(www.chiesa) B.XVI: La violenza si vince con l’amore

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Al summit sul Medio Oriente Benedetto XVI predica la croce di Gesù
Meno politica, il minimo essenziale, e più fede cristiana: è la nuova linea voluta dal papa per la Chiesa. Mentre gli eserciti combattono e le diplomazie trattano, in una piccola parrocchia di montagna egli dice…

di Sandro Magister ROMA, 26 luglio 2006 – Nelle stesse ore in cui si apre nella capitale italiana la conferenza internazionale sulla guerra in Libano – con rappresentanti di Nazioni Unite, Banca Mondiale, Stati Uniti, Canada, Europa, Russia, paesi musulmani e Vaticano – la posizione di Benedetto XVI si distacca in tutta la sua nitidezza e originalità.

Per coglierla, basta leggere le brevi parole da lui pronunciate domenica 23 luglio in due diversi momenti, entrambi di preghiera.

Il primo momento è stato l’Angelus di mezzogiorno, l’unico nel quale Benedetto XVI ha dato le coordinate politiche essenziali della posizione della Santa Sede sul conflitto.

Il papa ha detto che una pace stabile nella regione ha questi tre capisaldi:

“il diritto dei libanesi all’integrità e sovranità del loro paese, il diritto degli israeliani a vivere in pace nel loro stato e il diritto dei palestinesi ad avere una patria libera e sovrana”.

Ha chiesto alle parti in conflitto un cessate il fuoco e l’apertura di negoziati “con il sostegno della comunità internazionale”.

E ha insistito in particolare sul dovere dell’aiuto “umanitario” alle popolazioni vittime della guerra, sia in Libano che in Galilea.

Ma il punto chiave del messaggio di Benedetto XVI all’Angelus è stato un altro. È stato il suo invito a fare di quella domenica “una speciale giornata di preghiera e di penitenza per implorare da Dio il dono della pace”. Invito esteso non solo ai cristiani cattolici, ma “a tutti i credenti”.

Sul finire del suo breve messaggio il papa ha così ricordato santa Brigida, la cui festa cadeva in quel giorno:

“Santa Brigida venne dalla Svezia in Italia, visse a Roma e si recò anche in pellegrinaggio in Terra Santa. Con la sua testimonianza ella ci parla di apertura verso popoli e civiltà diverse. Chiediamole di aiutare l’umanità di oggi a creare grandi spazi di pace. Ottenga in particolare dal Signore la pace in quella Terra Santa verso la quale ebbe profondo affetto e venerazione”.


* * *

Benedetto XVI mostra dunque di non aver dubbi: l’apporto specifico che la Chiesa può dare alla pace nel mondo non è politico, ma essenzialmente religioso. Con al centro la croce di Gesù.

E infatti nel pomeriggio – nel suo secondo breve intervento – solo su questo è tornato ad insistere: su Gesù e sulla sua sequela.

Il papa si è recato a Rhemes Saint-Georges, in una piccola parrocchia di montagna, e alle persone che gremivano la chiesetta ha dettato una meditazione sul brano di san Paolo letto nelle messe di quella domenica.

Il brano era tratto dalla Lettera agli Efesini, 2, 13-18:

“Ora in Cristo Gesù voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto perciò ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito”.

E così Benedetto XVI l’ha commentato. La meditazione è durata sette minuti. Il papa non leggeva ma improvvisava. Ecco la trascrizione integrale delle sue parole, assolutamente da leggere:


Come essere forze di pace nel mondo

di Benedetto XVI


Solo una breve parola di meditazione sulla lettura che abbiamo ascoltato. Ci colpisce nel sottofondo della situazione drammatica del Vicino Oriente la bellezza della visione illustrata dall’apostolo Paolo: Cristo è la nostra pace. Ha riconciliato gli uni e gli altri, ebrei e pagani, unendoli nel suo corpo. Ha superato l’inimicizia nel suo corpo, sulla croce. Con la sua morte ha superato l’inimicizia e ci ha uniti tutti nella sua pace.

Ci colpisce, però, ancor più della bellezza di questa visione, il contrasto con la realtà che viviamo e vediamo. E non possiamo far altro, in un primo momento, che dire al Signore: “Ma Signore, che cosa ci dice il tuo apostolo: ‘Sono riconciliati’?”. Noi vediamo, in realtà, che non sono riconciliati… C’è ancora guerra tra cristiani, musulmani, ebrei; e ci sono altri che fomentano la guerra e tutto è ancora pieno di inimicizia, di violenza. Dove sta l’efficacia del tuo sacrificio? Dove è nella storia questa pace della quale ci parla il tuo apostolo?

