Commento al Vangelo — III Domenica di Quaresima
Ci sarà bontà nel castigare?
Tutto in Gesù era di illimitata perfezione. In quella situazione stabilita per consuetudine attraverso i tempi, non sarebbe servito a nulla l’impiego di dolcezza per persuadere coloro che avevano trasformato il Tempio di Dio in un autentico bazar.
Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP
fondatore degli Evangeli Praecones
courtesy of http://www.salvamiregina.it
Vangelo
13 Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 14 Trovò nel Tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco. 15 Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del Tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, 16 e ai venditori di colombe disse: "Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato". 17 I discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divora. (Sl 68,10). 18 Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: "Quale segno ci mostri per fare queste cose?". 19 Rispose loro Gesù: "Distruggete questo Tempio e in tre giorni lo farò risorgere". 20 Gli dissero allora i Giudei: "Questo Tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?". 21 Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 22 Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. 23 Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa molti, vedendo i segni che faceva, credettero nel suo nome. 24 Gesù però non si confidava con loro, perché conosceva tutti 25 e non aveva bisogno che qualcuno gli desse testimonianza su un altro, egli infatti sapeva quello che c’è in ogni uomo (Gv 2, 13-25).
I – Il Tempio
"E subito entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate; l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, ecco viene, dice il Signore degli eserciti. Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento" (Ml 3, 1b-3a).
Così profetizza lo Spirito Santo, attraverso le parole di Malachia, sull’inizio del ministero, la predicazione ufficiale del Messia, che avrebbe dovuto iniziare nel Tempio della città di Gerusalemme.
Con questa rivelazione, diventava chiaro, per coloro che avessero buona disposizione di spirito, quanto il sorgere del Re atteso dai giudei non avrebbe dovuto manifestarsi come un potere politico o finanziario (supremazia su tutti i popoli o sospensione delle imposte), ma attraverso una chiara azione santificatrice. Egli sarebbe andato al Tempio per purificare e affinare i figli di Levi.
Secondo la narrazione di San Giovanni, era appena avvenuto il miracolo alle nozze di Cana, dopo il quale Gesù si diresse a Cafarnao, dove rimase alcuni giorni con Maria e i Suoi discepoli. Il momento da Lui scelto per iniziare la missione pubblica non poteva essere migliore. La Città Santa e lo stesso Tempio straripavano di uomini e donne provenienti da tutta Israele.
Se il popolo avesse accettato con fervore la predicazione del Precursore — "Io sono la voce che grida nel deserto" (Gv 1, 23)—, sarebbe stato in condizione di vedere, nell’entrata di Gesù nel Tempio, un inequivocabile segno dell’apparizione del Messia: "…allora essi saranno per il Signore coloro che presenteranno le loro offerte come conviene" — continua Malachia — "allora l’offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi, come negli anni lontani" (Ml 3, 3b-4).
Il Cortile dei Gentili
L’insieme di tutti gli edifici che costituivano il Tempio formava un quadrilatero con i suoi cinquecento cubiti (1) in ogni lato, protetto da mura. In esso si entrava attraverso otto enormi porte guarnite da torri di difesa. C’erano al suo interno tre cortili particolarmente santi: quello dei sacerdoti, dove si trovava il naos, una costruzione anch’essa quadrata, in marmo bianco e rivestito in oro, localizzata nell’angolo nord-ovest; più ad oriente, il cortile degli uomini e, a seguire, quello delle donne.
Attorno a questi tre cortili, c’era un grande spazio delimitato da colonne, denominato Cortile dei Gentili o dei Pagani, l’unica parte accessibile ai non giudei. Era lì che, con un tacito accordo delle autorità del Tempio, si erano istallati banchi di scambio ed un vero mercato.
In contrasto con gli altri tre, che erano considerati sacri, quest’ultimo cortile assunse il carattere di una specie di bazar orientale. In esso di trovavano in vendita sale, olio, vino, colombe — che le donne offrivano per purificarsi —, pecore e persino vitelli per i sacrifici di maggior importanza. Si scambiavano anche le monete straniere — greche o romane, per esempio — con quella sacra, con la quale si pagava l’imposta fissata dal Signore per la manutenzione del Tempio (cfr. Es 30, 13-16).
