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«Newman appartiene ai grandi dottori della Chiesa,
Ha scritto su “L‟Osservatore Romano” il Procuratore generale degli Oratoriani, padre Edoardo Aldo Cerrato:
«Nell‟imminenza della beatificazione è bello riascoltare, insieme alle parole di questi romani Pontefici, almeno quelle che il Papa Benedetto XVI ha rivolto, recentemente, ai vescovi di Inghilterra e Galles in Visita ad limina: “Il Cardinale Newman […] ci ha lasciato un esempio eccezionale di fedeltà alla verità rivelata, seguendo quella kindly light ovunque essa lo conducesse, anche a un considerevole costo personale. Grandi scrittori e comunicatori della sua statura e della sua integrità sono necessari nella Chiesa oggi e spero che la devozione a lui ispirerà molti a seguirne le orme. Giustamente è stata prestata molta attenzione all‟attività accademica e ai molti scritti di Newman, ma è importante ricordare che egli si considerava soprattutto un sacerdote. In questo Annus sacerdotalis, vi esorto a far presente ai vostri sacerdoti il suo esempio di impegno nella preghiera, di sensibilità pastorale per le necessità del suo gregge, di passione per la predicazione del Vangelo. Voi stessi dovreste offrire un esempio simile. Siate vicini ai vostri sacerdoti e riaccendete il loro senso di enorme privilegio e di gioia nello stare in mezzo al popolo di Dio come alter Christus” […].
Per il concistoro in cui avrebbe ricevuto la porpora padre J.H. Newman, giunto a Roma, scriveva al suo Vescovo: “Il Santo Padre mi ha ricevuto molto affettuosamente stringendo la mia mano nella sua. Mi ha chiesto: „Intende continuare a guidare la Casa di Birmingham?‟. Risposi: „Dipende dal Santo Padre‟. Egli riprese: „Bene. Desidero che continuiate a dirigerla‟ […]”.
Nel momento in cui gli fu offerta la porpora romana, un favore Newman chiese a Papa Leone: “Da trent‟anni sono vissuto nell‟Oratorio, nella pace e nella felicità. Vorrei pregare Vostra Santità di non togliermi a san Filippo, mio padre e patrono, e di lasciarmi morire là dove sono vissuto così a lungo”»1.
Il Cardinale Newman combatté, sinceramente e lealmente, il liberalismo, tracciando, con metodo sistematico e analitico, uno dei profili più reali dell‟Europa in fase di corruzione, di abbandono della civiltà cristiana, di incalzante apostasia. Dal ponte della propria nave riuscì a identificare i connotati secolarizzanti e relativistici dei nostri giorni, frutto di quella presunzione che già i pagani greci, depositari dei veri semina verbi, definivano ύβρις (übris = l‟arroganza di chi non si sottomette agli dèi), vale a dire l‟idea di anteporre i luoghi comuni sedicenti razionali della propria epoca alla ragionevolezza e razionalità della Tradizione. Questo grande “dottore della Chiesa”, come lo ha definito Benedetto XVI, questo gentleman dell‟Ottocento inglese, poi sacerdote oratoriano, divenuto Cardinale per volontà di Leone XIII, giunse alla Verità a quarantaquattro anni, dopo decenni di studi e di approfondimenti: ha con tenacia spremuto la propria mente per capire, indagare, sondare, nei meandri della storia, della filosofia, della teologia e scoprire, finalmente, la perla preziosa… fu così che: «Vidi il mio volto in quello specchio: era il volto di un monofisita», il volto di un eretico anglicano e lo «scopersi quasi con terrore».
«Ex umbris et imaginibus in Veritatem» («Dalle ombre e dagli spettri alla Verità»), così recita l‟epitaffio della tomba del Beato Newman, la cui vita è la prova più evidente e concreta che la ragione può unirsi alla Fede per approdare alla Chiesa di Gesù Cristo, l‟unica vera porta dell‟eterna Salvezza.
