(l’Espresso) La pesante situazione dei cristiani in India

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L’India della beata Teresa è anche quella dei martiri cristiani
L’ultimo è caduto ucciso il 7 ottobre. I vescovi denunciano la persecuzione, ma la loro voce è poco ascoltata. L’impressionante silenzio dei vertici della Chiesa

di Sandro Magister

ROMA – Domenica 19 ottobre Giovanni Paolo II eleva agli altari madre Teresa di Calcutta. E l’India festeggia. Il governo di Delhi ha istituito un premio nazionale annuo in onore della beata.

Ma dietro questa facciata radiosa ed ecumenica, le cronache dicono anche altro.

Il 7 ottobre l’odio anticristiano ha fatto in India un’ultima vittima: padre Sajeevanand Swami, 52 anni, nativo del Kerala, sacerdote della diocesi di Bangalore.

Padre Sajeevanand aveva fondato 18 anni fa un ashram, un eremitaggio, nelle campagne di Bellur, presso Kolar, nello stato indiano del Karnataka. Aveva dato all’ashram il nome di Satyadeepam, vera luce, e lì conduceva vita monastica. Faceva anche attività agricola con i contadini del villaggio e questo l’aveva messo in urto con dei cavatori di granito.

Uno di costoro, con una banda di suoi uomini, ha aggredito il sacerdote e l’ha massacrato a morte. Sei degli aggressori sono stati arrestati.

Ma che dietro l’uccisione vi fossero moventi più generali è convinzione diffusa dei cattolici indiani. Sajan Geroge, responsabile del Local Council of India Christians, ha detto all’agenzia vaticana Fides: “Alcuni falsamente attribuiscono la morte del sacerdote a una disputa legata alla proprietà della terra. Invece vi sono molti fondamentalisti indù a Kolar, che stanno dietro l’assassinio. Il governo deve fare di più per proteggere le minoranze”. Si ricorda che negli ultimi sei mesi padre Sajeevanand aveva ricevuto ripetute minacce da uomini del Sangh Parivar, il cartello che accomuna le correnti dell’estremismo indù.

La sua uccisione, in effetti, è l’ultima di una serie di aggressioni, distruzioni, omicidi, che nell’India di questi ultimi anni hanno preso di mira i cristiani. Lo scorso settembre, gruppi di fanatici si sono accaniti contro chiese e conventi di suore cattoliche nello stato di Goa, l’ex colonia portoghese ricongiunta all’India nel 1961, dove i cristiani sono il 30 per cento della popolazione. Ogni notte di Natale, bande induiste usano assaltare le chiese gremite di fedeli.

Degli assassinii, continua a fare grande impressione quello del missionario protestante australiano Graham Stewart Staines e dei suoi due figli di 10 e 7 anni, Phillip e Timothy, nel gennaio del 1999. L’autore del delitto, Ravindra Kumar Pal, più noto col nome di Dara Singh, è stato condannato a morte lo scorso settembre assieme a dodici suoi complici che hanno avuto l’ergastolo. Ma il 10 ottobre egli ha fatto ricorso contro la sentenza, forte di importanti sostegni e di un’amplissima popolarità.

Eppure di tutto questo poco si sa e pochissimo si dice. Le stesse autorità centrali della Chiesa sono taciturne.

Una prova di questo silenzio è ciò che è accaduto in Vaticano lo scorso 6 settembre. Giovanni Paolo II ha ricevuto in visita ‘ad limina’ i vescovi indiani delle regioni ecclesiastiche di Delhi, Agra e Bhopal: quasi la metà del territorio dell’India con circa mezzo miliardo di abitanti, dei quali i cattolici sono lo 0,19 per cento.

Nel suo discorso – l’unico diffuso dalla sala stampa della Santa Sede – il papa ha accennato a “un anno, quello appena trascorso, di incertezza, conflitto e sofferenza per molti in India”.

Ma non ha detto una parola di più.

Quando invece, se il Vaticano avesse diffuso in sala stampa anche il discorso rivolto al papa dall’arcivescovo di Delhi, Vincent M. Concessao, a nome degli altri vescovi, si sarebbe saputo meglio che cosa sta accadendo in India, per la piccola minoranza cattolica.

Segnalando al papa il “crescere del fondamentalismo”, monsignor Concessao ha detto testuale:

“Abbiamo avuto martiri che hanno perso le loro vite e altri che sono stati brutalmente percossi, imprigionati e costretti a vivere sotto costante minaccia e nel pericolo di essere aggrediti, specie nelle zone rurali isolate delle nostre diocesi dove i cattolici sono poverissimi e pochi di numero. Dove le leggi anti-conversione sono entrate in vigore, come nella regione di Bhopal, l’evangelizzazione è diventata estremamente difficoltosa e anche il lavoro di promozione umana è guardato con sospetto. Non solo. C’è anche un movimento capeggiato da un leader politico che fa di tutto per riconvertire i cristiani all’induismo. È chiamato in hindi ‘Ghar Wapsi’ che vuol dire ‘torna a casa’. […] Contro la Chiesa si scagliano false accuse di conversioni forzate e la campagna d’odio arriva fin nelle zone sperdute delle nostre diocesi”.

