(l’Espresso) E’ indispensabile riformare la musica liturgica

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 Musica liturgica. “Ecco la riforma di cui la Chiesa ha bisogno”



Valentino Miserachs Grau, preside del Pontificio Istituto di Musica Sacra, lancia un estremo appello ai vertici della Chiesa. Lo ascolteranno?


di Sandro Magister


 ROMA – Valentino Miserachs Grau, 60 anni, catalano, è da otto anni preside del Pontificio istituto di musica sacra, il “conservatorio” liturgico-musicale della Santa Sede, quello che ha per compito di formare i musicisti di Chiesa di tutto il mondo.

 Ma – come spiega nella conferenza qui sotto riprodotta – né lui né il Pims hanno autorità normativa in fatto di musica liturgica. Né il Vaticano ha un qualsiasi organismo a ciò deputato.

Una prova di questo vuoto d’autorità? Mentre il Pims imposta la sua formazione sui tre pilastri del canto gregoriano, della polifonia e della musica d’organo – fedele alle disposizioni del Concilio Vaticano II – la quasi totalità della Chiesa, compresi i suoi vertici, va per tutt’altre strade.

Con effetti che Miserachs giudica disastrosi. Ai limiti dell’analfabetismo musicale e liturgico. “Mai – dice – s’era vista una degenerazione simile all’attuale”.

Ma il preside del Pims non dispera. Come già altre volte in passato la Chiesa ha risposto con energiche riforme alle situazioni di crisi della musica sacra – col Concilio di Trento, con Pio X – così può fare oggi.

La sua proposta di nuova riforma è spiegata nel testo che segue. È una conferenza che Miserachs ha tenuto lo scorso ottobre a Barcellona. Di essa sono qui riprodotte ampie parti dell’introduzione e del capitolo finale:

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Chiesa e musica sacra. Passato, presente e futuro

di Valentino Miserachs Grau


A partire dal 1995, quando fui nominato preside del Pontificio istituto di musica sacra, Pims, di Roma, la mia vita ha preso a poco a poco un’altra strada. Fin dalla mia ordinazione sacerdotale, nel 1966, avevo alternato il ministero con le attività musicali. […] Nel 1973 cominciai a operare come maestro di cappella presso la basilica di Santa Maria Maggiore, posto che tuttora occupo. […] Per trent’anni della mia vita mi sono dunque dedicato alla composizione, alla direzione della suddetta cappella basilicale e di altri organici corali e orchestrali, all’insegnamento e al concertismo.

Dal 1995 tutte queste attività hanno subìto, bene o male, un rallentamento, dovuto agli impegni e agli obblighi derivanti dalla direzione dell’Istituto. […] Mi è caduta sulle spalle una sorta di responsabilità morale relativa alla situazione generale della musica sacra nella Chiesa cattolica. Molti si rivolgono all’Istituto come se fosse un organo con facoltà normative in fatto di musica liturgica. […]

Pensandoci bene, però, mi sono reso conto che non esiste uno specifico organismo pontificio di vigilanza sulla musica liturgica. […] Di qui la scarsità di documenti ecclesiali in materia. All’infuori del capitolo VI della costituzione ‘Sacrosanctum Concilium’ del Concilio Vaticano II dedicato alla musica sacra (1963) e della successiva istruzione ‘Musicam Sacram’ della Congregazione dei riti (5 marzo 1967), pochissime altre cose sono state dette sull’argomento. Questa sorta di silenzio ha di fatto consentito, pur accanto a nobili sforzi per seguire il retto cammino, un’anarchica proliferazione dei più disparati esperimenti – condotti forse in buona fede – che, in molti casi, hanno introdotto nella musica liturgica un cumulo di banalità mutuate dalla musica leggera di consumo o di altri stravaganti prodotti esotici, dimenticando quanto lo stesso Paolo VI aveva detto, nel 1968, rivolgendosi ai partecipanti al congresso nazionale dell’Aisc, Associazione italiana di santa Cecilia: “Non tutto ciò che è fuori del tempio è atto a superarne la soglia”. […]