Da aggiungere il fatto che il Cortile dei Gentili facilitava l’accesso agli altri, poiché chi non lo utilizzava come scorciatoia, si vedeva costretto a fare il giro all’angolo del Tempio. Così, uno spazio che avrebbe dovuto avere una certa parvenza di sacro, si trasformò in un dissipato e agitato "covo di ladri".
Viene ufficializzata la missione del Messia
Il Tempio era il punto di riferimento più denso di simbolismo religioso, e persino nazionale, di Israele. Non c’era in tutta la nazione un posto più santo. Quel luogo era stato scelto da Dio stesso per convivere con il popolo eletto. Per queste ed altre ragioni, nessun giudeo si sarebbe mai consolato se avesse visto arrivare l’ora della propria morte senza aver varcato i suoi portici, corridoi ed edifici per pregare e offrire sacrifici. Ancora ai giorni nostri, il grande sogno degli israeliti consiste nel poter incontrarsi davanti a quelle rovine per toccarle, baciarle e bagnarle con le lacrime rafforzando così la loro speranza.
Varcando la soglia di una delle otto porte esterne, si penetrava nell’immenso Cortile dei Gentili, aperto a tutti: giudei o pagani, ortodossi o eretici, puri o impuri. Da questo luogo, per entrare nel cortile esclusivo dei giudei, c’erano tredici porte e davanti ad ognuna di queste, una colonna con iscrizioni, che proibivano, sotto pena di morte, l’accesso a persone indegne.
È in questi atrii che si sono svolte molte delle vicende della vita pubblica di Gesù, ed è proprio nell’episodio narrato da San Giovanni, nel Vangelo di oggi, che si ufficializza la missione del Messia. Fino a quel giorno, egli frequentava il Tempio come un semplice giudeo, senza emettere alcun giudizio sulla condotta delle autorità locali.
II – Gesù scaccia i venditori
13 Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme
In occasione delle grandi feste, specialmente durante la celebrazione della Pasqua, Gerusalemme vedeva le sue strade affollarsi di giudei provenienti da ogni luogo.
Anche Gesù adempiva i precetti della Legge, tuttavia, con un’impostazione di spirito di gran lunga più elevata rispetto a quella di tutti gli altri giudei. Così commenta Origene: "Egli voleva manifestare anche la differenza esistente tra la Pasqua degli uomini — cioè, quella di coloro che non la celebrano in accordo con la volontà e l’intenzione della Sacra Scrittura — e la Pasqua divina, che si realizza in spirito e in verità; per distinguere, dice ‘la Pasqua dei giudei’ […] Il Signore ci ha dato un esempio della grande cura che dobbiamo avere riguardo al compimento dei precetti divini" (2).
Anche secondo Bossuet, "Gesù dovrà presentarsi nel Tempio, non solo per tributare a Dio il culto supremo, ma anche ‘come figlio della casa’ (Eb 3, 6), per mettere ordine a tutto quanto Gli aveva prescritto il Padre che Lo aveva inviato" (3).
San Beda aggiunge: "Giunto a Gerusalemme, il Signore Si è diretto al Tempio per pregare; ci ha dato così l’esempio, che quando giungiamo in qualsiasi luogo dove ci sia una chiesa, dobbiamo andare là a rivolgere a Dio la nostra preghiera" (4 )
Il recinto sacro fu trasformato in bazar
14 Trovò nel Tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco.
Oltre alla comune e usuale moltitudine delle grandi feste, percorrendo gli atrii del Tempio, Gesù si imbatté, com’era da aspettarselo, nel tumulto e nell’ agitazione concitata provocati da cambisti che gridavano, offrendo un "buon affare": moneta sacra in cambio di monete straniere, che in quel luogo non potevano essere usate, nel disprezzo della Legge e in un intollerabile traffico.
