenza non può essere ricevuta», ha spiegato. La Cina ha ugualmente declinato una simile offerta della Corea del Sud, di mandare 41 specialisti di ricerca e 21 medici e paramedici. Anche offerte della repubblica Ceca e del Giappone sono state per ora respinte, mentre hanno ricevuto l’autorizzazione a recarsi in alcune precise zone terremotate alcuni volontari buddisti di Taiwan e della Croce rossa di Hong Kong. Infine desta preoccupazione la diga di Zipingpu, uno dei fiori all’occhiello del programma governativo per lo “sviluppo dell’Ovest”. Secondo un funzionario della prefettura di Aba, nella regione del Sichuan, quella della diga sarebbe «una situazione estremamente pericolosa». Per il regime la struttura è sotto stretto controllo.