Intervista esclusiva con Padre Di Noia
della Congregazione per la Dottrina della Fede
CITTÀ DEL VATICANO, 8 dicembre 2003 (Zenit.org). – Diversi alti ufficiali del Vaticano hanno assistito ad una
proiezione privata del film “La Passione” di Mel Gibson e ne
sono rimasti entustasti.Componenti della Segreteria di Stato
del Vaticano, del Pontificio Concilio delle Comunicazioni
Sociali, e della Congregazione per la Dottrina della Fede,
il gruppo che supervisiona le questioni dottrinali
cattoliche, hanno espresso unanime approvazione e
apprezzamento del film.
Quella che segue è un’intervista esclusiva di ZENIT ad uno
degli spettatori, il Padre Domenicano Augustine Di Noia,
sottosegretario della Congregazione per la Dottrina della
Fede.
Padre Di Noia ha insegnato teologia a Washington D.C., per
20 anni e ha prestato servizio come teologo per la
Conferenza Episcopale degli Stato Uniti prima di venire a
lavorare per il cardinale Joseph Ratzinger presso la
Congregazione dottrinale, poco più di un anno fa. Il film
(http://www.passion-movie.com/) dovrebbe uscire nelle sale
nel 2004.
Q: “La Passione del Cristo” di Mel Gibson ha fatto notizia
da mesi – molto prima del periodo previsto per l’uscita
nelle sale. In qualità di spettatore, qual è la sua
impressione globale sul film?
Padre Di Noia: Guardare questo film, costituirà un’esperienza
profondamente religiosa per molti.
Per me lo è stata.
Una cinematografia eccezionale e una recitazione altrettanto
brillante, combinate con la profonda introspezione spirituale
del regista sul significato teologico della passione e morte
di Cristo – tutto ha contribuito ad una produzione di
squisita sensibilità artistica e religiosa.
Chiunque veda questo film – credente o non credente – sarà
costretto a confrontarsi con il mistero centrale della
passione di Cristo e in definitiva con il Cristianesimo
stesso: se questo è il rimedio, quale dovrà essere stato
il male?
Il Curato d’Ars sostiene che nessuno possa avere cognizione
di cosa Nostro Signore abbia sofferto per noi; per capirlo,
dovremmo conoscere tutto il male causato dal peccato, e
questo non lo potremo sapere fino al momento della nostra
morte.
Solo come una grande opera d’arte può fare, il film di Mel
Gibson ci aiuta a cogliere qualcosa che è quasi al di là
della nostra comprensione.
All’inizio, nell’Orto del Getsemani, il diavolo tenta Cristo
con la domanda inevitabile: come può qualcuno sopportare i
peccati del mondo intero?
È troppo.
Cristo quasi soccombe all’idea, ma poi prosegue con
convinzione per portare avanti esattamente questo – per
accogliere su di sé, secondo la volontà del Padre, i
peccati del mondo intero.
È davvero impressionante.
Vi è un forte senso, presente per tutto il film, del dramma
cosmico del quale siamo tutti parte. Non c’è possibilità di
rimanere neutrali, e nessuno può semplicemente restare
spettatore di questi eventi.
La posta in gioco è davvero molto alta – qualcosa che, a
parte Cristo stesso, è intuita chiaramente solo da Maria
sua madre e dal demonio sempre presente.
Gradualmente lo spettatore si unisce ai personaggi in una
progressiva comprensione di questo, mentre che l’azione si
sposta inesorabilmente dal Monte degli Ulivi verso il Monte
Calvario.
D: Il film è fedele alla narrazione della passione di Cristo
del Nuovo Testamento?
Padre Di Noia: Bisogna tener presente che vi sono quattro
racconti della passione di Cristo nel Nuovo Testamento, che
si concentrano soprattutto sul significato religioso degli
eventi.
Nel “La morte del Messia” – probabilmente il più completo ed
equilibrato racconto della Passione – Padre Raymond Brown
ha dimostrato che, pur essendovi alcune differenze tra i
Vangeli, essi sono in generale sostanzialmente univoci.
Il film di Mel Gibson non è un documentario ma un’opera di
artistica immaginazione.
Il regista ha incorporato elementi dalla Passione raccontata
da Matteo, Marco, Luca e Giovanni, ma rimane fedele alla
struttura fondamentale comune ai quattro Vangeli.
Entro i limiti possibili in una ricostruzione immaginifica
della passione di Cristo, il film di Gibson e pienamente
fedele al Nuovo Testamento.
D: Che cosa l’ha colpita di più riguardo a questo film?
Padre Di Noia: Vuole una risposta semplice? Jim Caviezel e
Maia Morgenstern.
