Omelia 8 agosto 2010 – XIX Domenica del Tempo Ord.

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DOMENICA DICIANNOVESIMA DEL TEMPO ORDINARIO

LETTURE
Prima: Sap 18, 3.6-9
Seconda: Eb 11, 1-2.8-19
Vangelo: Lc 12, 32-48

NESSO TRA LE LETTURE
"In fiduciosa e vigilante speranza", così riassumo il contenuto principale del messaggio liturgico di oggi. Questo è l’atteggiamento di Abramo e di Sara, e di tutti coloro che sono morti nella speranza della promessa fatta da Dio (seconda lettura). Questo è l’atteggiamento dei discendenti dei patriarchi, che aspettavano con fiducia, in mezzo a duri lavori, la notte della liberazione (prima lettura). Questo è l’atteggiamento del cristiano in questo mondo, dedito alle sue occupazioni quotidiane, aspettando con cuore vigile la venuta del suo Signore (vangelo).

MESSAGGIO DOTTRINALE

1. L’attesa storica. Dio è un Dio fedele e le sue promesse si compiono, ma, in quanto promesse, non si vedono nell’immediato presente, ma si aspettano per il futuro. Possiamo, dunque, dire che la storia della salvezza è la storia delle speranze e dell’attesa degli ebrei e dei cristiani. Prototipo della speranza è Abramo, come mette in rilevo le lettera agli Ebrei (seconda lettura). Prima, vive nella speranza e nella attesa di un figlio, e Dio lo soddisfa dandogli Isacco, nonostante l’età avanzata e la sterilità di Sara, sua moglie. Poi, nell’attesa e nella speranza di una terra e di una discendenza numerosa. Dio manterrà la promessa, ma non durante l’esistenza terrena di Abramo. In questo modo, in Abramo si inaugura la catena delle speranze e della attesa dei patriarchi e del popolo di Israele. Dopo vari secoli, nel XIII a.C., Dio compirà la promessa della terra con Giosuè. Molti secoli dopo, con Gesù Cristo, Dio compirà la promessa della discendenza, dato che soltanto in Gesù "saranno benedetti tutti i popoli della terra" . Nel libro della Sapienza (prima lettura) si menziona un’altra promessa di Dio: la liberazione dalla schiavitù: "Quella notte fu preannunciata ai nostri padri" (cf Gen 15, 13-14; 46, 3-4). Anche questa promessa Dio la compì in modo glorioso e potente, in quella famosa notte in cui gli egiziani restarono nelle tenebre, mentre gli israeliti erano preceduti da una colonna di fuoco che illuminava il loro cammino, quella notte che per gli egizi fu tragica per la morte di tutti i primogeniti, mentre per gli israeliti fu notte di liberazione e di gioia. Dio non soltanto compie la sua promessa, ma vince il male, e con amore attrae e chiama verso di sé gli eletti. Non è soltanto un Dio fedele, ma altresì un Padre che ama.

2. L’attesa metastorica. Nella lettera agli Ebrei, si presentano i patriarchi e le grandi figure del popolo di Israele, mentre stanno cercando una patria. L’autore della lettera interpreta tale ricerca non in senso storico, ma metastorico: "Aspirano a un patria migliore, cioè, alla patria celeste" . Lo stesso Dio che fu fedele compiendo le sue promesse nella storia, sarà fedele nell’al di là della storia. Di questa attesa e speranza metastoriche ci parla soprattutto il vangelo, mediante l’immagine del padrone che i servi debbono aspettare finché giunga per aprirgli la porta non appena busserà. Fin dalla nascita, ogni uomo, in qualche modo, è in attesa del suo Signore. Noi cristiani dobbiamo sperare senza paura, ma con gioia, "perché il Padre si è compiaciuto nel darci il Regno" , e Dio, nostro Padre, non smetterà di compiere le sue promesse. Dobbiamo aspettare in atteggiamento di disponibilità per qualsiasi momento: "con la cintura ai fianchi e le lampade accese". Allo stesso modo, l’attesa deve esser vigile, perché il Signore giungerà "come un ladro" , quando meno lo si pensa. La migliore maniera di aspettare è sicuramente facendo il bene a tutti ed avendo una condotta degna. L’abusare del proprio potere, colpendo i servi e le serve, mangiando e bevendo fino ad ubriacarsi, è un modo inappropriato di aspettare il Signore, e per questo ci dice il vangelo: "Lo punirà con rigore, assegnandogli il posto tra gli infedeli" . L’aldilà, e il giudizio di Dio che implica questa realtà, ci può risultare misterioso, inaccessibile alla nostra intelligenza, ma non è qualcosa di marginale alla fede cristiana, bensì qualcosa di costitutivo del suo credo: "Aspetto la resurrezione dei morti e la gloria del mondo che verrà" . Viviamo di speranza, ma tutta la storia della salvezza ci ha mostrato, secolo dopo secolo, che la speranza posta in Dio non delude.

