(il Tempo) Non c’è pace senza rispetto della vita

  • Categoria dell'articolo:Papa

Sharing is caring!

Ratzinger, rispettate il diritto alla vita


Nella giornata Mondiale della Pace il Papa si oppone a tutte le possibili derive dell’eutanasia

DIFENDERE la vita e la libertà religiosa significa difendere la pace. Infatti solo rispettando la persona e il suo diritto inalienabile alla vita, dal momento del concepimento alla morte naturale, si può promuovere la pace e si possono gettare le basi per un umanesimo integrale. Benedetto XVI lo ha ripetuto più volte dall’inizio del suo Pontificato e questa affermazione sarebbe contenuta anche nel messaggio per la Giornata Mondiale della pace, il cui testo sarà diffuso oggi dalla Sala Stampa della Santa Sede. Nella visione di Papa Ratzinger, difendere la vita significa non solo opporsi alla piaga dell’aborto e alle pericolose derive dell’eutanasia e delle sperimentazioni sugli embrioni, ma anche alle condizioni di miseria in cui vivono milioni di persone, allo sfruttamento sessuale di donne e bambini, alle condizioni di sottomissione imposte da certe visioni antropologiche, e agli impedimenti all’esercizio della libertà religiosa perpetrate sia da regimi teocratici sia dal laicismo dei paesi secolarizzati. Immediate ieri le reazioni subito dopo il parere favorevole della Procura della Repubblica di Roma all’accoglimento del ricorso di Pier Giorgio Welby, che aveva chiesto l’interruzione delle cure alle quali è sottoposto. «Non strumentalizziamo il caso Welbi – ha esortato il ministro delle politiche per la famiglia, Rosi Bindi -. In gioco non c’è solo il fatto di staccare la spina, ma è in discussione il ruolo di una società che si pone o non si pone il problema di tutelare la dignità della vita fino all’ultimo secondo. La strumentalizzazione politica è un alto tradimento della laicità, della politica, della cittadinanza». «In attesa di valutare il pronunciamento del Tribunale previsto oggi sul caso Welby, ribadiamo la nostra convinzione: spetta al medico decidere, valutando caso per caso, e in base alla sua professionalità, quale è il limite oltre il quale si potrebbe cadere nell’accanimento terapeutico, nell’eutanasia, o nell’abbandono del malato. E mi sembra che il parere espresso dalla Procura di Roma vada in parte in questa direzione – ha commentato Domenico Di Virgilio, responsabile Dipartimento Sanità di Forza Italia -. Queste sono tematiche delicate che richiedono una profonda riflessione». .«Il parere della Procura di Romasul caso Welby ha il pregio di ricondurre quest’ultimo alla categoria del “caso”, senza desumere da esso regole generali – ha dichiarato Alfredo Mantovano (Alleanza nazionale) -. Certamente le prime valutazioni che provengono dall’autorità giudiziaria escludono che sul “caso” possa essere costruita una legge Welby, come vorrebbe chi finora ha strumentalizzato il “caso”». «Non può essere un tribunale a decidere sul caso Welby. È necessaria una legge per colmare un evidente vuoto legislativo. Il parere espresso dall’ ufficio affari civili della Procura di Roma in relazione al caso di Piergiorgio Welby non aiuta a fare chiarezza – sostiene Chiara Moroni, vice Presidente dei parlamentari di Forza Italia -. La politica non può sottrarsi ed è chiamata a legiferare per disciplinare una delicata materia. Resto convinta che serva una legge che privilegi la volontà del malato ed il divieto dell’accanimento terapeutico». «Quello che però non si può dire è che una vita in quanto dipende da una macchina è indegna di essere vissuta», ha concluso Adriano Pessina, direttore del Centro di bioetica dell’Università cattolica di Milano.


martedì 12 dicembre 2006