La sentenza sul teologo Jon Sobrino ha di mira un intero continente
Indicando gli errori di due libri, il Vaticano ha voluto soprattutto mettere in guardia i loro lettori: vescovi, preti, laici dell’America latina. È il preludio del prossimo viaggio di Benedetto XVI in Brasile. Al centro di tutto, la questione su chi è il vero Gesù
di Sandro Magister
ROMA, 20 marzo 2007 – Lo scorso mercoledì delle ceneri, giorno d’inizio della Quaresima, un piccolo frate del Perù, con l’abito bianco e nero dei domenicani, si presentò davanti a Benedetto XVI che officiava il rito nella basilica romana di Santa Sabina. Il papa impose le ceneri sul suo capo.
Quel frate era Gustavo Gutiérrez, autore nel 1971 del libro “Teologia della liberazione”, che diede inizio alla corrente teologica dello stesso nome.
Nel 1984 e poi nel 1986 questa teologia fu criticata severamente da due documenti della congregazione per la dottrina della fede, firmati dall’allora cardinale Joseph Ratzinger. Eppure essa influenza tuttora larghi strati della Chiesa latinoamericana, nella mentalità e nel linguaggio.
I suoi maggiori esponenti non hanno tutti percorso la stessa strada. Gutiérrez ha corretto alcune sue posizioni iniziali, è entrato nell’ordine domenicano e all’inizio di questa Quaresima è stato chiamato a tenere un corso di teologia in una blasonata università pontificia di Roma, l’Angelicum, quella in cui studiò Karol Wojtyla.
Invece un altro celebre teologo della liberazione, il gesuita Jon Sobrino, basco emigrato nel Salvador, cofondatore in questo paese dell’Università del Centro America, UCA, ha tenuto ferme le sue posizioni anche dopo che la congregazione per la dottrina della fede ha messo sotto esame due suoi libri.
E dice di non volersi piegare nemmeno oggi che alcune sue tesi sono state giudicate “erronee e pericolose”.
La sentenza è stata presentata a Benedetto XVI – che l’ha approvata – dal suo successore alla testa della congregazione, il cardinale William Levada, il 13 ottobre 2006. È stata firmata e resa esecutiva il 26 novembre successivo. Ed è stata resa pubblica lo scorso 14 marzo.
Ma già il 13 dicembre 2006, in una lettera al superiore generale dei gesuiti, Peter Hans Kolvenbach, che aveva fatto da tramite tra lui e la congregazione, Sobrino ha scritto di non poter accettare la sentenza.
Nella lettera, Sobrino contrappone al giudizio ostile espresso dalla Santa Sede sui suoi libri i giudizi favorevoli che hanno accompagnato la loro pubblicazione: l’imprimatur del cardinale Paulo Evaristo Arns, all’epoca arcivescovo di San Paolo del Brasile, e le recensioni positive di teologi autorevoli, anche europei.
Uno di questi, il gesuita francese Bernard Sesboué, consultore del pontificio consiglio per l’unità dei cristiani e già membro della commissione teologica internazionale, avrebbe anche criticato – stando a quanto scrive Sobrino – il metodo “deliberatamente sospettoso” con cui il Vaticano conduce le sue indagini: un metodo col quale “si troverebbero eresie anche nelle encicliche di Giovanni Paolo II”.
I libri inquisiti di Sobrino sono due: “Jesucristo liberador. Lectura histórico-teológica de Jesús de Nazaret”, del 1991, e “La fe en Jesucristo. Ensayo desde las víctimas”, del 1999, entrambi tradotti in varie lingue, in italiano dall’editrice Cittadella, di Assisi.
Nel luglio del 2004 la congregazione per la dottrina della fede trasmise a Sobrino un elenco delle tesi “erronee e pericolose” rinvenute nei due libri.
Nel marzo del 2005 Sobrino inviò alla congregazione le sue risposte. Che furono ritenute “non soddisfacenti”.
Nella sua lettera del 13 dicembre 2006 al generale dei gesuiti, Sobrino fa però risalire molto più addietro, al 1975, l’inizio delle ostilità vaticane contro di lui e contro altri teologi e vescovi fautori della teologia della liberazione.
Indica uno degli avversari più accaniti nel cardinale Alfonso Lopez Trujillo e lamenta che il continuo rinvio, in Vaticano, della causa di beatificazione dell’arcivescovo di San Salvador, Oscar Romero, martirizzato nel 1980, abbia tra i suoi moventi proprio l’amicizia tra Romero e lui, Sobrino.