Il chiasso delle discussioni sul valore di queste o quelle monete non era l’unico baccano desacralizzante. Gli animali — veri greggi! —, agnelli, pecore, buoi e tori, aggiungevano i loro muggiti alle grida dei venditori. Senza contare la tonalità più acuta degli uccelli, passeri e colombe, che offrivano il loro contributo a quella cacofonia sconvolgente, contraria ad un ambiente la cui essenza era sacra. Non era estranea a tutto questo la famosa, interminabile e molteplice discussione tra farisei e sadducei.
Si può immaginare quanto l’avido interesse del guadagno, da parte dei venditori e il desiderio di economizzare dei compratori, dovessero sconvolgere lo spirito religioso, elevato e raccolto con cui i pellegrini desideravano entrare nel Tempio di Dio. E così questo edificio destinato alla preghiera era stato trasformato in una fiera di scandalosi e rivoltanti abusi, in un mercato profano e ordinario!
"Gesù entra nel Tempio, nel Cortile dei Gentili, come si nota dal commercio lì stabilitosi. Intanto, a causa della prossimità del Santuario, i rabbini proibivano — più teoricamente che praticamente — di usarlo come semplice scorciatoia o in una forma meno decorosa. ‘Non si salirà al Tempio con bastone, con sandali o sacchi, e neppure con polvere nei piedi. Non si deve passare per il Tempio come per una scorciatoia per abbreviare il cammino (Berakoth 9.5; cfr. STRACK-B. Kommentar II, pag. 27). Proprio questo dettaglio è registrato anche da Marco (11, 16). Tuttavia, nonostante queste buone misure preventive della santità del tempio, questa non era rispettata, infatti si commettevano vere e proprie profanazioni nel recinto sacro" (5).
Atto di santa ira in un temperamento perfetto
15 Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, 16 e ai venditori di colombe disse: "Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato".
In altre occasioni, Gesù aveva già osservato quella profanazione, un vero spettacolo dalle profonde conseguenze tendenziali e rivoluzionarie: il Tempio non era più una casa di preghiera; era stato trasformato in un bazar. Le altre volte aveva sofferto in silenzio, trattenendo la Sua indignazione, ma era giunto ora il momento di intervenire.
Gesù è Dio ed interamente Uomo, con personalità divina. Più tardi Egli avrebbe pianto riguardo Gerusalemme, come anche per la morte di Lazzaro; erano lacrime significative della Sua misericordia, bontà, tenerezza e amore. Qui Egli impugna la frusta della collera, vendetta e giustizia. Questi due estremi denotano la perfezione insuperabile del Suo temperamento.
Si è trattato di un atto di santa ira. In sè, la collera è una passione dell’appetito irascibile, neutra, ossia, nel bene e nel male. Se essa sarà conforme alla retta ragione, sarà buona; nel caso contrario, sarà cattiva. In Cristo Gesù, tutte le passioni sono sempre state ordinate e buone. In concreto, nel caso del Vangelo di oggi, non solo non si dovrebbe mai attribuire a questo Suo atto di vendetta il carattere di peccato, e neppure di imperfezione, ma, del tutto al contrario, esso è consistito in un’applicazione della virtù di zelo ad un grado eroico. Gesù cercò, con questo atteggiamento, di reprimere gli abusi e le offese contro il Suo adorato Padre (6).