Credere nella Verità è essere liberi: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi»2, ma non è quello che accade oggi. L‟8 giugno 2010 è stata presentata la traduzione italiana degli Scritti oratoriani di John Henry Newman, curata da Placid Murray O.S.B. e pubblicata dall‟editore Cantagalli. In quella circostanza il Cardinale Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova e presidente della CEI, ha affermato: «Il cristiano è chiamato ad essere libero ma non indipendente», in particolar modo «in un momento storico e culturale come quello che stiamo vivendo nel quale l\’indipendenza culturale sembra essere il contrario della verità, quasi come se l\’indipendenza personale fosse più importante della verità».
Il migliore ritratto dell‟età contemporanea, minata nel profondo dal relativismo, denunciato con forza da Benedetto XVI, lo ha offerto proprio lui, che giunse alla Verità dopo anni e anni di studio e di elaborazione del pensiero: da protestante calvinista ad anglicano per abbracciare poi la Fede cattolica.
Spiegò con parole di un‟attualità disarmante e sconcertante, in quello che è stato definito il Biglietto Speech (1879), stilato in occasione del conferimento della berretta cardinalizia: «Per trenta, quaranta, cinquant‟anni ho cercato di contrastare con tutte le mie forze lo spirito del liberalismo nella religione. Mai la santa Chiesa ha avuto maggiore necessità di qualcuno che vi si opponesse più di oggi, quando, ahimé! si tratta ormai di un errore che si estende come trappola mortale su tutta la terra; e nella presente occasione, così grande per me, quando è naturale che io estenda lo sguardo a tutto il mondo, alla santa Chiesa e al suo futuro, non sarà spero ritenuto inopportuno che io rinnovi quella condanna che già così spesso ho pronunciato.
Il liberalismo in campo religioso è la dottrina secondo cui non c‟è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro, e questa è una convinzione che ogni giorno acquista più credito e forza. È contro qualunque riconoscimento di una religione come vera. Insegna che tutte devono essere tollerate, perché per tutte si tratta di una questione di opinioni. La religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e una preferenza personale; non un fatto oggettivo o miracoloso; ed è un diritto di ciascun individuo farle dire tutto ciò che più colpisce la sua fantasia. La devozione non si fonda necessariamente sulla fede. Si possono frequentare le Chiese protestanti e le Chiese cattoliche, sedere alla mensa di entrambe e non appartenere a nessuna. Si può fraternizzare e avere pensieri e sentimenti spirituali in comune, senza nemmeno porsi il problema di una comune dottrina o sentirne l‟esigenza. Poiché dunque la religione è una caratteristica così personale e una proprietà così privata, si deve assolutamente ignorarla nei rapporti tra le persone. Se anche uno cambiasse religione ogni mattina, a te che cosa dovrebbe importare?».
Newman, l‟esploratore, lo speleologo di carte e libri, lo scrittore instancabile e indefettibile è paragonabile allo scriba di cui parla Gesù: «Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche»3. Tutta un‟esistenza trascorsa nei labirinti dell‟intelletto per permettere allo spirito di respirare, di librarsi nelle altitudini delle certezze divine, andando contro anche ai propri gusti, sentimenti, simpatie, lacerando, con profondo dolore, legami affettivi, di amicizia e di lunga collaborazione: c‟è, nella sua scala di valori e virtù, la preminenza della verità sulla bontà e sicuramente la preminenza della verità sul consenso, sull‟essere accettati dal gruppo, con il rischio, come accadde, di restare solo e di diventare,
come avvenne, bersaglio privato e pubblico di biasimi, riprovazioni e calunnie.
Era orgogliosamente inglese: «Ritengo, è vero, che gli inglesi siano più sospettosi e bizzarri di tutto il genere umano; che siano irragionevoli e ingiusti quando si accalorano; ma preferirei essere inglese (come difatti sono) che appartenere a qualsiasi altro popolo della terra. Gli inglesi, quanto son frettolosi e ruvidi, tanto son generosi, e quando commettono un‟ingiustizia il loro pentimento poi è più grande del peccato».
Scrittore per vocazione, come si potrebbe dire, aveva una facilità estrema nel concretizzare i concetti in parole, così come era abilissimo nell‟oratoria, spesso infarcita, come pure la prosa, di acume e arguzia, condite da verve, brio e humor tutto inglese, capace persino di canzonare sé e gli altri.