In occasione dell’imminente ricorrenza del centenario del motu proprio di san Pio X ‘Inter Sollicitudines’ (22 novembre 1903), che ha rappresentato in quel momento storico un’importante sterzata riformatrice di una musica di chiesa contaminata fino agli eccessi dal più decadente stile teatrale, ritengo dunque si imponga una nuova riforma che, da una parte, convogli e coordini meglio i positivi sforzi che si sono fatti e si fanno nelle diverse Chiese locali e, dall’altra, miri a ricuperare, tenendo conto delle diverse situazioni e possibilità, la trilogia decantata dal Concilio Vaticano II e recentemente riproposta con forza da Giovanni Paolo II – nel discorso tenuto nel corso dell’udienza concessa al Pims in occasione del novantesimo anniversario della sua fondazione, il 19 gennaio del 2001 – che ha per fondamento il canto gregoriano e che si dispiega nella polifonia e nella musica d’organo, bandendo risolutamente tutto ciò che, nel testo e/o nella musica sia indegno del culto o ad esso sconveniente, o non abbia le caratteristiche della vera arte.

A tale proposito, mi sono rivolto ultimamente ai più alti rappresentanti della Chiesa cattolica perché considerino attentamente se non sia il caso di costituire un organismo pontificio che abbia il compito di vigilare sulla musica sacra e, specificatamente, sulla musica liturgica.

La tesi che vorrei illustrare […] è la seguente. È diventata quasi una costante storica il fatto che una buona prassi finisca per degenerare in abuso, o che una via indicata come buona non venga seguita come si dovrebbe, e ciò provoca o dovrebbe provocare una reazione correttiva o, per dirla in modo semplice e comprensibile, una riforma.

È forse giunto oggi il momento di porre mano a una riforma? Che cosa occorrerebbe fare? Cercheremo di dare una risposta a questi interrogativi nel quarto e ultimo punto di questo mio intervento, dopo aver esaminato nei primi tre punti [1. Medioevo, 2. Concilio di Trento, 3. Pio X] la lezione che possiamo trarre da quanto è avvenuto in alcuni momenti della storia della musica liturgica. […]

4. CONCILIO E DOPOCONCILIO

[…] Il 4 dicembre 1963 il Concilio Ecumenico Vaticano II approvò all’unanimità la costituzione ‘Sacrosanctum Concilium’ sulla sacra liturgia, il cui splendido capitolo VI è dedicato alla musica sacra. In esso si leggono le seguenti eccellenti dichiarazioni programmatiche:

1. La Chiesa approva e ammette nel culto divino tutte le forme della vera arte, dotate delle dovute qualità. Il fine della musica sacra è la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli.

2. Si conservi e si incrementi con somma cura il patrimonio della musica sacra e si promuovano con impegno le ‘scholæ cantorum’, senza trascurare la partecipazione attiva dei fedeli.

3. Si curi molto la formazione e la pratica musicale nei seminari, nei noviziati di ambo i sessi, come pure negli altri istituti e scuole cattoliche. Si raccomanda inoltre, se sarà opportuno, l’erezione di istituti superiori di musica sacra.

4. La Chiesa riconosce il canto gregoriano come proprio della liturgia romana: perciò, nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale.

5. Non si escludano affatto nella celebrazione dei divini uffici, gli altri generi di musica sacra, e specialmente la polifonia.

6. Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l’organo a canne, come strumento tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere mirabile splendore alle cerimonie della Chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle realtà supreme. Altri strumenti, poi, possono essere ammessi nel culto divino, purché siano adatti all’uso sacro o vi si possano adattare, convengano alla dignità del tempio e favoriscano veramente l’edificazione dei fedeli.

7. I musicisti, animati da spirito cristiano, si sentano incoraggiati a coltivare la musica sacra e ad accrescerne il patrimonio. Compongano melodie che abbiano le caratteristiche della musica sacra e che possano essere cantate non solo dalle maggiori scholæ cantorum, ma anche da quelle minori, e favoriscano la partecipazione attiva dei fedeli

L’istruzione ‘De Musica in Sacra Liturgia’, emanata dalla Sacra congregazione dei riti in data 5 marzo 1967, scende maggiormente nei particolari, senza peraltro minimamente discostarsi da tutto quello che era stato deliberato dal Concilio.

Quale panorama meraviglioso ti si spalanca davanti agli occhi leggendo questi testi! Quale paesaggio desolato ci è dato invece di costatare, dopo che per quarant’anni si sono disattese le disposizioni conciliari, facendo spesso addirittura il contrario di quanto esse prescrivono!