“L’Osservatore Romano” del 7 settembre ha riportato il discorso di monsignor Concessao in inglese, in caratteri minuti e col titolo burocratico: “L’indirizzo d’omaggio dell’arcivescovo di Delhi”. Niente che richiamasse l’attenzione sui contenuti.

Un analogo silenzio delle autorità ecclesiastiche centrali copre la drammatica situazione dei cattolici di un paese confinante con l’India, il Pakistan.

Il 14 ottobre, è stato un giornale italiano laico, il “Corriere della Sera”, a descrivere questa situazione in un reportage del suo inviato Goffredo Buccini.

In esso si legge tra l’altro:

“A Rawalpindi, a Islamabad o a Lahore il cristianesimo ha la forza delle origini: sotto assedio, pieno di coraggio ostinato. ‘Sappiamo di dover morire un giorno e siamo felici di morire in Cristo’, dice Jamila, infermiera dell’ospedale cristiano di Taxila. Era incinta di 5 mesi, Jamila Nobel, quando i terroristi islamici hanno lanciato tre granate davanti alla cappella, nell’angolo più esposto del piazzale. Alle 7 e 48 di quel 9 agosto 2002 lei e le altre infermiere tornavano tranquille al lavoro dalla preghiera del mattino. Quattro di loro sono morte, ventisei sono state straziate dalle schegge, Jamila ha perso il bambino”.

E ancora:

“Infermiere, preti, assistenti sociali, donne, bambini: più di sessanta cristiani sono caduti sotto il fuoco e le bombe degli estremisti islamici da due anni a oggi. L’attentato più grave, nell’ottobre 2001, a Bahawalpur: diciotto morti. Poi, quattro morti e 40 feriti a Islamabad, sette morti a Karachi, cinque a Murree, la strage di Taxila. L’ultimo sacerdote ucciso, il 4 luglio di quest’anno, si chiamava George Ibrahim e insegnava alla scuola cattolica di Renala Kot, 300 chilometri a sud di Islamabad; era stato minacciato dagli insegnanti musulmani dopo che la regione del Punjab aveva restituito alla Chiesa cattolica la scuola, in precedenza nazionalizzata. ‘Siamo ostaggi’, sospira Anthony Lobo, vescovo di Rawalpindi. Ma anche testardi. ‘La domenica dopo la strage di Bahawalpur, i fedeli a messa erano raddoppiati, non riuscivo a crederci’”.

Tornando all’India, ecco più da vicino le organizzazioni induiste che capeggiano l’offensiva anticristiana:


Quelli della croce uncinata


Diceva Alan Basil de Lastic, arcivescovo cattolico di Delhi dal 1990 al 2000: “Il fronte che aggredisce i cristiani è così composto:

– l’ala politica è il Bjp, Bharatiya Janata Party, il partito nazionalista indiano che è al governo dell’unione e di alcuni Stati;

– l’ala religiosa è il Vhp, Vishwa Hindu Parishad, Consiglio mondiale indù;

– l’ala ideologica è l’Rss, Rashtriya Swayamsevak Sangh, Corpo nazionale dei volontari”.

L’arcivescovo avrebbe potuto aggiungere anche altre sigle. Come lo Shiv Sena, partito al potere nel Maharashtra, capeggiato dall’ex cartoonist Bal Thackeray, un tipaccio ammiratore di Hitler che volta a volta scatena i suoi seguaci contro il “nemico straniero” designato: nell’inverno 1992-93 i musulmani, con 600 uccisi nella sola Bombay da lui ribattezzata Mumbai, e all’inizio del 1999 i giocatori di cricket pakistani.

Oppure il Bajrang Dal, il partito ultraestremista per il quale faceva campagna Dara Singh, il principale condannato per l’uccisione del missionario protestante Graham Stewart Staines e dei suoi due bambini, il 22 gennaio 1999.

O ancora: lo Swadeshi Jagaran Manch, partito protezionista accesissimo contro le industrie estere; il Bharatiya Mazdoor Sangh, sindacato indù di dottrina anticlassista; l’Akhil Bharatiya Vidyarthi Parishad, movimento studentesco della destra indù attivo nelle università.

Sono tutte parti di un medesimo fronte, il Sangh Parivar: comunemente indicato come la fratellanza dello zafferano, dal colore della bandiera dell’induismo nazionalista.

Ma la madre di tutte queste formazioni è una sola: l’Rss.

