(Avvenire) La condanna del totalitarismo negli anni ’30

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STORIA
Un volume curato da Renato Moro e Daniele Menozzi documenta la maturazione di una mentalità antitotalitaria durante il ’900

I cattolici: no allo Stato-dio



Di Antonio Airò


«Così si dice un po’ dappertutto , tutto deve essere dello Stato: ed ecco lo Stato totalitario come lo si chiama; nulla senza lo Stato, tutto allo Stato. Ma in ciò vi è una falsità così evidente che fa meraviglia che uomini, del resto seri e dotati di talenti, lo dicano e l’insegnino alle folle». In questi termini si esprimeva, nel settembre 1938, Pio XI, in un discorso ai sindacati cristiani francesi ricevuti in Vaticano. Nel suo diario, Giuseppe Bottai, leader fascista sempre più critico verso il regime, avrebbe rilevato, nello stesso anno, rifacendosi al documento inviato dal Vaticano alla Settimana sociale dei cattolici francesi che «la Chiesa prende posizione, progressivamente, contro lo Stato “totalitario£, fascista o non».
Il pontificato di papa Ratti stava per concludersi. Il papa sarebbe morto nel febbraio successivo. Ma proprio in quel 1938, l’anno delle leggi contro gli ebrei e dell’asse sempre più stretto tra Mussolini e Hitler, stava lavorando ad un’enciclica sull’unità del genere umano con la condanna esplicita del nazismo nelle sue aberrazioni razziali e del comunismo per il suo odio antireligioso. Non c’era più spazio nel documento del Papa per un totalitarismo “abusivo”, quello degli Stati negatori dei diritti delle persone. C’era però un regime totalitario, “di diritto e di fatto”, che poteva, o forse meglio doveva, essere salvaguardato , quello della Chiesa «perché l’uomo appartiene totalmente alla Chiesa, deve appartenerle, dato che l’uomo è creatura del buon Dio», come Pio XI aveva subito affermato nello stesso discorso ai sindacati francesi.
Non deve sorprendere questo riferimento a un duplice totalitarismo: civile e istituzionale, l’uno che si esprime nel fascismo, nel nazismo, nel comunismo, religioso l’altro. La Chiesa degli anni ’30 – scrivono gli storici Daniele Menozzi e Renato Moro – era ritenuta e si considerava essa stessa «modello ideale di organizzazione collettiva cui tutte le società avrebbero dovuto conformarsi». Con la consegu enza che «l’applicazione integrale delle direttive della Chiesa in materia sociale e politica potevano portare ad una organizzazione “intensivamente” totalitaria della collettività giudicata legittima ed anzi auspicabile». Certo, un conto era la Chiesa, società perfetta non solo per i cristiani, “corpo mistico” come l’avrebbe definita Pio XII, e quindi notevolmente distinta «dal comunitarismo fascista e nazista». ed un conto era lo Stato nazionalista ed imperialista, di Mussolini, di Hitler (ferma restando la condanna esplicita del regime stalinista per il suo ateismo). Lo Stato etico, che si sostituiva a Dio nel culto dei cittadini, che pretendeva di monopolizzare “tutto e tutti”, in una sorta di crescente neopaganesimo, non poteva essere accettato «perché il Dio dei credenti non poteva convivere con lo Stato-Dio». E’ alla luce di questa impostazione molto forte di Pio XI, teso all’affermazione di una nuova “nuova cristianità”, che debbono essere visti i documenti pontifici che condannano nel 1931, al momento dello scontro tra il regime e l’Azione cattolica, il fascismo, e quelli successivi contro il nazismo, fondamentalmente anticristiano, anche se in questo caso la Santa Sede cercò con il Concordato di ritagliare qualche spazio di libertà per la Chiesa tedesca e per le sue organizzazioni, e contro il comunismo.
Ma il rapporto tra la Chiesa e il totalitarismo in questi tormentati anni ’30 è segnato anche da una di ambivalenza che solo da poco gli storici hanno iniziato ad affrontare (e ne è prova il volume curato da Menozzi e da Moro) e che si presenta come una sorta di fotografia mossa di un quadro non ancora definito nei suoi contorni e su tre concetti chiave: autorità, nazione, unità.
Il punto di partenza di questo intreccio è costituito dall’enciclica Quas primas del 1925 che introduceva la festa liturgica di Cristo Re come antidoto «alla peste dell’età nostra» rappresentata dal laicismo. La dottrina del “regno sociale” contenuta nell’enciclica, specie do po la Conciliazione, divenne il tramite «attraverso cui larghi ambienti cattolici poterono di fatto aderire agli orientamenti delle correnti politiche della destra autoritaria e sostenerne gli indirizzi», anche se «un assoluto divino relativizza ovviamente ogni assoluto di origine mondana».
Solo all’indomani della guerra etiopica, che il mondo cattolico italiano sostenne largamente pur accentuando sempre più l’aspetto missionario rispetto a quello imperiale perseguito dal Duce, e dopo le leggi razziali, l’intreccio trai due diversi e distanti poteri, religioso e civile, cominciò a rompersi.
Già Giorgio La Pira, nel 1941, interpretando settori crescenti della Chiesa italiana spezza questa ambivalenza. Subito dopo la guerra, nel suo primo concistoro per la creazione dei nuovo cardinali , Pio XII poi affermava che«questo concetto della Chiesa come Impero terreno e dominazione mondiale» era «fondamentalmente falso». Ma già nel radiomessaggio natalizio del 1942 aveva dichiarato essere la democrazia il sistema più congeniale per i cattolici.

Daniele Menozzi e Renato Moro
Cattolicesimo e totalitarismo
Chiese e culture religiose fra le due guerre mondiali.
Italia, Spagna, Francia


Morcelliana
Pagine 412. Euro 28,00


Avvenire 18-9-2004