Il ruolo di Cristo deve essere uno dei più difficili ruoli
da interpretare.
Sono stato molto colpito dall’intensità con cui Caviezel ha
rappresentato Cristo.
Non è facile da ottenere senza manifestare una sorta di
autocoscienza intrusiva.
Caviezel – e sicuramente anche Gibson – comprendono che Gesù
è il Figlio di Dio incarnato, ed è al contempo pienamente
umano.
Ripensando al film, mi pare che Caviezel ottiene questo
principalmente mediante il suo sguardo, anche quando
guarda direttamente noi e quelli che lo circondano con il
suo occhio sano.
Caviezel rende, in modo pienamente convincente ed efficace,
il Cristo che sopporta la passione e la morte volontariamente,
in obbedienza al Padre suo, in riparazione della disobbedienza
del peccato.
Assistiamo a ciò che la Chiesa chiamerebbe la “sofferenza
volontaria” di Cristo.
Richiama le parole di San Paolo: “Come per la disobbedienza
di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così
anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti
giusti” [Romani 5:19].
E non è solo questione di obbedienza, ma è principalmente
questione di amore.
Cristo compie tutto per amore al Padre – e a noi.
Questo emerge tecnicamente in maniera lampante nell’eccezionale
interpretazione di Cristo da parte di Jim Caviezel.
Ma la Maria di Maia Morgenstern è egualmente efficace.
Mi ha ricordato qualcosa che Sant’Anselmo aveva detto in
un’omelia sulla Madre Benedetta: Senza il Figlio di Dio,
nulla potrebbe esistere; senza il Figlio di Maria, nulla
potrebbe essere redento.
Ammirando l’interpretazione della Mrogenstern, si sente
fortemente che Maria “lascia andare” il suo Figlio affinché
lui possa operare la salvezza, e unendosi alle sue sofferenze
diventa la Madre di ogni redento.
D: Alcuni hanno sostenuto che il film è eccessivamente
violento. Lei che ne pensa?
Padre Di Noia: Più che violento direi che è brutale.
Cristo è trattato in modo brutale dai soldati romani.
Ma non vi è violenza gratuita.
La sensibilità artistica all’opera è chiaramente più quella
del Grünwald e del Caravaggio, piuttosto che quella del
Beato Angelico o del Pinturrichio.
Stiamo parlando di un film, certamente, ma Gibson ha
chiaramente subito l’influenza della raffigurazione delle
sofferenze di Cristo della pittura Occidentale.
Il corpo di Cristo estremamente malridotto – graficamente
ritratto in questo film eccezionale – deve essere posto
in questo contesto di artistica rappresentazione.
Ciò che molti artisti meramente suggeriscono, Gibson ce
lo vuole mostrare.
Pienamente in linea con la Tradizione teologica cristiana,
Gibson ci rappresenta il Figlio incarnato che è capace di
sopportare ciò che una persona ordinaria non può – sia in
termini fisici che di tormento mentale.
Il corpo rovinato di Cristo deve essere contemplato
con gli occhi del profeta Isaia che descrive il Servo
sofferente sfigurato e irriconoscibile.
La bellezza fisica di Jim Caviezel serve ad accentuare
l’impatto generale della progressiva deturpazione che
Cristo subisce sotto i nostri occhi – con il terribile
risultato che, come il Servo sofferente,
“Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri
sguardi, non splendore per provare in lui diletto”
[Isaia 53:2].
Richiede gli occhi della fede per vedere che lo sfiguramento
del corpo di Cristo rappresenta lo sfiguramento spirituale e
il disordine causato dal peccato.
La raffigurazione di Gibson del Cristo flagellato – dal
quale molti spettatori potrebbero essere tentati di volgere
via lo sguardo – presenta graficamente ciò che San Paolo
disse nella seconda lettera ai Corinzi: “Colui che non aveva
conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro
favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui
giustizia di Dio” [5:21].
Quando guardiamo il corpo rovinato di Cristo in questo
film capiamo cosa significa “lo trattò da peccato”.
D: Nel corso degli anni, molti registi si sono cimentati
con film su Gesù o sulla passione. Ritiene che il film di
Mel Gibson sia particolarmente originale?
Padre Di Noia: Non sono un critico cinematografico.
Saranno i critici a giudicare il film di Gibson e a
confrontarlo con ad altre grandi descrizioni della vita
e della passione di Cristo, quali quelle di Pasolini e
di Zeffirelli.
Come gli altri registi, Mel Gibson apporta la propria
sensibilità artistica all’argomento, e in questo senso
il film è assolutamente originale.