Dobbiamo temere l’indignazione del Signore
Nelle sue Meditazioni sulla vita di Cristo, San Bonaventura così commenta questo passo: "Due volte il Signore ha espulso dal Tempio coloro che compravano e vendevano (cfr. Gv 2; Mt 21), il che è raccontato come uno dei suoi maggiori miracoli. Infatti, sebbene in altre occasioni Lo avessero disprezzato, questa volta tutti fuggirono senza difendersi, anche se erano molti, e Lui da solo espulse tutti, armato soltanto di una sferza di cordicelle. Fece tutto questo presentandoSi loro con un volto terribile. Li cacciò, perché con le loro compravendite, disonoravano il Padre esattamente nel luogo dove Egli doveva essere più onorato. E Gesù, mosso da uno zelo ardente per la Casa di Dio, non poteva tollerare tali disordini. Considerate bene questo e compatiteLo, poiché Lui è pieno di dolore e di compassione. E non smettete di temerLo, perché se noi — che siamo stati, per una speciale grazia, scelti per il tempio e la dimora di Dio, ed abbiamo l’obbligo di essere sempre attenti alla Sua lode — ci occupiamo e ci coinvolgiamo negli affari del mondo, come facevano quei mercanti, possiamo e dobbiamo, con ragione, temere che Lui Si indegni e ci scacci. Se non volete essere tormentati da questo timore, non azzardatevi, sotto un qualche pretesto, a intromettervi nelle preoccupazioni e negli affari temporali. Non occupatevi neppure di opere per semplice curiosità, che appartengono alle pompe mondane e rubano il tempo dovuto alla lode a Dio" (7).
Tutto in Gesù era di illimitata perfezione. In quella situazione stabilita per consuetudine nel corso dei tempi, a nulla sarebbe servito l’impiego della dolcezza per persuadere i trasgressori. Dobbiamo partire dall’infallibile principio: se è stato questo il modo di procedere di Gesù, niente poteva essere più efficace. Argomenti logici, razionali e miti, non si sarebbero mai imposti in quelle circostanze.
È preferibile correggersi che essere flagellati
Sant’Agostino, nel suo inesauribile zelo per le anime, trae da questo episodio una saggia applicazione alla vita spirituale:
"Il Signore non ci ha risparmiato. Colui che sarebbe stato flagellato da loro, Egli li flagellò per primo. Fratelli, il Signore fece una sferza di cordicelle e flagellò gli indisciplinati che mercanteggiavano nel tempio di Dio, ed in questo c’è qualche cosa di simbolico.
Ognuno tesse per sè una corda con i suoi peccati. Già il Profeta lo ha detto: ‘Guai a coloro che si tirano addosso il castigo con corde da buoi e il peccato con funi da carro!’ (Is 5, 18). Chi fa questa corda? È colui che al peccato aggiunge un altro peccato. Com’è che i peccati si uniscono ai peccati? Quando si coprono i peccati fatti con nuovi peccati.
Chi ha rubato va a consultare un indovino per non essere scoperto come autore del furto. Già sarebbe stato molto che fosse stato un ladro; perché vuole aggiungere al peccato un altro peccato? Ora ha due peccati. Come gli è proibito consultare un indovino, bestemmia il suo Vescovo. Ora sono tre i peccati. Quando lui lo espelle dalla Chiesa, dice: ‘E allora vado dai donatisti’. Ora sono quattro i peccati. La corda continua a crescere. È motivo di timore. È preferibile che si corregga quando è frustato, per non udire alla fine questa sentenza: ‘Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre’ (Mt 22, 13).
"‘Ognuno è catturato con le funi del suo peccato.’ (Pr 5, 22). Lo dice il Signore e lo dice un altro libro della Scrittura. In ogni caso è sempre il Signore che lo dice. Gli uomini sono legati ai loro peccati, e gettati fuori nelle tenebre" (8 ).
Un atto maggiore che il convertire l’acqua in vino
Questo atteggiamento di Gesù deve aver incantato molte persone, non solo in quell’occasione, ma anche nel corso dei tempi. VederLo procedere con intransigenza contro i commercianti, anche di cose sante, all’interno dei limiti sacri del Tempio, pregiudicando la devozione dei pellegrini e dei fedeli, certamente ha risvegliato simpatie. L’audacia di qualcuno che si oppone agli abusi, strappa sempre applausi da parte dell’anima popolare. Inoltre, non ci deve stupire che così abbia reagito Colui che è il Quam suavis, proprio come riflette Origene:
"Consideriamo anche — non ci sembra cosa enorme — che il Figlio di Dio abbia preparato una specie di frusta di corde per espellere dal Tempio. Per spiegare questo, ci resta una consistente ragione: il divino potere di Gesù, che, quando voleva, poteva contrastare la furia dei suoi nemici, anche se erano molti, e dissolvere i loro intrighi; perché il Signore dissipa le determinazioni delle genti e rimprovera i pensieri dei popoli. Questo episodio ci dimostra che Lui non ha avuto per questo un potere meno forte di quello che aveva per fare miracoli; mostra anche che questo suo modo di essere è maggiore del miracolo di convertire l’acqua in vino, perché in quel miracolo ebbe a che fare con una materia inanimata, mentre qui sgominò i traffici di molte migliaia di uomini" (9).
