Costantino millesettecento anni dopo: la Chiesa imperiale di Giovanni Paolo II
A distanza di secoli, la polemica contro la Chiesa “costantiniana” è sempre viva. L’ultima sua versione è l’accusa di ridurre la fede a religione civile, congiunta alle potenze del mondo. Un libro di Giovanni Maria Vian
di Sandro Magister
ROMA – Il 16 aprile Giovanni Paolo II ha inviato un messaggio ufficiale al presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, monsignor Walter Brandmüller, raccomandando vivamente una “conoscenza sempre più approfondita” della storia e in particolare della storia della Chiesa. Essa, ha detto, è “magistra vitae christianae” e può molto insegnare ai cristiani d’oggi.Tra gli storici del Pontificio Comitato c’è Giovanni Maria Vian, autore di un libro – uscito da pochi giorni in Italia – dedicato proprio al falso più famoso e discusso della storia del papato: la donazione di Costantino.
La donazione di Costantino è l’atto con cui quell’imperatore – alla vigilia di trasferirsi a Costantinopoli – avrebbe concesso a papa Silvestro e ai suoi successori il dominio su Roma, l’Italia e l’occidente.
L’atto comparve per la prima volta nell’VIII secolo, quattrocento anni dopo Costantino. Già verso il 1000 fu messo in dubbio dallo stesso papa dell’epoca, il colto Silvestro II. Nel XV secolo fu definitivamente smascherato come falso dal vescovo Niccolò da Cusa e dall’umanista Lorenzo Valla. E dopo il Concilio di Trento più nessuno vi dette credito, ai vertici della Chiesa.
Solo in alcune fasi storiche, dunque, il papato utilizzò quel documento a proprio sostegno.
Ma, di fatto, la donazione di Costantino è stata da subito e per sempre eletta a simbolo del potere politico della Chiesa romana, bersaglio di critiche severissime da parte di Dante, Machiavelli, Lutero… fino ai giorni nostri, fuori e dentro la Chiesa.
Anche dopo la perdita dello stato pontificio e di Roma nel 1870, anche dopo i patti del 1929 con la nascita della Città del Vaticano, e anche dopo l’abbandono della tiara nel 1964, il papato ha continuato a essere preso di mira come espressione nefasta di una Chiesa “costantiniana”.
Epicentro dell’odierna polemica anticonstantiniana sono stati gli anni del Concilio Vaticano II.
Nell’ultimo capitolo del suo libro, Vian tratteggia con molta chiarezza le due tesi che allora si fronteggiavano.
Per gli anticostantiniani, Vian riporta una pagina del diario di Yves Congar, teologo domenicano di primissimo piano e futuro cardinale, scritta proprio il giorno dell’apertura del Concilio, l’11 ottobre 1962:
“Vedo il peso, non denunciato, dell’epoca in cui la Chiesa signoreggiava, in cui aveva un potere temporale, in cui i papi e i vescovi erano dei signori, avevano una corte, proteggevano gli artisti, aspiravano a una pompa uguale a quella dei Cesari. Questo la Chiesa non l’ha mai ripudiato, a Roma. L’uscita dalla Chiesa costantiniana non è mai stato il suo programma. Il povero Pio IX […] è stato chiamato da Dio […] a fare uscire la Chiesa dalla miserabile donazione di Costantino, convertendola a un evangelismo che le avrebbe permesso di essere meno ‘del’ mondo e più ‘nel’ mondo. Ha fatto esattamente il contrario. Uomo catastrofico, che non sapeva nemmeno cosa era l’ecclesia. […] E Pio IX regna ancora. Bonifacio VIII regna ancora: lo si è sovrapposto a Simon Pietro, l’umile pescatore di uomini”.
E ancora Congar, in una pagina del suo diario di tre giorni dopo:
“Tutto questo che è la parte non cristiana della Chiesa romana e che condiziona, o piuttosto impedisce l’apertura a un compito pienamente evangelico e profetico: tutto questo viene dalla menzogna della donazione di Costantino. Lo vedo con evidenza in questi giorni. Non vi è nulla di decisivo da fare finché la Chiesa romana non sia uscita totalmente dalle sue pretese feudali e temporali. Bisognerà che tutto questo sia distrutto: e lo sarà!”.