Dal multiforme epistolario, grazie anche all‟estensione del tempo – novant‟anni di vita – possiamo carpire tutte le sfaccettature della sua personalità e i toni, i colori, delle sue giornate. Il figlio, il fratello, l‟amico, il discepolo, il maestro, Newman si tinge ora di gioia ora di energia, ora di tenerezza ora di dolore, mentre la Fede è il filo d‟oro che lega ogni suo scritto. «Possiamo osservare che sovente presentava aspetti differenti di una stessa questione a persone diverse, il che richiede la lettura attenta di parecchie lettere per conoscere bene il suo punto di vista e i suoi sentimenti riguardo a una determinata questione. È molto facile far dire a Newman le cose più variegate con citazioni frammentarie dei suoi scritti». Quest‟ultima affermazione è molto interessante e altrettanto importante perché in essa risiede uno dei sistemi utilizzati dagli studiosi scorretti.
Ha scritto Joseph Ratzinger, grande estimatore del convertito inglese, che nel gennaio 1946 ebbe, presso il Seminario di Frisinga, un fortunato incontro intellettuale e spirituale con il pensiero teologico di Newman:
«Non esito a dire che la verità sta al centro della sua ricerca spirituale: la coscienza è centrale per lui perché lo è la verità. In altre parole: la centralità del concetto di coscienza in Newman deriva dalla centralità del concetto di verità, e solo in base ad essa si può comprendere. La dominanza dell‟idea di coscienza non significa che Newman rappresenti una sorta di filosofia o teologia soggettivistica del XIX secolo, opposta alla neoscolastica “oggettivistica”. Certo, il soggetto trova in lui un‟attenzione che nella teologia cattolica non aveva più conosciuto forse dal tempo di Agostino; ma è un‟attenzione nella linea di Agostino, non in quella della filosofia soggettivistica moderna. Quando fu eletto Cardinale Newman confessò che la sua intera vita era stata una battaglia contro il liberalismo. Potremmo aggiungere: anche contro il soggettivismo cristiano che trovò nel movimento evangelico del suo tempo, benché questo gli avesse donato il primo stadio del suo continuo cammino di conversione»7.
Il mio ringraziamento più sentito è rivolto alla preziosa disponibilità di Suor Irene Felder FSO del Centro Internazionale degli Amici di Newman a Roma, sorto nel 1975 e diretto dai membri della Famiglia spirituale “L‟Opera”; inoltre alla Casa Editrice Jaka Book, che in Italia pubblica le opere di John Henry Newman.
1. IL DISEGNO PREMONITORE
John Henry Newman si pone fra i più grandi pensatori, filosofi e teologi della storia dell‟umanità: la sua bibliografia8 che si è andata edificando nel mondo, nell‟arco dei centoventi anni dalla sua morte, è sterminata. Con lo spirito dell‟esploratore, attento e scrupoloso, ha sondato palmo palmo il groviglio interminabile di strade che è il Protestantesimo, come calvinista e poi come anglicano, per infine assurgere con gioia alla Chiesa petrina, come poté sperimentare un altro convertito d‟eccezione, sant‟Agostino (354-430 d.C.). Newman si comportò come un capitano che governa il suo cacciatorpediniere con destrezza e competenza, e senza dare tregua alcuna all‟obiettivo, giunse, con grande umiltà e altrettanto zelo, alla meta agognata.
«Sono stato educato nell‟infanzia a trarre grande piacere dalla lettura della Bibbia, ma non ho avuto solide convinzioni religiose sino ai quindici anni», così Newman apre il secondo paragrafo di quel capolavoro intitolato Apologia pro vita sua, che scrisse nel 1864 per controbattere chi, dopo la sua conversione, lo aveva attaccato con acidità e vetriolo. Leggiamo ancora nella sua straordinaria autobiografia, registrata in un inglese perfetto, scorrevolissimo e armonico, scritto di getto e da leggersi tutto d‟un fiato:
«Quando ero a Littlemore9, una volta sfogliai dei vecchi quaderni dei miei giorni di scuola. Fra gli altri trovai il mio primo quaderno di versi latini e nella prima pagina c‟era un emblema che quasi mi mozzò il fiato dalla sorpresa. Ho il quaderno davanti a me in questo momento e l‟ho appena fatto vedere ad altri. Nella prima pagina avevo scritto con la mia calligrafia da scolaretto: “John H. Newman, 11 febbraio 1811, libro di versi”. Fra “libro” e “versi” avevo disegnato.la figura di una robusta croce, ben dritta, e accanto una figura che magari avrà voluto essere una collana, ma in cui ora non riesco a vedere altro che un rosario a mezz‟aria, con attaccata una crocellina. A quel tempo non avevo ancora dieci anni»10.
