l’Espresso 26-6-2003
Chiesa e arte possono tornare a fecondarsi? Timothy Verdon dice di sì. E ne mostra i primi frutti geniali
di Sandro Magister
ROMA – Più che un crocifisso, il Cristo della foto qui sopra è un risorto in croce. Ne è autore Giuliano Vangi; sovrasta l’altare della cattedrale di Padova; e a quest’opera Timothy Verdon dedica alcune pagine del capitolo finale del suo ultimo libro: “Vedere il mistero. Il genio artistico della liturgia cattolica”.Sono le pagine di maggiore novità. Perché le precedenti, pur magistrali, fanno eco a un precedente libro di Verdon, “L’arte sacra in Italia”, meravigliosa illustrazione di venti secoli di arte cristiana letta in rapporto alla sua collocazione originaria nelle chiese, nelle liturgie, nel popolo cristiano celebrante i misteri della fede.
Ma era proprio l’inaridirsi di questa vena di arte liturgica, dall’Ottocento in poi, a far temere che nulla più avrebbe potuto dar vita a miracoli come i mosaici di Ravenna o le architetture di un Bernini.
L’arte sacra s’era inaridita di pari passo con uno smarrimento dei suoi linguaggi da parte della Chiesa. La Chiesa non sapeva più far da committente, non sapeva più stimolare negli artisti una creatività all’altezza dei misteri celebrati.
Ma Verdon – storico dell’arte americano formatosi alla Yale University e poi emigrato a Firenze, dove è sacerdote e dirige l’ufficio diocesano per la catechesi attraverso l’arte – ci spiega che non è così. Come il Concilio di Trento ebbe bisogno di due generazioni per dar forma a un linguaggio espressivo dei suoi ideali, il barocco trionfante di Rubens e Bernini, così anche il Concilio Vaticano II può produrre frutti nel campo dell’arte.
E il Cristo di Giuliano Vangi nella cattedrale di Padova è uno di questi frutti. D’argento e di nickel, d’oro e di bronzo, balena ai fedeli come «il lampo che brilla da un capo all’altro del cielo», perché «così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno» (Luca 17, 24).
È un Cristo avveniristico, quasi tecnologico. La sua croce tirata come cristallo si alza per sei metri e passa dal blu scuro della base – la notte dell’uomo perduto – allo zaffiro e al bianco limpido della sommità, incandescente della luce in cui abita il Padre.
Gesù non pare neppure inchiodato alla croce. Piuttosto vi si appoggia, con le braccia spalancate non nel supplizio ma nell’abbraccio redentivo per tutta l’umanità: «Quando sarò innalzato attirerò tutti a me» (Giovanni 12, 32). I suoi occhi ti guardano con la profondità intima di un rapporto personale.
È il Vivente sopra un altare che sembra la pietra sepolcrale rotolata via dagli angeli. Su questo altare i fedeli vedono celebrare la messa. Ma l’artista strappa il velo dai loro occhi è fa apparire il senso ultimo della festa cristiana, il giorno del Signore, dalla croce alla risurrezione alla venuta finale.
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Il libro:
Timothy Verdon, “Vedere il mistero. Il genio artistico della liturgia cattolica”, Mondadori, Milano, 2003, pagine 152, euro 23,00.