(l’Espresso) La nuova evangelizzazione comprende l’arte

  • Categoria dell'articolo:Pubblicazioni

Sharing is caring!

Un catechismo per la civiltà dell’immagine

Nel nuovo “Compendio” della dottrina cattolica entrano anche quattordici capolavori della pittura d’occidente e d’oriente. E il papa ha spiegato perché. Timothy Verdon: “Benedetto XVI ha reso giustizia all’arte cristiana”

di Sandro Magister ROMA, 5 luglio 2005 – Nel nuovo “Compendio” del catechismo della Chiesa cattolica pubblicato da Benedetto XVI il 28 giugno c’è una novità inattesa. In esso spiccano, a colori, quattordici immagini sacre.

Come il papa ha spiegato, le immagini non sono puramente illustrative. Sono parte integrante del nuovo catechismo.

Esse dovranno essere riprodotte in tutte le traduzioni del “Compendio”. E dovranno ritrovarsi sempre nelle stesse posizioni rispetto al testo. Ogni immagine è accompagnata da un accurato commento, ricco di citazioni della Bibbia e dei Padri della Chiesa.

La prima immagine è in apertura del libro, subito dopo il titolo e il “Motu Proprio” papale di approvazione e pubblicazione. È l’icona di Cristo dipinta da Teofane di Creta nel 1456 per il monastero Stavronikita sul Monte Athos.

Altre quattro immagini precedono le quattro parti in cui si articola il volumetto, rispettivamente dedicate al Credo, ai sacramenti, ai comandamenti e al Padre Nostro.

Apre la parte del Credo – intitolata “La professione della fede” – l’Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano, del 1423, conservata a Firenze nella Galleria degli Uffizi.

Fa da introduzione alla parte dei sacramenti – “La celebrazione del mistero cristiano” – un Gesù che dà la comunione agli apostoli del pittore fiammingo Joos van Wassenhove, conservato a Urbino nella Galleria Nazionale delle Marche.

Inaugura la parte dei comandamenti – “La vita in Cristo” – un’illustrazione del Tetraevangelo armeno dipinto da Jacob il Copista, conservato a Vienna nella Biblioteca dei Padri Mechitaristi. L’immagine raffigura l’ultima cena di Gesù con gli apostoli, attorno a una mensa a forma di calice eucaristico.

Precede la parte dedicata al Padre Nostro – “La preghiera cristiana” – un’icona copta della Pentecoste.

Ciascuna delle quattro parti del “Compendio” è poi articolata in due sezioni. E ogni sezione è a sua volta introdotta da un’immagine.

Illustrano le due sezioni della prima parte una miniatura dei sei giorni della creazione tratta dalla Bible de Souvigny della fine del XII secolo, conservata a Moulins nella Bibliothèque Municipale (vedi sopra), e la croce gloriosa che è al centro del mosaico absidale della basilica di San Clemente a Roma.

Illustrano le due sezioni della parte dedicata ai sacramenti un particolare dei mosaici della cappella “Redemptoris Mater” inaugurata in Vaticano nel 1999, con il Cristo crocifisso dal cui fianco sgorgano sangue e acqua, e il Trittico dei Sette Sacramenti di Roger van der Weyden, conservato ad Anversa nel Koniklijk Museum voor Schone Kunsten.

Illustrano le due sezioni della parte dedicata ai comandamenti il San Giovanni che contempla l’Immacolata Concezione di El Greco, conservato a Toledo al Museo de la Santa Cruz, e il Discorso della Montagna dipinto dal Beato Angelico per il Convento di San Marco a Firenze.

Illustrano le due sezioni della parte dedicata alla preghiera un’icona bizantina delle principali feste liturgiche e un altro dipinto di El Greco, l’orazione di Gesù nell’orto, conservato negli Stati Uniti al Museo dell’Arte di Toledo, Ohio.

Infine, un coro di angeli ripreso dal polittico di Jan van Eyck nella cattedrale di Gand apre l’appendice al termine del volumetto, che allinea preghiere e formule della dottrina cristiana in latino e in lingua corrente.

In più, sulla quarta di copertina il “Compendio” ha come logo una figura bucolica ripresa da una pietra sepolcrale cristiana delle catacombe di Domitilla, a Roma, risalente alla fine del III secolo.

La figura – è spiegato – suggerisce il senso globale del nuovo catechismo: “il Cristo buon pastore, che con la sua autorità (il bastone) conduce e protegge i suoi fedeli (la pecora), li attira con la melodiosa sinfonia della verità (il flauto) e li fa riposare all’ombra dell’albero della vita, la sua croce redentrice, che dischiude il paradiso”.