Non aveva ancora dieci anni, ma già la Croce, già la corona del Rosario erano nella sua vita. Eppure quelle immagini11 non avrebbero proprio dovuto esserci nella matita di Newman, vista l‟avversione che i protestanti hanno nei confronti dell‟uso delle croci e della devozione alla Beata Vergine Maria, è pertanto da ritenersi strano, come afferma lo stesso autore dell‟Apologia, «che fra mille oggetti che cadevano sotto i miei occhi di bambino, proprio questi mi si fissassero nella memoria al punto di diventare cosa mia» e sottolinea, con sicurezza: «Sono certo che nelle chiese che frequentavo e nei libri che leggevo non v‟era nulla che potesse suggerirmeli», allo stesso tempo tiene precisare: «Si tenga presente che le chiese anglicane e i libri di preghiera non avevano a quel tempo gli ornamenti che credo abbiano oggi»12.
Il bambino, di religione protestante, era nato nella City londinese il 21 febbraio 1801 e fu battezzato il 9 aprile nella vicina chiesa anglicana di Saint Bennet Fink. Era il primogenito di John Newman (1767-1824), di famiglia d‟origine ebraica olandese, e Jemina Fourdrinier (1772-1854). I Newman erano sarti e agricoltori di Swaffham, nel Cambridgeshire, ma il padre di John Henry, uomo intraprendente, tentò la scalata sociale. Non si accontentò di gestire il negozio paterno di articoli coloniali nel quartiere Holborn di Londra e volle di più: ottenne un posto come impiegato in un‟azienda commerciale. Nel 1794 era socio dell‟impresa denominata Harrison, nella quale era entrato come semplice stipendiato. I sogni di John Newman si concretizzarono allorquando, all‟età di trentadue anni, sposò, nell‟ottobre del 1799, la benestante Jemina, discendente di una famiglia ugonotta francese, che aveva trovato rifugio in Inghilterra a causa della persecuzione religiosa. I Fourdrinier erano ricchi fabbricanti di carta. Proprio nel 1799 l‟impresa prese il nome di Harrison, Pricket and Newman. Nel 1812, già padre di sei figli, John partecipò attivamente alla fondazione, durante la prodigiosa avanzata della rivoluzione industriale, quando l‟Inghilterra divenne in pratica il grande istituto di credito d‟Europa, della Banca Ramsbotton di Newman e Ramsbotton, con sede al numero 72 di Lombard Street, antica residenza dei Fourdrinier.
La dimora dove John Henry nacque si trovava in Old Broad Street, dove attualmente si trovano i palazzi della Borsa di Londra. Per la villeggiatura, fino al 1805, la famiglia si recava nella casa di campagna a Fulham, sul Tamigi. Qui John Henry trascorse i suoi giorni più spensierati.
Nel 1802 la famiglia traslocò nella magnifica abitazione di Southampton Street e qui nacquero gli altri cinque figli: Charles Robert (1802), Harriet Elizabeth (1803), Francis William (1805), Jemina Charlotte (1808), Mary Sophia (1809). La vita scorreva agiata e serena, fra domestici e impegni mondani, con un padre, patriota, dedito agli affari e alla famiglia, e un‟ottima e fedele moglie e madre, seppure un po‟ spendacciona e non certo affidabile amministratrice. Entrambi erano amanti della musica e fra i primi acquisti per l‟arredamento della nuova casa di Southampton Street ci fu quello di un bellissimo pianoforte. Mentre Jemina infuse nei figli il credo cristiano, John si considerava un “uomo di mondo” e non possedeva alcuno spirito religioso. «Pensava, a questo riguardo, che fosse praticamente impossibile avere delle certezze». Molto diversi erano, invece, i piccoli Newman, che, grazie agli insegnamenti materni, cresceranno nel Cristianesimo. «Pare che John Newman fosse frammassone, e che nonostante il suo scarso istinto religioso, si fosse guadagnato una meritata fama di uomo moralmente integro fra coloro che lo conoscevano e lo frequentavano». Nel 1804 la residenza di campagna mutò sede e fu sostituita, fino al 1808, con la più prestigiosa casa su tre piani e in stile georgiano di Ham, vicino a Richmond. Qui John Henry trascorse quattro estati e di questo luogo ricorderà le candele accese alle finestre per festeggiare la vittoria inglese di Trafalgar15 nell‟ottobre del 1805, con la medesima «pietosa insania che fa cari gli orti / de‟ suburbani avelli alle britanne / vergini, dove le conduce amore / della perduta madre, ove clementi / pregaro i Geni del ritorno al prode / che tronca fe‟ la trïonfata nave / del maggior pino, e si scavò la bara»16.