Il Concilio è stato tradito dallo sconsiderato ardimento di alcuni e dalla codarda passività di altri. Ne volete un esempio recente? Un personaggio che occupa un posto di alta responsabilità nel campo della musica sacra, in una intervista rilasciata a un quotidiano italiano, alla domanda su quale fine debbano fare le musiche di Bach, Mozart e Palestrina, risponde con queste illuminate parole: “Quelle rimangono pagine del passato, da studiare attentamente e da eseguire in concerto. Ma in moltissimi casi non sono per niente adatte alla liturgia”.

Come si concilia un giudizio del genere col pensiero del Vaticano II sopra menzionato? Come si concilia con quanto Giovanni Paolo II, in data 2 febbraio 1994, scriveva a monsignor Domenico Bartolucci, direttore perpetuo della Cappella Musicale Pontificia, in occasione del quarto centenario della morte di Palestrina? Il papa, dopo aver elogiato Palestrina come musicista, come cristiano e anche come “liturgista”, continuava dicendo:

“Egli si lasciò guidare dallo spirito liturgico per la ricerca di un linguaggio che, senza rinunciare all’emozione e all’originalità, non cadesse in soggettivismi esasperati e banali. Queste qualità, sempre presenti nella sua vasta opera musicale, hanno contribuito a creare uno stile divenuto classico, universalmente riconosciuto come esemplare nell’ambito della composizione destinata alla chiesa”.

E, proseguendo, il papa metteva il dito su quella che ritengo essere la vera piaga:

“Oggi come ieri, i musicisti, i compositori, i cantori delle cappelle liturgiche, gli organisti e gli strumentisti di chiesa devono avvertire la necessità di una seria e rigorosa formazione professionale. Soprattutto dovranno essere consapevoli che ogni loro creazione o interpretazione non si sottrae all’esigenza di essere opera ispirata, corretta, attenta alla dignità estetica, sì da trasformarsi in preghiera orante”. […]

A Roma, negli anni Sessanta, abbiamo assistito al fenomeno della cosiddetta messa beat. […] Ebbe l’effetto di una deflagrazione nucleare, con la fatale conseguenza di veder riconosciuto “diritto di cittadinanza liturgica” a una prassi tanto pericolosa quanto azzardata: e cioè, che la musica liturgica poteva essere – o doveva essere? – una semplice trasposizione della musica profana di moda. Erroneamente e ingiustamente tale musica di consumo, inconsistente, insulsa ed effimera, viene detta “popolare “, come del resto altrettanto erroneamente vengono chiamati “concerti” quegli schiamazzi, quei frastuoni “sconcertanti” e quelle contorsioni che tanto deliziano oceaniche folle di sprovveduti. È proprio questo falso genere “popolare”, imposto dalla forza travolgente dei mezzi di comunicazione al servizio di mercanti senza scrupoli, che ha fatto inaridire le pure sorgenti del canto gregoriano e di quella musica popolare e colta, che costituivano il decoro più bello delle nostre chiese e delle nostre celebrazioni. […]

Ci è stato di molto conforto quanto ci disse il Santo Padre nel corso dell’udienza concessa al Pims il 19 gennaio 2001, in occasione del 90° di fondazione dell’Istituto:

“[…] Sono da conservare e promuovere lo studio e la pratica della musica e del canto in quegli ambiti e con quegli strumenti che il Concilio Vaticano II ha indicato come privilegiati: il canto gregoriano, la polifonia sacra e l’organo. Solo così la musica liturgica potrà assolvere degnamente il suo compito nel contesto della celebrazione dei sacramenti, e, in modo speciale, della Santa Messa”.

Quel “solo così” vale oro; ma chi darà ascolto alla voce del papa? Venuto meno l’attaccamento a questi cardini, consolidati da una plurisecolare tradizione, si è caduti talmente in basso da vedere spesso le liturgie (anche nelle cattedrali più o meno prestigiose) convertite in altrettanti festival di musica leggera […]. Gli insegnamenti della Chiesa sono stati stravolti col pretesto di un necessario svecchiamento, di un doveroso aggiornamento, di una inculturazione che renda il messaggio cristiano e la celebrazione dei suoi misteri più comprensibili al popolo. […]

Non so se le autorità competenti riescono a valutare fino in fondo la portata della nefasta prassi musicale invalsa un po’ ovunque e le sue ripercussioni negative sulla ‘lex orandi’ e, conseguentemente, sulla ‘lex credendi’ […]. Segno inequivocabile dell’odierno avvilimento e dell’errata comprensione della funzione del canto nella liturgia sono le espressioni di uso, purtroppo, corrente, del tipo: “la celebrazione liturgica è stata animata, accompagnata, allietata dal coro tal dei tali’. E evidente infatti che chi si esprime in questo modo considera il canto liturgico null’altro che un più o meno piacevole passatempo.

