C’è un nuovo cristianesimo che conquista il sud del mondo. Ma l’Europa non lo sa
Il nuovo cristianesimo è puritano, visionario, missionario. È agli antipodi della cultura liberal. È una sfida per la Chiesa cattolica. Fa tremare anche Ratzinger e il papa
di Sandro Magister
ROMA – Il 15 giugno è giunta da Indianapolis la notizia che la Southern Baptist Convention, la più numerosa delle denominazioni protestanti USA con 16 milioni di fedeli, s’è separata dall’Alleanza Battista Mondiale. I motivi della rottura sono le donne pastore, l’omosessualità, il liberalismo teologico: i dissidenti ritengono inaccettabili questi “cedimenti aberranti”.La notizia è un indicatore tra tanti della grandiosa mutazione che sta investendo la cristianità mondiale, compresa la Chiesa cattolica.
Un altro indicatore, ma di segno opposto, è venuto dal viaggio in Svizzera di Giovanni Paolo II, il 5-6 giugno. Non solo il raduno con i giovani nel Palasport di Berna – che ha avuto tratti in puro stile MTV – ma anche la celebrazione della messa hanno dato al mondo l’immagine di una Woodstock cattolica. La musica pop e il tambureggiare del ritmo hanno intervallato la liturgia al termine dell’offertorio e prima della preghiera eucaristica. Dopo la comunione c’è stata un’esecuzione di jazz. Il solo vaticanista che ha colto l’impatto di questa immagine sul mondo, John L. Allen del “National Catholic Reporter”, ha posto così il problema: “Può una robusta identità cattolica essere forgiata imitando i modi espressivi della cultura diffusa? O la Chiesa non farebbe meglio a rafforzare le parole, le preghiere e le devozioni che la contraddistinguono?”.
Rispetto alla mutazione in corso nella cristianità mondiale, i battisti americani del sud si sono mossi in linea con essa, le liturgie papali di Berna no.
La mutazione in corso è numerica, ma soprattutto di qualità. C’è un libro che la descrive con grande efficacia. È uscito nel 2002 negli Stati Uniti e all’inizio del 2004 in Italia. Il titolo originale è “The Next Christendom. The Coming of Global Christianity”, malamente rifatto in italiano con “La Terza Chiesa. Il cristianesimo nel XXI secolo”. L’autore è Philip Jenkins, storico delle religioni, professore alla Pennsylvania State University.
Questo libro è molto letto in Vaticano e fuori, dai responsabili della Chiesa cattolica: rappresenta per la politica mondiale della Chiesa quello che è stato “The Clash of Civilizations” di Samuel P. Huntington per la geopolitica in genere.
Le cifre nude della mutazione analizzata da Jenkins sono la prima cosa che colpisce. La cristianità europea si contrae, mentre si espande con velocità travolgente la cristianità del sud del mondo. Lo stesso avviene per la Chiesa cattolica: già oggi ci sono meno cattolici in tutta l’Olanda che nella sola area metropolitana di Manila.
Ma ciò che più sconvolge è la qualità di questo cristianesimo in espansione in Africa, in Asia e in America Latina. L’opinione corrente è che esso sia una copia sbiadita e arretrata del cristianesimo europeo. O peggio, la versione volgare e oscurantista della fede razionale e tollerante del nord. Ma questi giudizi di squalifica impediscono di cogliere i reali connotati del nuovo cristianesimo che avanza.
I tratti dominanti di questo nuovo cristianesimo sono pentecostali ed evangelical: profonda fede personale, moralità esigente e puritana, ortodossia della dottrina, vincolo comunitario, forte spirito di missione, profezia, guarigioni, visioni. Per dirla in un’immagine: il “Fire from Heaven”, il fuoco dal cielo, che intitola il celebre saggio di Harvey Cox del 1995.
Nelle statistiche mondiali – ad esempio nella “World Christian Encyclopedia” curata da David B. Barret – parte di questo nuovo cristianesimo va sotto la dizione di “Chiese indipendenti”: e sono già un quinto dei due miliardi di cristiani di tutto il mondo. Ma anche dentro le Chiese protestanti storiche e più ancora dentro la Chiesa cattolica romana crescono forme di religione riconducibili a quei tratti.