Lo zelo di Gesù risveglia la simpatia del popolo
17 I discepoli si ricordarono che sta scritto: "Lo zelo per la tua casa mi divora (Sl 68, 10)"
Da un uomo ancora quasi sconosciuto, che si appoggia esclusivamente ai propri mezzi e sulle proprie forze, senza esercitare alcuna carica ufficiale, nell’imporSi con tanto vigore, energia e intransigenza per espellere i mercanti con i loro animali e beni, che incute paura e rispetto alla moltitudine, alle guardie e agli stessi magistrati del Tempio, non fa che trasparire un potere divino. Egli poteva unicamente essere un profeta, un riformatore, il Messia.
Quello che discredita un uomo preso dall’ira, è vederlo procedere come chi ha perso il controllo di se stesso, per questo, si rende un bruto. Nella scena in questione, al contrario, Gesù si mantiene tutto il tempo in piena maestà, padrone di Sé, assumendo l’atteggiamento di un Uomo la cui Anima è nella visione beatifica di Dio. Si tratta di uno zelo infiammato da un totale amore di Dio. Quello zelo vero, come afferma Alcuino "quando considerato nel senso buono, è un certo fervore dell’anima per cui questo si infiamma, senza vergogna o ritegno, in difesa della verità" (10 ).
Non c’è nulla da meravigliarsi se il popolo abbia accolto quest’audacia di Gesù con simpatia. L’attitudine coraggiosa e intrepida, soprattutto quando è giusta e religiosa, stimola il plauso generale. Ne consegue il fatto che i quattro discepoli, che furono testimoni del trionfo di Gesù, rimasero sorpresi nel constatare quanto la bontà del Signore possedesse un opposto estremo e armonioso.
Però, nello stesso tempo in cui i discepoli vedevano, in quell’atteggiamento, la realizzazione di un’antica profezia, crescendo nella fede, i giudei razionalizzavano e obiettavano.
III – I giudei chiedono un segno
Domanda carica di incredulità, invidia e malanimo
18 Allora i giudei presero la parola e gli dissero: "Quale segno ci mostri per fare queste cose?".
Evidentemente "i giudei" qui, sono le autorità del Tempio. La domanda è fatta con un tono di ostilità ed è tipicamente farisaica, perché esigere una prova per dare legittimità ad un’azione che, dal punto di vista morale, si giustifica di per se stessa, è voler a priori discreditare il segno che gli viene offerto. Da qui potrebbe sorgere un’interminabile discussione. A ragione, commenta San Giovanni Crisostomo: "Avevano essi bisogno, allora, di un segno per smettere di fare ciò che stavano facendo così indebitamente? Essere colti da un così grande zelo per la casa del Signore non era il maggiore di tutti i segnali? I giudei si ricordavano delle profezie, tuttavia, chiedevano un segno certamente perché sentivano che i loro lucri sarebbero cessati. Infami!" (11).
La domanda era carica di incredulità, invidia e animosità. Volevano una seconda prova, anche se la prima era già, di per sè, sufficiente per convincere qualsiasi persona con un minimo di buon senso.
Sono così coloro che possiedono una mentalità farisaica, come i farisei di allora, che inviando emissari al Precursore, erano disposti ad accettare — a loro detta — l’affermazione che egli fosse il Messia, non riuscendo al contrario a tollerare che Giovanni Battista indicasse Gesù Cristo come il Salvatore. Ossia, nel momento in cui i fatti pregiudicano i loro interessi, non esiste segno che li soddisfi.