Certamente, “La passione del Cristo” è più intensamente
incentrata sulla sofferenza e la morte di Cristo che la
maggior parte di altri film del genere.
Ma, come reazione iniziale, tre cose del film di Gibson
mi colpiscono per essere alquanto particolari.
Una è la rappresentazione del diavolo, che libra sullo
sfondo, e a volte in primo piano, come una costante e
sinistra presenza minacciosa.
Non mi viene in mente un altro film che abbia ottenuto
questo effetto con tale drammatica efficacia.
Un altro elemento è la solitudine di Cristo: In qualche
modo, anche se circondato dalle folle, il film mostra
Gesù realmente da solo nel sostenere la terribile
sofferenza.
Infine, la rappresentazione dell’Ultima cena con una
serie di flashback inseriti nell’azione del film.
Quando giace sul pavimento insanguinato dopo la
flagellazione, Cristo guarda i piedi cosparsi di sangue
di uno dei soldati e i film torna in modo significativo
alla lavanda dei piedi durante l’Ultima cena.
Simili flashback nel corso della passione e crocifissione
ci riportano allo spezzare del pane e al bere dal calice.
Gli spettatori, attraverso gli occhi di Cristo, assistono
alle parole: “questo è il mio corpo” e “questo è il mio
sangue”.
Il significato sacrificale e quindi eucaristico del
Calvario è raffigurato mediante questi persistenti
flashback.
Vi è una sensibilità cattolica molto efficace.
Nella recente enciclica sull’Eucaristia, il Papa Giovanni
Paolo II diche che Cristo ha istituito il memoriale della
sua passione e della sua morte prima della sua sofferenza
– anticipando il sacrificio della croce.
Nell’immaginazione artistica di Mel Gibson, Cristo
“ricorda” l’Ultima cena anche mentre pone in essere il
sacrificio che essa commemora.
Per molti cattolici che vedono queste immagini, la Messa
non sarà più la stessa.
In ogni caso, prescindento da questioni di originalità,
il film di Mel Gibson sarà indubbiamente annoverato tra
i migliori.
D: Il film “La Passione” incolpa qualcuno per ciò che è
successo a Cristo?
Padre Di Noia: Questa è una domanda interessante e molto
difficile.
Ipotizziamo di porre la domanda a qualcuno che non abbia
familiarità con racconti del Vangelo sulla passione.
Se gli si chiede: “Chi è il colpevole di ciò che è successo
a Gesù?”, dopo qualche riflessione egli risponderà: “Beh,
lo sono tutti, no?”.
Questa risposta mi sembra quella esatta.
Guardando “La Passione” strettamente dal punto di vista
della rappresentazione cinematografica, ciò che succede
nel film è che ciascuno dei personaggi principali
contribuisce in qualche modo al destino di Gesù: Giuda
lo tradisce; il Sinedrio lo accusa; i discepoli lo
abbandonano; Pietro lo rinnega; Erode ci gioca; Pilato
consente la sua condanna; la folla lo schernisce; i
soldati romani lo flagellano, gli infliggono ogni sorta
di dolore e infine lo crocifiggono; e il diavolo, in
qualche modo, sta dietro a tutte queste azioni.
Tra tutti i personaggi principali della storia, solo quello
di Maria è veramente senza colpa.
Il film di Gibson rende molto bene questo aspetto dei
racconti della Passione.
Nessuna persona e nessun gruppo di per sé, indipendentemente
dagli altri, è da considerare responsabile: lo sono tutti.
D: Sta dicendo che nessuno in particolare è responsabile
della passione e morte di Cristo?
Padre Di Noia: Beh, ritengo di si – certamente dal punto di
vista della rappresentazione cinematografica.
Ma anche dal punto di vista teologico, Mel Gibson ha
raffigurato in modo molto efficace questo elemento che
è centrale nella visione cristiana della passione e
morte di Cristo.
La storia racconta di come i peccati di tutte queste persone
cospirano al verificarsi la passione e morte di Cristo, e
quindi suggerisce la verità fondamentale per la quale siamo
tutti responsabili.
I loro peccati e i nostri peccati mandano Cristo sulla croce,
e lui li prende su di sé volontariamente.
È per questo che costituisce una lettura seriamente erronea
quella che vorrebbe assegnare la colpa a un personaggio o a
un gruppo, o ancor più quella che cerca di esimere qualcuno
dalla responsabilità.
Il problema, in quest’ultimo caso, è che se non sono tra i
colpevoli, come posso essere tra coloro che condividono i
benefici della croce?
Torna alla mente un verso di un canto natalizio: “As far
as the curse extends, so far does his mercy flow” (“Nella
misura in cui si estende il male, scaturisce anche la sua
grazia”).