Anche la casa di Ham viene lasciata e la famiglia Newman si trasferisce a Vine Cottage di Norwood, terza residenza estiva. Spesso, mentre i genitori vivono a Londra, i figli sono in compagnia della nonna e della zia paterne. I tre maschi frequentano, come interni, la scuola di Ealing, nei pressi di Ham. John Henry vi viene ammesso il 1° maggio 1808 e vi resterà fino al 1816. Per le ragazze è prevista l‟istruzione precettoriale, con lezioni private a casa. Fratelli e sorelle crescono nell‟armonia e nell‟affiatamento reciproco, non sentendo la necessità dell‟evasione e non frequentando neppure altre amicizie, perché ludicamente appagati fra di loro. Questa dimensione educativa contribuirà a formare personalità decisamente indipendenti.
John Henry era un bambino che lavorava parecchio di fantasia. La sua immaginazione si sbizzarriva in mille favole e sogni, tanto da pensare che la vita potesse essere un frutto onirico, «oppure io essere un angelo, e tutto questo mondo un inganno, dove i miei compagni angelici, per un giocoso stratagemma, mi si nascondevano e m‟illudevano con l‟apparenza di un mondo materiale»17. Si figurava anche un mondo abitato dalla presenza degli angeli, ma in incognito.
La propensione agli studi e l‟intelligenza fuori dal comune di John Henry si manifestarono fin da subito. Il suo temperamento, di stampo più meditativo e riflessivo, che espansivo e sociale, trovava il suo habitat migliore nella solitudine, «sembrava vivere in un mondo tutto suo»18. A scuola, nonostante questo carattere decisamente riservato, e nonostante non fosse prestante fisicamente come i suoi fratelli Charles e Francis, diventò popolare e si fece ben volere sia dai professori che dai compagni.
È vorace di letture. Accoglie con entusiasmo i romanzi di Walter Scott (1771-1832), l‟autore che richiama i lettori ai tempi fausti del Medioevo, e ricerca, soprattutto, i libri di carattere religioso, diventando conoscitore approfondito della Bibbia. Nell‟ultimo anno a Ealing, John Henry conosce il pastore evangelico, molto attivo e intransigente, della Chiesa d‟Inghilterra, Walter Mayers (1790-1828) di venticinque anni, professore a Ealing, poi vicario di Worton, nell‟Oxfordshire, dove Newman pronuncerà il suo primo sermone il 23 giugno 1824. Egli riesce ad avere una grande influenza sul giovane Newman, preparato e avido di conoscenze. Inizia così a leggere gli autori classici della pietà calvinista, come Thomas Scott (1747-1821), Joseph Milner (1744-1797), William Beveridge (1637-1708), Thomas Newton (1704-1782), Philip Doddridge (1702-1751). Il discepolo del reverendo Mayers «impara a desiderare e a coltivare la serietà religiosa, cioè l‟impegno pratico di professare il vero Cristianesimo senza indulgere a facili concessioni al mondo».
Newman sarà sempre riconoscente ai professori, alle guide, agli amici che incontrerà nel suo cammino e, nonostante i suoi radicali cambiamenti, che lo condurranno alla conversione al Cattolicesimo, nonostante la parabola intellettiva e spirituale della sua travagliata esistenza conoscitiva, non rinnegherà mai nessuna persona incrociata nella sua lunga vita, non biasimerà od offenderà mai nessuno. Sarà sì pungente critico di insegnamenti, dottrine, principi, credi, ma non attaccherà i loro portavoce, anzi, considererà sempre provvidenziali gli incontri con questi maestri, vere e proprie tappe di sosta, secondo lui, volute e permesse da Dio per il suo raggiungimento della Verità, in una concezione provvidenziale della Storia, anche personale, di dantesca memoria.