Non possiamo noi uomini risolvere il mistero della storia, il mistero della libertà umana di dire “no” alla pace di Dio. Non possiamo risolvere tutto il mistero della relazione Dio-uomo, del suo agire e del nostro rispondere. Dobbiamo accettare il mistero. Ci sono tuttavia elementi di risposta che il Signore ci dà.

Un primo elemento – questa riconciliazione del Signore, questo suo sacrificio – non è rimasto senza efficacia. C’è la grande realtà della comunione della Chiesa universale, di tutti i popoli, la rete della comunione eucaristica, che trascende le frontiere di culture, di civiltà, di popoli, di tempi. C’è questa comunione, ci sono queste “isole di pace” nel Corpo di Cristo. Ci sono. E sono forze di pace nel mondo. Se guardiamo alla storia, possiamo vedere i grandi santi della carità che hanno creato “oasi” di questa pace di Dio nel mondo, che hanno sempre di nuovo acceso la sua luce, ed erano sempre di nuovo anche capaci di riconciliare e di creare la pace. Ci sono i martiri che hanno sofferto con Cristo, hanno dato questa testimonianza della pace, dell’amore che mette un limite alla violenza.

E vedendo che la realtà della pace c’è – anche se l’altra realtà è rimasta – possiamo andare più in profondità nel messaggio di questa Lettera di san Paolo agli Efesini. Il Signore ha vinto sulla croce. Non ha vinto con un nuovo impero, con una forza più potente delle altre e capaci di distruggerle; ha vinto non in modo umano, come noi immaginiamo, con un impero più forte dell’altro. Ha vinto con un amore capace di giungere fino alla morte. Questo è il nuovo modo di vincere di Dio: alla violenza non oppone una violenza più forte. Alla violenza oppone proprio il contrario: l’amore sino alla fine, la sua croce. Questo è il modo umile di vincere di Dio: con il suo amore – e solo così è possibile – mette un limite alla violenza. Questo è un modo di vincere che ci appare molto lento, ma è il vero modo di vincere il male, di vincere la violenza e dobbiamo affidarci a questo modo divino di vincere.

Affidarci vuol dire entrare attivamente in questo amore divino, partecipare a questo lavoro di pacificazione, per essere in linea con quanto il Signore dice: “Beati i pacificatori, gli operatori di pace, perché sono loro i figli di Dio”. Dobbiamo portare, per quanto possiamo, il nostro amore a tutti i sofferenti, sapendo che il giudice del giudizio ultimo si identifica con i sofferenti. Quindi, quanto facciamo ai sofferenti lo facciamo al giudice ultimo della nostra vita. Questo è importante: che in questo momento possiamo portare questa sua vittoria al mondo, partecipando attivamente alla sua carità.

Oggi in un mondo multiculturale e multireligioso, molti sono tentati di dire: “Meglio per la pace nel mondo tra le religioni, le culture, non parlare troppo delle specificità del cristianesimo, cioè di Gesù, della Chiesa, dei sacramenti. Accontentiamoci delle cose che possono essere più o meno comuni…”. Ma non è vero. Proprio in questo momento – nel momento di un grande abuso del nome di Dio – abbiamo bisogno del Dio che vince sulla croce, che vince non con la violenza, ma con il suo amore. Proprio in questo momento abbiamo bisogno del volto di Cristo, per conoscere il vero volto di Dio e per portare così riconciliazione e luce a questo mondo. Perciò insieme con l’amore, con il messaggio dell’amore, con tutto quanto possiamo fare per i sofferenti in questo mondo, dobbiamo portare anche la testimonianza di questo Dio, della vittoria di Dio proprio mediante la non violenza della sua croce.

Ritorniamo così al punto di partenza. Quanto possiamo fare è rendere la testimonianza dell’amore, la testimonianza della fede; è soprattutto elevare un grido a Dio: possiamo pregare! Siamo sicuri che il Padre nostro ascolta il grido dei suoi figli. Nella messa, preparandoci alla santa comunione, a ricevere il Corpo di Cristo che ci unisce, preghiamo con la Chiesa: “Liberaci, o Signore, da tutti i mali, concedi la pace ai nostri giorni”. Questa sia la nostra preghiera in questo momento: “Liberaci da tutti i mali e donaci la pace”. Non domani o dopodomani: donaci, Signore, la pace oggi! Amen.

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Le parole di Benedetto XVI all’Angelus:

> Angelus, 23 luglio 2006