Per la Chiesa cattolica, un esempio lampante sono le Filippine. Tolto un 4-5 per cento di musulmani, le Filippine erano fino a pochi decenni fa un paese quasi totalmente cattolico. Oggi non più. I pentecostali e altri gruppi evangelical hanno conquistato a sé l’8 per cento della popolazione. Ma la Chiesa cattolica ha resistito molto più che altrove alla sfida posta dalle nuove comunità. Come? Lasciando crescere dentro di sé movimenti che sono pentecostali nella forma ma fermamente cattolici nella sostanza. Uno di questi movimenti, con milioni di seguaci, si chiama El Shaddai, da un nome di Dio nell’Antico Testamento. L’emigrazione filippina nel mondo lo sta espandendo in decine di altri paesi.
Già oggi le Filippine contano più cattolici di qualsiasi paese europeo, e per numero di battesimi all’anno battono Italia, Spagna, Francia e Polonia messe assieme. A metà del secolo è probabile che saranno il primo paese al mondo per popolazione cattolica, con 130 milioni di fedeli.
Diverso è il caso del Brasile. I pentecostali protestanti erano nel 1940 appena un milione in tutta l’America Latina. Oggi sono 50 milioni e circa la metà sono in Brasile, un quinto della popolazione. Qui la Chiesa cattolica non ha resistito alla sfida come nelle Filippine. Le “comunità ecclesiali di base”, su cui la gerarchia aveva inizialmente puntato, hanno ristretto invece che allargato la platea dei fedeli. La teologia della liberazione, di matrice centroeuropea, ha ispirato una élite ancor più ristretta e autoreferenziale, agli antipodi delle correnti evangelical in strepitosa espansione tra i ceti popolari. Oggi nella gerarchia cattolica vi sono segni di ripensamento: è significativo il percorso dell’attuale arcivescovo di San Paolo del Brasile, il cardinale Cláudio Hummes, partito da posizioni socialprogressiste e ora vicino al movimento carismatico, versione cattolica del pentecostalismo.
Della sfida posta dal nuovo cristianesimo che avanza, la Chiesa cattolica comincia a essere consapevole, a partire dai suoi vertici. Incerte appaiono però le diagnosi e le risposte.
Nel 1992 Giovanni Paolo II definì “lupi famelici” le sette protestanti in piena espansione tra i cattolici dell’America Latina.
Più recentemente il cardinale Joseph Ratzinger è tornato a segnalare il pericolo, in un discorso tenuto al senato italiano il 13 maggio 2004. La sua spiegazione è stata che a fomentare e a finanziare le sette è l’establishment protestante degli Stati Uniti, per interessi di dominio politico:
“Gli Stati Uniti promuovono ampiamente la protestantizzazione dell’America Latina e quindi il dissolvimento della Chiesa cattolica ad opera di forme di chiese libere, per la convinzione che la Chiesa cattolica non potrebbe garantire un sistema politico ed economico stabile, e dunque fallirebbe come educatrice delle nazioni, mentre ci si aspetta che il modello delle chiese libere renderà possibile un consenso morale e una formazione democratica della volontà pubblica, simili a quelli caratteristici degli Stati Uniti”.
La tesi non è nuova. Jenkins, nel suo libro, mostra gli elementi che sembrerebbero comprovarla. Ma molto più convincenti sono le prove che adduce a favore della spontaneità dell’espansione del nuovo cristianesimo, come pure della sua irriducibilità a un gretto conservatorismo sociale e politico. A proposito del piano anticattolico denunciato da Ratzinger, Jenkins sostiene che è un errore incolpare pentecostali ed evangelical. Nel suo ultimo libro, uscito nel 2003 e molto discusso negli Stati Uniti, mostra che “The New Anti-Catholicism” caratterizza piuttosto l’opinione liberal dominante nei media americani ed europei.
Non solo. Una grande novità di questi ultimi anni, accelerata con l’amministrazione Bush, è l’avvicinamento tra gli evangelical e i cattolici moderati, negli Stati Uniti: un paese che è di fede cristiana in proporzioni schiaccianti e continuerà ad esserlo prevedibilmente anche nei decenni futuri, a differenza di quanto sta accadendo in Europa.
Un punto debole per la Chiesa cattolica, di fronte all’espansione del nuovo cristianesimo, è la sua squilibrata distribuzione di preti. In termini di rapporto tra clero e fedeli, il nord è quattro volte meglio fornito del sud. E lo squilibrio è aggravato dal fatto che è il sud il principale terreno d’espansione delle nuove Chiese. In Brasile, il numero dei pastori protestanti ha superato quello dei preti cattolici già alla metà degli anni Ottanta.
Ma siccome nelle diocesi del nord i preti sono in calo drammatico e i seminari semivuoti, accade che l’unico flusso consistente di preti su scala mondiale, nella Chiesa cattolica, sia oggi dal sud al nord. I preti importati dall’Africa o dall’India sono divenuti un fatto diffuso nelle parrocchie d’Europa. E lasciano più sguarnite di prima le comunità dei fedeli nei paesi d’origine, vulnerabili alla predicazione dei missionari evangelical.