17. NEWMAN MODERNISTA?
Newman aveva un fascino irresistibile. Quando predicava ogni domenica dal pulpito della chiesa di St. Mary sembrava capace di trasformare e rinnovare la Chiesa d‟Inghilterra. Tutti attendevano con ansia la sua incantevole voce, come hanno ampiamente testimoniato i suoi contemporanei. Quei sermoni si trasformavano in vere e proprie perorazioni della Chiesa cattolica e non fu più il geniale accademico propositivo e desideroso di rinnovamento a parlare, ma l‟umile sacerdote che si mise a cantare con magistrale talento le bellezze dei tesori custoditi dalla Chiesa di Roma.
Newman fu in grado di captare ciò che oggi viviamo fuori e dentro la Chiesa. Mantenne, sia prima che dopo, la sua lucidissima capacità analitica. Aveva la dote di esaminare a fondo i problemi religiosi ed ecclesiologici e non solo di trarne le conclusioni, ma di comprendere gli intricati meccanismi, come risulta evidente da alcune riflessioni che oggi ci appaiono a dir poco illuminanti sull‟attuale stato di cose:
«Noi viviamo in un secolo straordinario; l‟orizzonte della scienza laica si è allargato in un modo che oggi è semplicemente sbalorditivo, tanto più in quanto promette di seguitare, con rapidità ancora maggiore e risultati ancora più clamorosi. Ora queste scoperte, sicure o probabili, hanno in realtà un‟attinenza indiretta con le opinioni religiose, e sorge il problema di come armonizzare le rispettive esigenze della rivelazione e della scienza naturale. Sono poche le persone serie che possano davvero starsene tranquille senza una certa base razionale per le loro credenze religiose; si può dire che la mente abbia quasi l‟istinto di cercare l‟accordo della teoria con la realtà».
Il liberalismo, come un leitmotiv che accompagna lungo il tempo Newman, ritorna con frequenza e sempre nuove analisi, giungendo a sostenere con lungimiranza ammirabile che non si può quasi più identificarlo con un partito, poiché esso coincide con tutto il mondo della cultura laica. Quando era giovane, sentì per la prima volta la parola “liberalismo” nel 1822, come titolo del periodico “The Liberal” (che comparve in soli quattro numeri) lanciato da Lord Byron (1788-1824): «Oggi come allora non ho simpatia per la filosofia di Byron. Poi il liberalismo diventò l‟emblema di una scuola teologica, arida ed antipatica, non solo pericolosa in sé, ma pericolosa in quanto apriva la porta a mali che neppur prevedeva né capiva».
Newman comprese la radice del male chiamato liberalismo, un male che sarà combattuto fortemente nel magistero papale, da Pio VI a Benedetto XV, il quale nella Lettera Exeunte iam anno (7 marzo 1917) scrisse:
«Dopo i tre secoli dalle origini della Chiesa, nel corso dei quali il sangue dei cristiani fecondò l‟intera terra, si può dire che mai la Chiesa ha corso un tale pericolo come quello che si manifestò alla fine del XVIII secolo. Fu allora, infatti, che una Filosofia in delirio, prolungamento dell‟eresia e dell‟apostasia dei novatori, acquistò sugli spiriti una potenza universale di sedizione e provocò uno sconvolgimento totale con il proposito determinato di rovinare i fondamenti cristiani della società, non solo in Francia, ma, a poco a poco, in tutte le nazioni».
[…]
Scriveva il Cardinale Louis Billot (1846-1931), gesuita: «Il liberalismo dei “cattolici liberali” sfugge a ogni classificazione, e non ha che un‟unica nota distintiva e caratteristica, quella della perfetta e assoluta incoerenza»261.