Dobbiamo renderci conto che i nostri peccati sono tra
quelli che Cristo ha preso su di sé, in modo da essere
ricompresi nella sua preghiera:
“Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
Auguriamoci di non essere lasciati fuori da questa
preghiera.
Il lettore cristiano è chiamato a trovare il proprio posto
nell’ambito di questa raffigurazione della redenzione.
Questo è chiaro nella lettura della Passione durante la
liturgia cattolica della Settimana Santa, quando
l’assemblea si accomuna alla folla che urla “crocifiggilo”.
In modo paradossale la liturgia ci aiuta ad accogliere come
preghiera queste grida altrimenti orrende. Naturalmente
non “desideriamo” letteralmente che Cristo soffra la
crocifissione, ma sì vogliamo essere salvati dai nostri
peccati.
Dal punto di vista della fede, anche l’agghiacciante
“che il suo sangue ricada su di noi e sui nostril figli”
deve essere compreso non come una maledizione ma come
una preghiera.
Esattamente ciò di cui noi abbiamo bisogno – e che la
folla radunata davanti a Pilato inconsciamente chiedeva –
è di essere “lavati nel Sangue dell’Agnello”, come
esprime l’Apocalisse.
D: Vi è stata molta polemica sul presunto antisemitismo o
antigiudaismo del film. Può condividere con ZENIT il suo
pensiero al riguardo?
Padre Di Noia: Parlando in qualità di teologo cattolico
sarei portato a condannare antisemitismo o antigiudaismo in
qualsiasi racconto della passione e morte di Cristo – e
non solo per le terribili offese che sono già state inflitte
al popolo ebreo, ma anche perché, come ho già accennato,
questo rappresenta una lettura profondamente erronea dei
racconti della passione.
Ma mi consenta di rispondere schiettamente alla sua domanda.
Non vi è assolutamente nulla di antisemitico o antigiudaico
nel film di Mel Gibson.
È deplorevole che persone che non hanno visto il film, ma
che hanno solo visto alcune bozze del copione, abbiano
dato adito all’accusa che il film “La Passione del Cristo”
fosse antisemita.
Io sono convinto che una volta che il film sarà uscito e
le persone abbiano avuto la possibilità di vederlo,
l’accusa di antisemitismo semplicemente evaporerà.
Il film non esagera né minimizza il ruolo delle autorità
giudaiche e dei procedimenti legali relativi alla condanna
di Gesù.
Ma proprio perché presenta un quadro complessivo di ciò
che potrebbe definirsi il “calcolo della colpa” nella
passione e morte di Cristo, il film tenderebbe più a
sopire l’antisemitismo negli spettatori, piuttosto
che a fomentarlo.
Da un punto di vista teologico, ciò che è ancora più
importante è che il film propone ciò che gli evangelisti
e la Chiesa hanno sempre visto con chiarezza: ciò che
Cristo esperienza nel cammino dal Getsemani al Golgota,
e oltre, sarebbe totalmente incomprensibile se si
prescindesse dall’Alleanza di Dio con Israele.
Il quadro concettuale è composto quasi interamente dalla
storia e letteratura, dai profeti e gli eroi, dalle storie
e le leggende, dai simboli, dai riti, dalle osservanze e
in definitiva dall’intera cultura ebraica.
È questa cornice che rende intelligibile e esprimibile la
necessità naturale per una soddisfazione e redenzione di
fronte al peccato umano e la decisione amorevole di Dio
di venire incontro a questa necessità.
Lungi dall’incitare all’antisemitismo o all’antigiudaismo,
il film di Gibson porterà gli spettatori ad approfondire
la loro comprensione di questo contesto indispensabile
della passione e morte del Gesù di Nazaret, del Servo
sofferente.
D: Quale sarà l’impatto del film?
Padre Di Noia: Come è noto, nella storia cristiana, i fedeli
sono stati incoraggiati a meditare sulla passione di Cristo.
La spiritualità di ogni grande santo – vengono subito alla
mente San Francesco, San Domenico, Santa Caterina da Siena
– è stata marcata da una devozione alla passione di Cristo.
Perché? Perché hanno riconosciuto che non esiste via più
sicura per far sgorgare dal cuore umano quell’amore capace
di rispondere adeguatamente all’amore di Dio che ha dato
il suo Figlio per noi.
Credo che il film di Mel Gibson muoverà le persone a questo
tipo di amore.
Il cuore dovrebbe essere di pietra per rimanere impassibile
di fronte a questo film straordinario e dall’impenetrabile
profondità dell’amore divino che esso tenta di rendere vivo
sullo schermo.