SUGGERIMENTI PASTORALI

1. Guardare il presente con occhi lontani. Il cristiano non è un utopista, un sognatore distaccato dal presente con la sua realtà contante e sonante. Il cristianesimo vive il realismo del presente, con i piccoli doveri di ogni giorno, con le lotte per la vita e la sopravvivenza di tanti uomini, con la cronaca nera dei quotidiani o della televisione, con le piccole sorprese che di quando in quando bussano alla porta. In realtà la vita si vive nel presente o non si vive, il presente è l’unico a nostra disposizione perché il passato è già sfumato e il futuro manca ancora di consistenza propria. Il presente è la terra che calpesto, la famiglia in cui vivo, la fidanzata che amo, la madre malata, il figlio irrequieto, l’ufficio in cui lavoro, la parrocchia per la quale passo ogni giorno, l’analisi del sangue o la macchina nuova che ho appena comprato. Il nostro sguardo deve essere posto nel presente, non evadere da esso, assumerlo con tutta la sua realtà, sia essa triste o gradevole. Non dobbiamo avere paura del presente, dobbiamo guardarlo in faccia, con coraggio. Ma il presente non esiste racchiuso nel proprio guscio, per sua stessa natura è aperto al futuro che, passo dopo passo, inesorabilmente, si trasforma in presente. Tale futuro non può dimenticarsi nel vivere quotidiano del momento. Ne consegue che dobbiamo guardare al futuro con occhio lontano. Il futuro è l’orizzonte del presente, è la speranza. Il presente ermetico finisce col suo proprio istante. Il presente aperto vede già la spiga dorata nel seme appena gettato a terra. Il presente ermetico pretende di rendere eterno il pizzico della felicità effimera, che marcisce nelle sue mani, e, non riuscendoci, crolla in catastrofe. Il presente aperto e cristiano getta il proprio sguardo sempre più in avanti, fino a farlo entrare nella dimora stessa di Dio. Che i tuoi occhi illuminino la realtà presente con il fulgore che hanno colto guardando al futuro.

2. La vigilanza non è un optional. Il futuro di ogni uomo, con tutto il suo spessore, è imprevedibile. Il meteorologo può prevedere il tempo per domani, sebbene con il rischio di sbagliare. L’economista può prevedere l’inflazione nel paese durante il mese di maggio, o nell’anno 2000, con maggiore o minore approssimazione. Ma la storia dell’uomo è impossibile da prevedere, perché è una storia di libertà. Libertà dell’uomo, e soprattutto libertà di Dio. Chi può sapere ciò che saranno gli uomini il giorno di domani? Chi può prevedere i disegni di Dio per il futuro immediato o remoto? L’imprevedibilità del futuro reclama vigilanza. L’uomo prudente, sensato, non considera l’atteggiamento vigilante qualcosa di empiricamente possibile, una tra le molte opzioni. La vigilanza è la migliore opzione. Vigilare perché il futuro non ci colga alla sprovvista. Vigilare per essere capaci di dominare gli avvenimenti, invece di esserne dominati. Vigilare per non perdere mai la pace, nemmeno davanti allo scatenamento più tremendo di prove e di esperienze avverse. In realtà, chi vigila ha guardato negli occhi il futuro, ed è preparato ad affrontarlo con garbo e decisione. Vigilare per scoprire la scrittura di Dio nelle pagine della storia. Vigilare per saper scoprire l’azione dello Spirito nel tuo intimo, nell’intimo degli uomini. Vigilare per terminare con happy end l’ultima pagina del libro della tua vita. Vigilare per mantenere integra la fede, la speranza e la carità, "quando Egli verrà" . La vigilanza non è un optional, è una necessità vitale.