Molti cattolici e protestanti chiesero più e più volte a Newman di occuparsi di dirimere filosoficamente e teologicamente tale difficile questione, ma egli non accettò mai, perché vedeva diversi e gravi ostacoli nel cimentarsi in questo impegno: «Uno dei più gravi è che, ora come ora, è tanto difficile dire esattamente cosa si deve affrontare e rovesciare […]. In questo stato di cose mi sembra poco dignitoso per un cattolico mettersi ad inseguire quelli che potrebbero risultare fantasmi». Un suo esporsi lo considera un‟imprudenza e «nelle recenti decisioni dell‟autorità vedo una conferma delle mie previsioni […] e ci insegnano quella vera saggezza che Mosè inculcava al suo popolo inseguito dagli Egiziani: “Non abbiate timore, state quieti; il Signore combatterà per voi, ed avrete la pace” […]. Se vogliamo renderci conto con esattezza del vero corso di un‟idea bisogna guardarlo da una certa distanza, in una prospettiva storica. Tutto quel che è seguito da strumenti umani ha delle irregolarità, e offre spunti alla critica quando viene esaminato nei suoi minuti particolari»262.
Da qui Newman prende spunto per affermare che uno dei rimproveri mossi con frequenza alla Chiesa cattolica è quello di non aver fatto nulla di nuovo e di avere soltanto servito da remora o freno allo sviluppo della dottrina, ma questa è «un‟obbiezione che io accetto come verità: perché penso che quello sia proprio lo scopo principale del suo straordinario dono».
Saggia è poi la sua considerazione sul fatto che la molteplicità delle nazioni che sono nell‟ovile della Chiesa siano una ricchezza per essa e trova che sarebbe molto grave se la Chiesa in Europa si restringesse nell‟ambito delle singole nazionalità, perciò considera una grande idea introdurre la civiltà latina in America e rafforzarvi il Cattolicesimo con l‟energia dello zelo francese, ritenendo che la perdita degli inglesi e dei tedeschi, con il Protestantesimo, sia stata una gravissima disgrazia per la Chiesa. Ma grande è la gratitudine «di noi inglesi verso Pio IX» per aver ripristinato in Inghilterra la gerarchia cattolica (1850); prima di allora, infatti, la Gran Bretagna era retta, come terra di missione, da Vescovi dipendenti dalla Congregazione di Propaganda Fide e considerati vicari apostolici, perciò «egli ha preparato la strada perché la nostra mentalità, la nostra maniera di ragionare, i nostri gusti, le nostre virtù, trovino posto, e quindi santificazione, nella Chiesa cattolica».
Come anglicano non comprendeva la devozione sollecita per Maria Vergine e per i santi, ma da cattolico, avendo compreso tutte le ragioni del Credo, si avvicinò ad essa con pio trasporto, dedicando anche profonde meditazioni e toccanti preghiere. Una particolare devozione nutriva anche per il suo angelo custode e considerava i miracoli come la risposta di Dio alla Fede e alla preghiera, ecco perciò la loro irregolarità sia nel tempo che nello spazio.
Non si può, inoltre, tacere il commento che Newman rivolge ai preti cattolici. Quando si convertì venne colpito dalla franchezza dei sacerdoti, una franchezza «veramente inglese» e non vi era nessuna traccia dell‟untuosità e artificiosità di cui aveva tanto sentito parlare, anzi, «erano più naturali e spontanei di tanti preti anglicani». Di più, i molti anni che trascorse nella Chiesa di Roma «non hanno fatto che rafforzare quella mia prima impressione».
La cattolicità che conobbe Newman non era quella infettata dall‟apostasia dei giorni nostri, dagli scandali più infimi e dalle maldicenze, infatti «ora che sono nella Chiesa da ormai diciannove anni, non mi ricordo di aver mai sentito citare, in Inghilterra, un solo esempio di prete infedele». Quanta infedeltà arriverà negli anni a venire… conseguenza di quel liberalismo paventato dallo stesso autore dell‟Apologia. In aggiunta, Newman affermava che i protestanti osservavano spesso, con ammirazione, la straordinaria disciplina seguita dal clero cattolico, tanto da considerare la Chiesa di Roma un caso unico nel mondo. Ebbene, «qual è dunque il meraviglioso incantesimo che fa agire mille persone allo stesso modo, e infonde loro uno spirito di obbedienza pronta ed immediata come se fossero sotto una severa legge militare? Com‟è difficile trovare risposta, se non volete accettare quella ovvia: che queste persone credono intensamente in quel che professano di credere!». È la Fede che unisce la Chiesa, questo l‟unico e vero collante. Molti teologi del Novecento, che hanno influenzato le facoltà teologiche e lo stesso Concilio Vaticano II, l‟hanno invece posta in secondo piano, anteponendole e contrapponendole la carità. La carità isolata dalla Fede è, però, un amore orizzontale rivolto principalmente, quando non esclusivamente, verso l‟uomo, con l‟inevitabile conseguenza della riduzione del Cristianesimo a dottrina sociologica e alla creazione di una religione umanitaria.