Risposta misteriosa di Gesù
19 Rispose loro Gesù: "Distruggete questo Tempio e in tre giorni lo farò risorgere". 20 Gli dissero allora i giudei: "Questo Tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?". 21 Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 22 Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Non sarebbe stata questa l’unica volta in cui Gesù avrebbe risposto in modo misterioso ai suoi interlocutori. Non sempre erano loro comprensibili le rivelazioni fatte dal Maestro. Tuttavia, il futuro le avrebbe rese evidenti per la loro chiarissima realizzazione, come avvenne in questo caso concreto, poiché sicuramente fu portandosi la mano al petto che Egli disse: "distruggete questo Tempio…".
Chiaro che tutti interpretarono male tale proposta,credendo che Egli si riferisse all’edificio il quale avevano distrutto i venditori . Ma lo stupore fu maggiore quando Gli sentirono affermare che Lui aveva il potere di riedificarlo in tre giorni. Conosciamo la realtà dei fatti, da una testimonianza oculare, degna di ogni fiducia, che probabilmente deve aver notato i gesti del Divino Maestro , mentre faceva questa profezia. Per questo motivo, nello scrivere il suo Vangelo, dopo aver realizzato ciò che prevedeva il Divino Maestro, San Giovanni, non aveva il benchè minimo dubbio sull’esattezza e la realtà di quelle parole, quindi dire, con ferma sicurezza : Ora, Egli parla del tempio del Suo corpo."
I discepoli di Gesù accettano il segno
Concesse loro ancora, per infinita misericordia, un segno inconfondibile per alimentare la fede di tutti, quello della Sua Resurrezione: "Per quale motivo dà loro come segno la Resurrezione? Principalmente perché essa dimostrava che Gesù non era un semplice uomo, ma che Lui poteva trionfare sulla morte e distruggere in poco tempo la loro lunga tirannia" (12 ).
Ma, anche così, solo i discepoli lì presenti accettarono, senza intendere con chiarezza che cosa diceva loro il Maestro. Essi iniziano un cammino lastricato di fede e fiducia, senza barriere, in Colui che ancora non vedevano come Dio e Uomo.
Dopo tre anni, tutto si sarebbe rivelato chiaro, a causa della fedeltà praticata nonostante queste o quelle debolezze. Un esempio per noi di quanto dobbiamo abbracciare con amore gli insegnamenti emanati dalla Santa Chiesa, in modo speciale quelli provenienti dall’infallibile Cattedra di Pietro. Adottare con zelo l’orientamento della Santa Chiesa è un atto di filiale amore allo stesso Nostro Signor e Gesù Cristo: "Chi ascolta voi ascolta Me" (Lc 10, 16).
Ha molto valore la considerazione che a questo proposito ci fa il Cardinal Isidro Gomá y Tomás: "Il tempio al quale allude Gesù — dice Origine — non è soltanto il tempio del Suo Corpo, ma anche la Santa Chiesa, la quale, essendo costruita di pietre vive, quali siamo tutti noi cristiani, ogni giorno si distrugge in loro, perché ogni giorno muoiono i figli della Chiesa; e ogni giorno della Storia sembra morire come istituzione, perché, nel suo insieme, è soggetta a tutte le tribolazioni e apparenti dissoluzioni delle cose umane. Tuttavia, risorge sempre, come il Corpo morto di Gesù Cristo. Risorge in questo mondo, poiché alle ore della tormenta e delle apparenti sconfitte subentrano la calma e il trionfo splendido. Risorgerà definitivamente quando verrà il tempo del nuovo cielo e della nuova terra, di cui parla l’Apocalisse, con la resurrezione di tutti i suoi membri, che siamo noi. Siamo dunque membri di Cristo, soffriamo con Lui e moriamo con Lui: è la condizione indispensabile per resuscitare con Lui. Questa dottrina è raccomandata varie volte dall’Apostolo. Viviamo in questa santa Fede e dolce Speranza" (13).