Sul fronte opposto, Vian cita Jean Daniélou, gesuita, anch’egli teologo e poi cardinale.
In un suo libretto del 1965, “La preghiera problema politico”, Daniélou rimprovera agli anticostantiniani di volere una Chiesa “pura”, simile a “una confraternita degli iniziati”, e con ciò di perdere proprio quei “poveri” che a loro starebbero tanto a cuore: i poveri “nel senso dell’immensa marea umana”, fatta anche di “quei numerosi battezzati per i quali il cristianesimo non è altro che una pratica esteriore”.
Per Daniélou la Chiesa non dev’essere “svincolata dalla civiltà in cui si teme possa compromettersi”. Al contrario, è essenziale che “si impegni nella civiltà, perché un popolo cristiano è impossibile in una civiltà che gli sia contraria”. Di qui la difesa che egli fa di Costantino, l’imperatore romano che per primo consentì al cristianesimo di diventare una religione di massa:
“Questa estensione del cristianesimo a un immenso popolo, che rientra nella sua essenza, era stata ostacolata durante i primi secoli dal fatto che andava sviluppandosi all’interno di una società […] ostile. L’appartenenza al cristianesimo richiedeva quindi una forza di carattere di cui la maggior parte degli uomini è incapace. La conversione di Costantino, eliminando questi ostacoli, ha reso l’Evangelo accessibile ai poveri, cioè proprio a quelli che non fanno parte delle élite, all’uomo della strada. Lungi dal falsare il cristianesimo, gli ha permesso di perfezionarsi nella sua natura di popolo”.
La polemica anticostantiniana attraversò l’intero Concilio Vaticano II. Paolo VI ne mise in luce un aspetto contraddittorio quando, il 17 novembre 1965, mentre si stava votando il documento sulla libertà religiosa, fece notare che tale libertà era stata riconosciuta alla Chiesa proprio da Costantino:
“… questo imperatore, oggi tanto avversato da quelli stessi che patrocinano la libertà religiosa da lui inaugurata!”.
Ma fu soprattutto nel dopoconcilio che Paolo VI vide i pericoli della polemica anticostantiniana. Così li descrisse, in un discorso del 24 settembre 1969:
“Oggi non è raro il caso di persone, anche buone e religiose, giovani specialmente, che si credono in grado di denunciare tutto il passato della Chiesa […] come inautentico, superato e ormai invalido per il nostro tempo; e così, con qualche termine ormai convenzionale, ma estremamente superficiale ed inesatto, dichiarano chiusa un’epoca constantiniana, preconciliare, giuridica, autoritaria, e iniziata un’altra libera, adulta, profetica. […] Per essere oggi veramente fedeli alla Chiesa dovremmo guardarci dai pericoli che derivano dal proposito, tentazione forse, di innovare la Chiesa con intenzioni radicali e metodi drastici, sovvertendola”.
Oggi, regnante Giovanni Paolo II, la polemica anticostantiniana non si è attenuata. E colpisce lo stesso papa, accusato di voler fare della Chiesa una “forza sociale” e di pretendere la trascrizione politica dei precetti da lui predicati.
L’ultima variante di questa critica è l’accusa rivolta contro il papa e il suo cardinale vicario, Camillo Ruini, di “falsificare” la fede riducendola a “religione civile”, congiunta alle potenze del mondo.
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Il libro:
Giovanni Maria Vian, “La donazione di Costantino”, > il Mulino, Bologna, 2004, pp. 246, euro 13,00.
L’autore insegna filologia patristica nell’Università di Roma “La Sapienza”. Ha tra l’altro pubblicato “Bibliotheca divina. Filologia e storia dei testi cristiani”, tradotto anche in spagnolo e già recensito in questo sito:
> Quella scrittura che comincia in Galilea (29.8.2001)