Jenkins commenta: “Vista da una prospettiva globale, una simile politica può essere descritta, al meglio, come penosamente miope; al peggio, come suicida per le fortune cattoliche”.
Quanto alla dialettica tra conservatori e progressisti, l’evoluzione in corso mette i secondi sempre più fuori gioco. Se il futuro della Chiesa è nel sud del mondo, il cattolicesimo che lì fiorisce è agli antipodi dell’agenda liberal dei fautori di un Concilio Vaticano III. Il prossimo conclave ne terrà sicuramente conto.
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Il libro:
Philip Jenkins, “La Terza Chiesa. Il cristianesimo nel XXI secolo”, Fazi Editore, Roma, 2004, pp. 382, euro 22,00.
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Una lettera dal Brasile
La rivista “Il Regno”, edita dai religiosi dehoniani di Bologna, è voce autorevole del cattolicesimo progressista. Sul numero del 15 maggio 2004, nella rubrica “I lettori ci scrivono”, ha pubblicato questa lettera – firmata Dario Martini – sullo stato della Chiesa cattolica in Brasile, povera di clero e incapace di reagire all’avanzata delle nuove Chiese pentecostali ed evangelical:
“Sono tornato da un soggiorno di sei mesi in Brasile, che ho percorso dal Maranhao al Paranà avendo modo di costatare la desolazione di quella Chiesa, vera ‘Ecclesia depopulata’.
“Come a Bisanzio si discuteva sul sesso degli angeli mentre gli islamici stavano per conquistare la città, così in Brasile i pastori, divisi tra conservatori, progressisti, propugnatori e oppositori della teologia della liberazione, non si sono accorti che il popolo li stava abbandonando per le varie assemblee de Deus, igrejas batistas, pentecostal, quadrangular e via di seguito.
“In trent’anni, in alcuni stati, fino al 40 per cento dei fedeli hanno abbandonato. […] Dati dell’Annuario pontificio: fra l’anno 1985 e l’anno 2003 i cattolici del Brasile, già in diminuzione prima del 1985, sono diminuiti di un altro 20 per cento. A Fortaleza da 84 a 64 per cento; a Belo Horizonte da 90 a 75; a Sao Sebastiao de Rio de Janeiro da 80 a 69; a Salvador da 93 a 74; a Curitiba da 94 a 72; a Brasilia da 97 a 77. […]
“I fedeli sono costretti a radunarsi in chiesa e celebrare una specie di messa senza prete anche nelle città dove, vedi Vila Velha di Vitoria, i sacerdoti non mancano. Ma questi sacerdoti, anche alla domenica, non tutti celebrano due messe. A Vila Velha e Vitoria, città contigue, vi sono varie famiglie di religiosi. Alla domenica potrebbero distribuirsi nelle diverse chiese della città, invece preferiscono concelebrare e lasciare i fedeli soli in chiesa alla mercé di fanatici scatenati, quando fanatici non lo siano i celebranti stessi che a volte modificano i testi liturgici a loro piacere perché neppure in grado di comprenderli, che trasformano il canto del Santo in un ritmo ballabile, che non fanno memoria del papa, del vescovo, dei defunti.
“Vi sono preti così fiacchi che il lunedì si riposano e non celebrano messa: questo persino nelle cattedrali, vedi Ilhéus e Foz de Iguaçu. Oppure non visitano gli ammalati, non portano il viatico, non celebrano funerali. E non sempre possono addurre a loro giustificazione il loro scarso numero. […]
“Trascorro lunghi mesi ogni anno anche in Uganda e Namibia, volontario presso istituti salesiani. Non ho mai trovato in quei territori una situazione simile”.
Fin qui la lettera. Recentemente la conferenza episcopale brasiliana, CNBB, ha lanciato un progetto di nuova evangelizzazione. Il progetto si rivolge a tutti. Nello stesso tempo, però, la conferenza dà di sé un’immagine pubblica troppo legata alle sorti del presidente Inácio Lula da Silva e del suo Partito dei Lavoratori. Nel sito web della CNBB appaiono a cadenza quasi mensile delle “Análise de Conjuntura” che sono documenti politici in tutto e per tutto, di forte sostegno alla presidenza, scritte da studiosi e militanti cattolici, tra i quali diversi gesuiti. La stampa le riporta come fossero espressione ufficiale dei vescovi:
> Análise de Conjuntura