Profondo risentimento dei detentori del potere
I giudei non capirono il vero significato delle parole di Gesù, poiché, come ci dice Sant’Agostino, "erano carnali. Apprezzavano solo le cose per il loro sapore carnale, ed il Signore parlava loro in senso spirituale" (14). Infatti, l’orgoglio e l’amor proprio accecano sempre chi a loro si consegna, e finiscono per sostituire l’azione di Dio con quella personale e umana.
Condannando e castigando con tale violenza quei disordini, Gesù ha manifestato il sovrano e divino diritto del Suo autentico messianismo e della sua eterna filiazione. Questa scena si sarebbe ripetuta due anni dopo, di nuovo senza dare alcun risultato, tutto sarebbe tornato ad essere come sempre. Però, Gesù ha perpetuato, di fronte alla Storia, alle autorità religiose e alla stessa moltitudine, la memoria di quanto Lui sia il vero Figlio di Dio, pertanto, il Signore del Tempio.
Malgrado l’incanto di alcuni, l’episodio causò un profondo risentimento ai detentori del potere. È in questo momento in cui iniziò la contesa tra le autorità religiose e Lui, che non farà che proseguire in un crescendo fino al grido: "Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli" (Mt 27, 25). A tal punto si sentirono feriti per questo giusto intervento, che seppero stravolgere le parole proferite in quell’occasione dal Salvatore, per condannarLo alla crocifissione, accusandoLo di aver voluto distruggere il Tempio; crimine nefando e sacrilego che loro, sì, perpetrarono quando diventarono deicidi.
Gesù, a sua volta, non aveva fatto nient’altro che proclamare che sarebbe divenuto il vincitore della morte per mezzo della Sua autoresurrezione, usando questa come irrefutabile prova dell’autenticità della Sua missione, come Egli stesso avrebbe detto più tardi: "Abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!" (Gv 16, 33).
Reazioni volubili e pragmatiche della moltitudine
23 Mentre era a Gerusalemme per la Pas-qua, durante la festa molti, vedendo i segni che faceva, credettero nel suo nome. 24 Gesù però non si confidava con loro, perché conosceva tutti 25 e non aveva bisogno che qualcuno gli desse testimonianza su un altro, egli infatti sapeva quello che c’è in ogni uomo. (Gv 2, 13-25).
Certamente viene fatto qui un riferimento alla prima Pasqua che Gesù trascorse a Gerusalemme, subito dopo aver realizzato il miracolo delle nozze di Cana. Ma perché non Si fidava di coloro che cominciarono a credere a causa dei miracoli?
Cuori volubili, incostanti e pragmatici, in un primo istante pervasi di ammirazione, ma in meno di tre anni avrebbero preferito Barabba ai miracoli. In fondo, non amavano la verità in teoria, e meno ancora nella sostanza. Con qualche ragione un politico francese avrebbe detto che il popolo si vendica dei suoi stessi applausi.
"Quale la causa di questa incostanza che portava Cristo a non fidarsi pienamente di loro? I miracoli li stupivano e parlavano loro come ‘segnali’ del potere e della dignità messianica di Cristo, ma restava in loro un fondo, un’attitudine di riserva. Probabilmente, più che mancanza di Fede, era mancanza di una dedizione totale a Cristo. Forse avrebbero avuto l’intenzione di seguirLo alla maniera di un discepolo dei famosi maestri Hillel o Shammaí, ma non dedicarsi interamente a Lui, assumendo le conseguenze di questa dedizione nell’ordine morale e religioso (cfr. Gv 3, 16.18.21; 6, 28.30). Già ‘da questo primo contatto con le moltitudini di Gerusalemme, essi si mostrano tali come appariranno sempre nel Vangelo di Giovanni: impressionabili e rapidamente conquistabili dai miracoli di Gesù, ma superficiali e di adesione precaria’" (15)
D’altra parte, non poche volte, è cieca la testimonianza degli uomini, poiché si basa sulle apparenze esteriori. E quanto poca importanza dobbiamo attribuire ai discorsi, pensieri e meschinità degli altri, riguardo a noi! Quando sono elogiativi, non ci portino questi alla superbia; né al turbamento, quando critici e contrari. Nella nostra relazione con Gesù, quello che Lui desidera è "il nostro abbandono, di pensiero e volontà, alla sua direzione; non vuole che noi conserviamo nell’egoismo spirituale di chi discute pensiero e volontà. Gesù sa tutto: non necessita della testimonianza dell’uomo, perché penetra col suo sguardo fino al fondo del nostro pensiero e del nostro cuore. Non ci tiriamo indietro, consegnamoci generosamente alle sue grazie" (16).