* * *

A Joseph Ratzinger l’utilizzo di queste immagini nella catechesi sta moltissimo a cuore. Nell’introduzione al “Compendio” datata 20 marzo 2005 ha scritto:

“Anche l’immagine è predicazione evangelica. Gli artisti di ogni tempo hanno offerto alla contemplazione e allo stupore dei fedeli i fatti salienti del mistero della salvezza, presentandoli nello splendore del colore e nella perfezione della bellezza. È un indizio, questo, di come oggi più che mai, nella civiltà dell’immagine, l’immagine sacra possa esprimere molto di più della stessa parola, dal momento che è oltremodo efficace il suo dinamismo di comunicazione e di trasmissione del messaggio evangelico”.

Altrettanto esplicito il papa è stato nel discorso tenuto il 28 giugno durante il rito di consegna del nuovo catechismo:

“Immagine e parola s’illuminano a vicenda. L’arte ‘parla’ sempre, almeno implicitamente, del divino, della bellezza infinita di Dio, riflessa nell’icona per eccellenza: Cristo Signore, immagine del Dio invisibile. Le immagini sacre, con la loro bellezza, sono anch’esse annuncio evangelico ed esprimono lo splendore della verità cattolica, mostrando la suprema armonia tra il buono e il bello, tra la ‘via veritatis’ e la ‘via pulchritudinis’. Mentre testimoniano la secolare e feconda tradizione dell’arte cristiana, sollecitano tutti, credenti e non, alla scoperta e alla contemplazione del fascino inesauribile del mistero della redenzione, dando sempre nuovo impulso al vivace processo della sua inculturazione nel tempo”.

E il giorno successivo, 29 giugno, festa dei santi Pietro e Paolo, ha applicato questi enunciati generali a una immagine precisa. In un passaggio dell’omelia della messa, Benedetto XVI ha richiamato l’attenzione sull’immagine d’inizio del “Compendio”, quella che dà l’impronta all’intero catechismo. E così l’ha spiegata:

“All’inizio c’è un’icona di Cristo del XVI secolo, che si trova sul Monte Athos e rappresenta Cristo nella sua dignità di Signore della terra, ma insieme come araldo del Vangelo, che porta in mano. ‘Io sono colui che sono’, questo misterioso nome di Dio proposto nell’Antica Alleanza, è riportato lì come suo nome proprio: tutto ciò che esiste viene da lui, egli è la fonte originaria di ogni essere. E perché è unico, è anche sempre presente, è sempre vicino a noi e allo stesso tempo sempre ci precede: come ‘indicatore’ sulla via della nostra vita, anzi essendo egli stesso la via. Non si può leggere questo libro [di catechismo] come si legge un romanzo. Bisogna meditarlo con calma nelle sue singole parti e permettere che il suo contenuto, mediante le immagini, penetri nell’anima”.

All’Angelus della domenica successiva, 3 luglio, nel messaggio dalla sua finestra su piazza San Pietro, Benedetto XVI è tornato ancora sul “Compendio” del catechismo. E di nuovo ha sottolineato, in esso, la centralità di Cristo, ben rappresentata dalla prima delle sue quattordici immagini:

“Il ‘Compendio’ […] consente di cogliere la straordinaria unità del mistero di Dio, del suo disegno salvifico per l’intera umanità, della centralità di Gesù, l’unigenito Figlio di Dio fatto uomo nel seno della Vergine Maria, morto e risorto per noi. Presente ed operante nella sua Chiesa particolarmente nei sacramenti, Cristo è la sorgente della nostra fede, il modello d’ogni credente e il maestro della nostra preghiera. Cari fratelli e sorelle, quanto è necessario che, in questo inizio del terzo millennio, l’intera comunità cristiana proclami, insegni e testimoni integralmente le verità della fede, della dottrina e della morale cattolica in maniera unanime e concorde!”.

Nella scelta delle immagini del “Compendio” – scelta su cui come cardinale ha avuto un ruolo determinante – Ratzinger ha dato uno spazio di rilievo anche alle tradizioni iconografiche delle Chiese d’oriente.

Su quattordici immagini, due appartengono alla tradizione bizantina, una all’armena, una alla copta.

E alla messa della festività dei santi Pietro e Paolo, quando ha dedicato parte dell’omelia a illustrare l’icona di Cristo del Monte Athos che apre il “Compendio”, era presente una delegazione della Chiesa ortodossa di Costantinopoli, inviata dal patriarca ecumenico Bartolomeo I e guidata dal metropolita Ioannis.

Una particolare attenzione alle Chiese d’oriente c’è anche nell’appendice del volumetto. Accanto a preghiere e inni latini come la “Salve Regina” e il “Te Deum” figurano una preghiera di tradizione bizantina, una copta e una siro-maronita.


* * *

Qui di seguito, ecco come ha commentato le illustrazioni del nuovo catechismo un grande esperto di arte cristiana, Timothy Verdon.