Come madre, è l’Rss che ha allevato gli uomini di punta del Bjp, il partito oggi al potere a Delhi. Sia la colomba Atal Bihar Vajpayee, l’attuale primo ministro, sia il falco Lal Krishna Advani sono stati membri dell’Rss e lì ideologicamente si sono formati.

Ma il Bjp è un prodotto molto recente, ha avuto i natali nel 1980. Mentre l’Rss risale più addietro, al 1925. E nacque come avanguardia militante di un partito induista, l’Hindu Mahasabha, creato nel 1919 da Veer Savarkar. All’interno dell’Rss c’era poi un nucleo ancor più fanatico, l’Hindu Rashtra Dal, tutto composto di bramini chitpavan. Fu uno di questi bramini, nel 1948, a uccidere Gandhi come traditore dell’induismo da loro teorizzato.

Un induismo pochissimo religioso. Sia Savarkar che il primo capo dell’Rss, Keshav Baliram Hedgewar, non erano affatto dei devoti. Per loro, ciò che i veri indù hanno in comune è il sangue. E quindi l’obbligo di far proprie la civiltà, la cultura, i riti tipici della nazione. Non stupisce che il mito ariano dei nazisti abbia qui trovato alimento, come già prima era avvenuto con i filosofi romantici tedeschi. La croce uncinata è un millenario simbolo indiano e le Ss di Hitler ebbero una fosca similarità con l’Rss dell’India.

In Italia, il monaco Giuseppe Dossetti ha scritto pagine forti su queste connessioni ideologiche, di ritorno da una sua esplorazione dell’India, negli anni Ottanta, che molto l’aveva inquietato. E Renzo De Felice, il massimo studioso di Mussolini, ha messo in luce il fascino esercitato sul duce da Subhas Chandra Bose, uno dei padri dell’indipendenza dell’India, assertore d’una “sintesi tra fascismo e comunismo”.

Stando alla dottrina dell’Rss, l’indiano che si converte a un’altra fede, sia essa il critianesimo o l’Islam, è un deviante che va reciso dal corpo della nazione. A meno che si riconverta. Aggressioni contro i cristiani e mobilitazione per le riconversioni sono le due facce della campagna ideologica scatenata a più riprese dall’Rss.

L’Rss recluta soprattutto tra le alte caste. In linea di principio ammette tutti tra le sue file, anche gli intoccabili, anche gli indiani di altra religione, a patto che accettino l’ideologia del gruppo. Ma di fatto non c’è posto alcuno per loro. La struttura gerarchica è a piramide, con l’autorità che scende dall’alto. Al vertice c’è la sarsanghshalak, il direttivo. E al vertice del vertice c’è il capo supremo, nominato a vita dal predecessore. Sono solo quattro, dall’anno della fondazione, gli uomini che hanno ricoperto questa carica. L’attuale è Rajendra Singh, ex professore di fisica all’università di Allahabad.

Gli affiliati sono circa mezzo milione. E militano in 40 mila unità dislocate sul territorio, specie nel Nord e nell’Ovest del paese. Ogni mattina all’alba, all’aperto, hanno il loro rito di gruppo e in divisa: calzoni corti color kaki, camicia bianca, cintura e berretto neri. Impugnano il bastone e si mettono in fila, in ordine di età. Salutano la bandiera zafferano a doppia coda tenendo il bastone ritto dietro la schiena e portando la mano destra davanti al petto, con la palma rivolta verso terra. Poi rompono le fila e in squadre si esercitano in giochi indiani tradizionali. Infine si schierano di nuovo, a pronunciare in coro formule sanscrite. Il rito dura un’ora.

Ma più che all’addestramento fisico, l’Rss punta a disciplinare le menti. Adesso che il suo figlioccio politico, il Bjp, è al potere, controlla da vicino il ministero dell’Istruzione e la radiotelevisione di Stato. Nei libri di testo delle scuole già si notano riscritture della storia dell’India, in linea con la dottrina del gruppo.

L’Rss recluta i propri affiliati in giovane età. Ha 13 mila scuole tutte sue, con 1 milione 750 mila alunni. Considera le scuole cattoliche le sue più agguerrite rivali, anche per la superiore efficienza rispetto alle scuole di Stato. Spinge perché il governo smetta di pagare gli stipendi agli insegnanti delle scuole private riconosciute. Le vorrebbe costrette a chiudere. Salvo poi smentirsi nella vita quotidiana. Advani, il falco, non solo studiò in gioventù, a Karachi, nella rinomata scuola cattolica di San Patrizio, ma ha fatto studiare le proprie figlie dalle suore di Loreto.

L’Rss è solo per maschi. I più dediti neppure si sposano e mettono l’intero loro tempo a disposizione della causa. Sono i pracharaks, sono 800 e sono i primi a correre sul luogo delle calamità naturali, a portare i soccorsi alle vittime. Proprio come i volontari cristiani che loro, anche per questo, vorrebbero tanto far sparire.

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