IV – Considerazioni finali
Le chiese sono case di Dio. Edifici sacri, nei quali l’Agnello di Dio è immolato tutti i giorni sull’altare. Lì, siamo elevati alla dignità di figli di Dio, purificati dei nostri peccati, alimentati con il Pane degli Angeli, istruiti con le verità della salvezza, santificati dalla grazia.
Rispetto, devozione e pietà, sono alcune virtù indispensabili per penetrare in un recinto così sacro. Preghiamo con fiducia, santo timore ed entusiasmo nei suoi oratori. Ascoltiamo con brama la Parola di Dio, proferita dai suoi ministri, o quella voce interiore dello Spirito Santo. Riceviamo con gratitudine i Sacramenti. Abbracciamo la ferma risoluzione di frequentare assiduamente la chiesa per adorare il Buon Gesù e crescere nella devozione a Maria. Abbiamo il timore di essere oggetto della divina collera, a causa di un cattivo comportamento, come avvisava Alcuino: "Il Signore entra spiritualmente tutti i giorni nelle sue chiese, e osserva come ognuno si comporta. Pertanto, all’interno di queste, evitiamo conversazioni, risate, odi e ambizioni: non ci capiti che il Signore arrivi quando meno ce lo aspettiamo a espellerci a frustate" (17 ).
Alcuino non è vissuto ai giorni nostri. Se conoscesse la degradazione dei costumi e le mode dei giorni attuali, non farebbe a meno di raccomandare delicatezza di coscienza a quelle — e anche a quelli — che entrano nel Tempio sacro, non per pregare, ma per farsi vedere, provocare al peccato e portare le anime alla perdizione eterna.
NOTE
1 Circa 250 metri.
2 Apud d’AQUINO, S. Tommaso. Catena Aurea.
3 BOSSUET, Jacques-Bénigne. Œuvres Choisies de Bossuet. Versailles: Lebel, 1821, vol. II, pag. 130.
4 Apud d’AQUINO, S. Tommaso. Catena Aurea.
5 TUYA, OP, Manuel de. Biblia Comentada. Madrid: BAC, 1964, vol. II, pag. 1015.
6 Cf. Summa Teologica I-II q. 28, a. 4.
7 BOAVENTURA, San. Meditaciones de la vida de Cristo. Buenos Aires: Santa Catalina, pag. 159-160.
8 AGOSTINHO, Santo. Evangelho de São João comentado. Coimbra: Gráfica de Coimbra, 1954, vol. I, pag. 264-265.
9 Apud d’AQUINO, S. Tommaso de. Catena Aurea.
10 Idem.
11 Idem.
12 CRISOSTOMO, San Giovanni. Apud d’AQUINO, S. Tommaso. Catena Aurea.
13 GOMA Y TOMÁS, Card. Isidro. El Evangelio Explicado. Barcelona: Acervo, 1966, vol. I, pagg. 386-387.
14 AGOSTINHO, Santo. O Verbo de Deus. Coimbra: Gráfica de Coimbra, 1954, vol. I, pag. 272.
15 TUYA, OP, Op. cit., pag. 1.026.
16 GOMA Y TOMÁS, Op. cit., p. 387.
17 Apud d’AQUINO, S. Tommaso. Catena Aurea.