L’autore, nato in New Jersey nel 1946, è sacerdote a Firenze. Formatosi come storico dell’arte alla Yale University, vive da trent’anni in Italia e dirige l’ufficio dell’arcidiocesi di Firenze per la catechesi attraverso l’arte. Verdon è inoltre consultore della pontificia commissione per ik beni culturali della Chiesa, fellow del Center for Renaissance Studies della Harvard University, docente alla Stanford University e alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale. Tra i suoi saggi, ha stampato per i tipi di Mondadori “L’arte sacra in Italia” e “Vedere il mistero”.

Il commento è apparso il 30 giugno 2005 sul quotidiano della conferenza episcopale italiana, “Avvenire”:


“Benedetto XVI ha reso giustizia all’arte cristiana”

di Timothy Verdon


L’uso delle immagini sacre non è una novità. Molto tempo prima che esistessero i catechismi scritti, la Chiesa si è sistematicamente servita dell’arte per comunicare i contenuti della fede. Non è stato uno stratagemma funzionale, è stato molto di più ed è forse questo qualcosa in più che alcune volte, in passato, è stato frainteso o trascurato. Benedetto XVI ha reso giustizia all’arte cristiana.

Certo, a preparare la strada c’è stata la sensibilità e l’impegno dei predecessori. Ma ora, con questo importante passo, il papa restituisce l’immagine al popolo di Dio precisamente là dove la Chiesa con il catechismo comunica al popolo il grande deposito della fede.

Nella fede cristiana, l’immagine ha un ruolo strutturale. Paolo nella lettera ai Colossesi definisce Cristo stesso immagine, icona dell’invisibile Padre. I Vangeli e le lettere di Giovanni similmente enfatizzano il fatto che in Cristo ciò che prima era espressione verbale è diventata espressione iconografica. Il Verbo si è fatto carne perché noi potessimo vedere. Il Verbo di Dio si è reso visibile, dice la prima lettera di Giovanni, perché noi potessimo contemplare e vedere e toccare con mano.

Quindi, come dice un altro testo paolino, ciò che Dio aveva detto molte volte ai nostri padri attraverso i profeti ora non lo dice più a parole, perché le parole si sono rivelate inadeguate al peso della comunicazione di Dio e alla capacità dell’uomo di accoglierne il messaggio. In questi ultimi tempi Dio ha parlato mediante qualcosa che tutti possono vedere: l’irradiazione del suo stesso essere nella gloria del suo Figlio.

Tutto il Nuovo Testamento insiste su un contenuto primariamente visivo. Le parole raccontano qualcosa che le persone hanno visto e toccato e che rimane visibile: “Chi vede me, vede il Padre”. Chi vede il povero o il sofferente, vede Cristo.

La nostra fede attraverso i secoli è stata questa. In un sistema di fede che strutturalmente colloca l’esperienza visiva in una posizione di tale centralità, il ruolo delle immagini non è solo quello che troviamo in molte altre religioni e cioè di supporto, aiuto o illustrazione. Il ruolo delle immagini è un’espressione parallela diretta di Dio.

La stessa esperienza di quei fortunati che erano presenti quando nostro Signore era nel mondo, viene comunicata ai cristiani in primo luogo dai sacramenti. Ce lo dicono anche i Padri della Chiesa. San Leone Magno dice che ciò che era visibile in Cristo mentre era su questa terra, ora che è asceso al Padre lo è nei sacramenti: segni visibili accompagnati da parole di realtà spirituale.

Mentre Gesù era in mezzo a noi in persona, lo si vedeva in un modo, ora lo si vede in modo diverso nei grandi segni che sono i sacramenti e in quei segni secondari che la Chiesa teologicamente da molti secoli definisce sacramentali, ovvero le immagini a servizio del culto e della vita di fede dei cristiani.

Ora il “Compendio” del catechismo, dando uno spazio di grande onore alle immagini che la fede dei cristiani ha generato nei secoli, riconosce questa centralità non solo storica ma teologicamente strutturale della nostra fede.

L’immagine è più vicina della parola alla realtà ultima. In cielo non ci saranno più le Scritture, in cielo ci sarà la visione beatifica, la contemplazione: vedere Dio come ora noi siamo da Dio visti.

L’esperienza dell’arte nella vita della Chiesa ha una centralità e una dinamicità vicina alla fonte vitale della nostra fede.

__________


Il link al giornale della CEI su cui è apparso il commento di Timothy Verdon:

> “Avvenire”

__________


Nel sito del Vaticano, l’introduzione scritta da Joseph Ratzinger per il “Compendio” del catechismo della dottrina cattolica:

> Introduzione, 20 marzo 2005

Il discorso con cui il papa ha presentato il 28 giugno il nuovo catechismo:

> Presentazione del “Compendio”

L’omelia di Benedetto XVI del 29 giugno 2005:

> “La festa dei santi apostoli Pietro e Paolo…”

Il messaggio all’Angelus del 3 luglio:

> Angelus, 3 luglio 2005