Va ricordato che nel 1989, il 16 novembre, furono assassinati a San Salvador il rettore dell’Università del Centro America, Ignacio Ellacuría, anch’egli famoso teologo della liberazione, e altri cinque suoi confratelli gesuiti, Segundo Montes, Ignacio Martín Baró, Amando López, Juan Ramón Moreno, Joaquín López-López, più la cuoca Julia Elba Ramos e sua figlia Celina. Sobrino sfuggì al massacro solo perché all’estero per un convegno.
Nella lettera, Sobrino non risparmia critiche nemmeno all’allora cardinale Ratzinger. Lo accusa di aver travisato il suo pensiero, in un articolo contro la teologia della liberazione pubblicato nel 1984 sul settimanale di Comunione e Liberazione “30 Giorni”.
Tra i vescovi osteggiati da Roma perché simpatizzanti con i teologi della liberazione Sobrino ricorda, oltre a Romero, il brasiliano Helder Camara, il messicano Samuel Ruiz e Leonidas Proaño dell’Ecuador.
Sobrino conclude che sottomettersi oggi alla sentenza emessa contro di lui dalla congregazione “sarebbe di poco aiuto per i poveri di Gesù e per la Chiesa dei poveri”. Equivarrebbe ad arrendersi a trent’anni di diffamazione e di persecuzione contro la teologia della liberazione. Significherebbe darla vinta a metodi vaticani che “non sono sempre onesti ed evangelici”.
“Extra pauperes nulla salus”, scrive Sobrino nella lettera, mettendo i poveri al posto della Chiesa nell’antico detto secondo cui “fuori della Chiesa non c’è salvezza”.
Ed é proprio questa una delle tesi che la congregazione per la dottrina della fede imputa a Sobrino come erronea: l’aver eletto i poveri a “luogo teologico fondamentale” – cioé a principale fonte di conoscenza –, al posto della “fede apostolica trasmessa attraverso la Chiesa a tutte le generazioni”.
La sentenza vaticana riconosce a Sobrino di prendersi giustamente cura dei poveri e degli oppressi – che è imperativo essenziale per tutti i cristiani – ma lo accusa di sminuire, in nome della liberazione dei poveri, i tratti essenziali di Gesù: la sua divinità, il valore salvifico della sua morte.
“Non si può impoverire Gesù con l’illusione di promuovere i poveri”, ha scritto il vescovo e teologo Ignazio Sanna, membro della commissione teologica internazionale, in un commento alla sentenza pubblicato il 15 marzo sul quotidiano della conferenza episcopale italiana “Avvenire”.
E “impoverire” Gesù significa non riconoscere la sua divinità, considerarlo semplicemente come uomo, sia pure come liberatore esemplare.
La sentenza della congregazione termina senza infliggere a Sobrino alcuna punizione. Ma la cosa non deve sorprendere, perché in effetti, più che al teologo inquisito, essa intende rivolgersi ai suoi numerosi lettori ed estimatori: vescovi, preti, laici.
Sono questi che il documento vaticano vuole mettere in guardia.
Alla metà di maggio, al santuario brasiliano dell’Aparecida, le conferenze episcopali dell’America latina terranno la loro quinta assemblea generale. A inaugurarla sarà Benedetto XVI in persona.
La pubblicazione della sentenza contro Sobrino anticipa dunque una delle indicazioni che il papa detterà alla Chiesa latinoamericana, i cui quadri dirigenti sono in buona parte influenzati dallo spirito della teologia della liberazione.
Una questione che Benedetto XVI giudica di importanza capitale – come prova il nuovo libro che si appresta a pubblicare – è strettamente connessa alla precedente. Ed è la questione di Gesù vero Dio e vero uomo.
Smarrire la verità su Gesù – come accade, a giudizio della congregazione per la dottrina della fede, nei libri del principale autore di cristologia dell’America latina, Sobrino – equivale a smarrire la verità della Chiesa, il senso della sua missione nel mondo.
Proprio come dice il titolo assegnato da Benedetto XVI all’assemblea generale in programma all’Aparecida: “Discepoli e missionari di Gesù Cristo, perché i nostri popoli abbiano la vita in Lui”. Assieme a queste parole di Gesù nel Vangelo di Giovanni: “Io sono la via, la verità, la vita”.