Non vi sembra che la situazione attuale, almeno nelle sue manifestazioni più stridenti […], presenti molte analogie con i tre momenti storici che abbiamo precedentemente abbozzato, e in particolare con la situazione che determinò la riforma di san Pio X?

Occorre però notare una differenza importante: le riforme del passato dovevano fare i conti con musiche forse “eccessive” ma formalmente corrette. Molta “musica” che si scrive oggi, invece, ignora, non dico la grammatica, ma perfino l’abbecedario dell’arte musicale. Nelle situazioni più o meno critiche che abbiamo preso in considerazione, non si era mai vista una degenerazione simile a quella attuale. […]

Che occorra un’altra riforma che susciti un impegno di fedeltà al Concilio, mi sembra evidente. La questione è da prendersi seriamente, cominciando dalla formazione. I sacerdoti che hanno già una certa età ricorderanno quanta importanza veniva data nei seminari alla formazione musicale. Nell’attuale ‘Ratio Studiorum’ la musica non viene nemmeno menzionata; non è certamente questo che voleva il Concilio. Occorre dunque un cambiamento di mentalità e considerare le celebrazioni liturgiche – musica inclusa – come la prima cosa che dobbiamo curare.

A che serve avere belle chiese, paramenti preziosi, eccellenti traduzioni dei testi liturgici, se la musica è penosa? Bisogna tener conto delle buone proposte delle commissioni di musica diocesane o interdiocesane e procurare di dotare le chiese di organi – ne abbiamo già persi tanti! –; di organi a canne, preminentemente. Se non se ne sono istallati molti è perché anche quelli elettronici si sono perfezionati di molto. Bisogna abituarsi all’idea che è necessario fissare un preventivo di spesa per la musica; il volontariato è assai lodevole, ma bisogna accertarsi che gli operatori del settore siano ben preparati musicalmente e liturgicamente. Se questo è difficile da ottenere, ricorriamo a professionisti esperti, garantendo loro una rimunerazione almeno decente. È necessario incrementare la creazione di ‘scholæ cantorum’, grandi o piccole, secondo le possibilità. […]

Dobbiamo insistere in tutti i modi perché si creino delle scuole di musica sacra. […] O, per lo meno, si dovrebbero creare corsi di musica sacra presso i conservatori e le scuole di musica già esistenti, come si incomincia a fare in Italia. Vi sono molti organisti che sanno suonare brani da concerto, ma non chiedete loro di accompagnare il coro, di improvvisare, di inventare un accompagnamento, di operare delle scelte per una celebrazione ben strutturata: tutte cose che un organista di Chiesa deve saper fare, ma che nessuno ha mai insegnato loro.

Mettiamo da parte ogni prevenzione nei riguardi del gregoriano e del latino: prendiamo esempio dai paesi nordici e perfino dai paesi di missione. Dobbiamo essere noi i più recalcitranti, proprio noi che siamo latini per lingua, cultura e musica?

Da Roma ci attendiamo un aiuto che miri a coordinare le cose a livello di Chiesa cattolica.

Insomma, ritengo che i tempi siano maturi perché si ponga mano a una riforma nel senso che ho cercato di illustrare; una riforma adatta al momento storico che stiamo vivendo, una riforma che miri non a vincere ma a convincere.

Facciamo tutti gli sforzi possibili per restaurare o instaurare la buona musica nelle nostre chiese, ispirandoci al motto che ha illuminato il pontificato di san Pio X, e che costituisce il programma che dovrebbe stimolarci a un instancabile rinnovamento: ‘Instaurare omnia in Christo’.


[Barcellona, Fundació Joan Maragall, 4 ottobre 2002. Versione italiana dall’originale catalano di p. Aurelio Zorzi, sm]

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Il link all’Istituto di cui è preside Valentino Miserachs Grau, nel sito del Vaticano:

> Pontificio Istituto di Musica Sacra