La carità è la somma virtù teologale: questo significa che è al culmine del cammino religioso e che ha per oggetto Dio. Tutta la vita del credente ha razionalmente per fine Dio stesso: l‟uomo è creato da Dio ed è creato per Dio e, dunque, non trova la sua finalità in se stesso, ma in Lui; non esiste alcun essere che possa avere una finalità ultima diversa da Dio e dalla Sua gloria. Risulta evidente che la stessa carità non è altro che il riconoscimento di una realtà oggettiva: Dio, che è infinito, ama me, che sono finito, ed io non ho altra possibilità di realizzazione se non con l‟adesione totale e amorosa a Dio, alla Sua volontà e, quindi, alla Sua gloria.
Lo stesso amore verso gli altri uomini non ha altra ragione e giustificazione, se non l‟obbedienza al comando divino o, negli spiriti più elevati, l‟adesione al suo amore per ciascun uomo. Ne consegue che non esiste nulla di più lontano dalla carità cristiana di ogni idea sociologica, di ogni ideologia politica e di ogni tentativo di rendere perfetta la società umana. La carità verso il prossimo è il secondo, subordinato e non assoluto comando di Dio, dove il primo assoluto, totale e incondizionato è l‟amore verso il Creatore.
Da tutto ciò consegue che la carità dei modernisti è la satanica perversione politica della somma virtù cristiana: corruptio optimi pessima (la corruzione di una cosa ottima è pessima, sottinteso non solo cattiva), come insegna san Tommaso d‟Aquino.
La causa di questa corruzione risiede, proprio, nella mancanza di Fede: una volta caduta quest‟ultima, rimane solo l‟uomo a cui riferire tutto ciò che bisogna riferire a Dio. La religione, quindi, diviene politica ed ideologia, con l‟assurdo risultato che all‟eternità metafisica di Dio si sostituisce la presunta eternità di un regime.
È sorprendente notare come, dal momento in cui si fece cattolico, Newman trovò la quiete di anima e mente, ma smise di mietere successi e consensi nel mondo. Sapeva, però, che bisognava passare, in un modo o nell‟altro, attraverso la sofferenza: qui risiede la vera Fede, perciò, secondo lui l‟autentico credo in questo mondo non si manifesta nella pace, ma piuttosto nel conflitto, nel guadagnare la felicità attraverso l‟infermità, perché la condizione dell‟uomo è quella di chi è caduto «e per uscire dal paese del peccato, vi deve necessariamente passare»269.
Fu una grande sofferenza perdere tanti amici del cuore, fra i quali Keble, che chiese perdono a Newman con una lettera, dopo diciassette anni di penoso silenzio. «Piantare la croce di Cristo nel cuore è faticoso e gravoso», disse un giorno Newman, ma poi «l‟albero si erge imponente, e ha rami belli e frutti abbondanti, ed è bello da guardare»270.
Fu un uomo di Dio che vegliò e combatté tutta la vita contro le dottrine errate ed eretiche – il Protestantesimo, l‟Anglicanesimo, il liberalismo – a costo di inimicarsi le persone, pagando su di sé, goccia a goccia, il cambiamento del proprio pensiero e della propria Fede religiosa.
Ebbe in dono da Papa Gregorio XVI un crocefisso d‟argento con una reliquia della Santa Croce e gli scrisse una lettera di ringraziamento in latino, lettera che suscitò l‟ammirazione della Curia romana per la padronanza della lingua sacra. Il 1° novembre 1845 ricevette il sacramento della Cresima dal Vicario apostolico Wiseman, il quale gli propose di andare presso il Collegio romano de Propaganda Fide per approfondire la teologia cattolica e prepararsi per l‟ordinazione sacerdotale.