(l’Espresso) Difficile la situazione della chiesa ortodossa in Kosovo

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In Kosovo la Chiesa ortodossa è sotto assedio
Nel disinteresse del mondo, già più di cento chiese sono state assalite e distrutte. Altre le difendono i soldati della Nato. Il ruolo del Vaticano e la crescita dell’estremismo islamico

di Sandro Magister

 ROMA – Nell’ultima settimana di novembre altre due chiese cristiane ortodosse sono state assalite e danneggiate in Kosovo, a Gornja Brnjica e a Susica. Nè l’una né l’altra erano protette dalla Kfor, la forza militare a comando Nato che mantiene il controllo della regione.

Da quando, nel 1999, la guerra è finita con la sconfitta dei serbi, sono più di un centinaio i luoghi sacri ortodossi che sono stati assaliti o distrutti in Kosovo, molti risalenti al XIII e al XIV secolo. In precedenza, quando a spadroneggiare nella stessa regione era l’esercito serbo di Slobodan Milosevic, si calcola che furono danneggiate o rase al suolo 212 delle 560 moschee musulmane dell’area.

Oggi in Kosovo i serbi ortodossi sono una minoranza assediata e minacciata. Dei circa 250 mila fuggiti in seguito all’intervento militare della Nato, ne sono tornati poche migliaia. Assieme ai 130 mila rimasti, vivono asserragliati in zone ristrette, sotto costante minaccia. Il potere è nelle mani dei kosovari albanesi di religione musulmana. Lo statuto futuro della regione è incerto. Formalmente, il Kosovo resta una provincia autonoma della repubblica di Serbia e Montenegro, ma la risoluzione 1244 dell’Onu che ne definisce lo status rinvia anche agli accordi di Rambouillet del 1999, i quali si richiamano al principio dell’autodeterminazione dei popoli per prospettare il definitivo assetto dell’area. E la schiacciante maggioranza albanese fa leva su questo per puntare all’indipendenza.

La distruzione delle chiese cristiane è parte di questo piano: così, almeno, teme la comunità ortodossa locale. “O la distruzione o la trasformazione in musei”, specifica padre Sava Janjic, vicepriore del monastero di Decani.

Questo monastero è uno dei capolavori dell’arte medievale in Kosovo, culla storica dell’ortodossia serba. È abitato da 35 monaci, molti dei quali entrati negli ultimi dodici anni, in piena rinascita di vita monastica. Durante la guerra si prodigarono in difesa dei kosovari albanesi, minacciati di pulizia etnica dall’esercito di Slobodan Milosevic. Ma oggi sono essi sotto minaccia costante. Assicurano la difesa del monastero i soldati italiani della Kfor. I monaci non possono avventurarsi oltre il recinto, per far visita ai loro fedeli, senza essere accompagnati da una scorta armata. E analoga è la condizione di altri 25 monasteri e chiese sotto protezione Kfor. Tra i luoghi sacri più preziosi e più a rischio vi sono il patriarcato di Pec, il monastero di Gracanica, la cattedrale della Madonna di Ljevisa, a Prizren.

Artemjie, il vescovo di Raska e Prizren, la più alta autorità ortodossa del Kosovo, lamenta “il silenzio inspiegabile dell’Europa cristiana e democratica di fronte a crimini di tale gravità commessi contro un popolo cristiano ed europeo come quello serbo”. E accusa il Vaticano d’essere stato “largamente implicato negli eventi” che hanno prodotto la situazione attuale.

Padre Sava specifica che contro la Chiesa serba è stata scatenata un’autentica campagna di delegittimazione: “Nelle scuole si insegna la tesi che la maggior parte dei luoghi sacri ortodossi del Kosovo non sono stati costruiti da noi ma dalla Chiesa cattolica romana, e che noi ce ne siamo impadroniti”.

Nel Kosovo i cattolici sono circa 65 mila. “Siamo in eccellenti relazioni con i musulmani e il governo ci tratta bene”, ha dichiarato all’agenzia norvegese per le libertà religiose “Forum 18” un portavoce dell’amministrazione apostolica di Prizren.

Ma dietro queste parole c’è una realtà più inquietante. In tutto il Kosovo sorgono nuove moschee e scuole coraniche finanziate dall’Arabia Saudita e va crescendo il peso delle correnti islamiste.

La conferma è nei pericoli in cui ora incorrono i musulmani che si convertono al cristianesimo.

In passato questi pericoli erano quasi inesistenti. L’islam tra le popolazioni albanesi è in genere poco radicato e si accompagna a un debole controllo sociale.

Ora invece hanno fatto la loro comparsa gruppi estremisti. E per i convertiti la vita si è fatta difficile. Lo scorso 11 maggio, a Gnjilane, uno di loro è stato brutalmente picchiato e minacciato di morte come “traditore”.

A essere presi di mira sono soprattutto i convertiti alle Chiese evangeliche, le più attive nel far missione. Molti dei neobattezzati sono costretti a tener segreta la conversione ai loro stessi famigliari.

La Chiesa cattolica ha scelto il basso profilo, non fa proselitismo e quindi meno risente delle pressioni islamiste. Il leader musulmano moderato Ibrahim Rugova ha dichiarato di recente d’aver conosciuto più da vicino la fede cattolica e di stimarla molto.

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Il monastero ortodosso di Decani ha un sito web in lingua inglese ricchissimo di informazioni sulla situazione attuale del Kosovo:

> Visoki Decani Serbian Orthodox Monastery

Da fonte neutrale, le notizie più aggiornate sugli attacchi anticristiani in Kosovo sono in questi due rapporti dell’agenzia norvegese per le libertà religiose “Forum 18”:

> Renewed attacks on Serbian Orthodox, by Branko Bjelajac, 1 December 2003

> Religious freedom survey in Kosovo, by Branko Bjelajac and Felix Corley, 9 September 2003

Mentre questo è il link a un reportage apparso sul numero di febbraio 2003 di “30 Giorni”, il mensile diretto da Giulio Andreotti:

> Kosovo. Dopo le bombe il caos

Sui pericoli per i musulmani che si convertono al cristianesimo, nell’insieme del mondo islamico, vedi in questo sito:

> Islam “moderato”, ma non per i convertiti alla fede cristiana (6.12.2003)