Che Guevara è ricomparso. In Vaticano
Un’intervista del nuovo ambasciatore di Cuba presso la Santa Sede, grande amico ed estimatore del Che, provoca una durissima replica dell’arcivescovo dell’Avana. Ecco i due testi integrali, a confronto
di Sandro Magister
Roa Kourí, 69 anni, è una figura di spicco della “nomenklatura” cubana. È figlio di uno degli intellettuali più vicini a Castro nella rivoluzione, Raúl Roa Garcia. Fu amicissimo di Ernesto Che Guevara ed è tutt’ora suo grande estimatore. Nel volume di memorie che ha da poco pubblicato, “En el Torrente”, fa sfilare accanto a sé molti protagonisti della storia della seconda metà del Novecento: Mao ed Eisenhower, Nehru e Kruscev, Nasser e Giovanni XXIII, da lui accostati nel corso della sua carriera diplomatica.
Ora però, a coronamento di questa carriera approdata all’incarico prestigioso di Roma, Roa Kourí ha provocato un’autentica sollevazione della conferenza episcopale di Cuba, di cui il cardinale Ortega è presidente.
L’ambasciatore di Cuba ha dato la sua intervista all’agenzia di Roma ASCA, che l’ha diffusa il 3 settembre. In essa, dopo aver reso omaggio al mito di Che Guevara e magnificato le virtù della rivoluzione castrista, egli traccia un profilo della Chiesa cattolica cubana nella quale la parte dei cattivi è tutta dei vescovi, salvo eccezioni, mentre i buoni sono i sacerdoti e il popolo, anche qui con le rispettive eccezioni. Essere cattivi significa stare con gli Stati Uniti e con gli espatriati di Miami. Essere buoni significa stare con la rivoluzione castrista. Il Vaticano? Sta con i buoni, secondo Roa Kourí. Quindi contro i vescovi.
L’intervista non aveva avuto quasi nessun risalto, sui media internazionali. Ma a darglielo è stata la replica infuocata dell’arcivescovo dell’Avana. Il 7 settembre, il cardinale Ortega ha stilato una dichiarazione di dura protesta, firmandola anche in qualità di presidente della conferenza episcopale cubana. L’ha inviata all’agenzia cattolica internazionale “Zenit”, distribuita on line in cinque lingue a una platea di oltre mezzo milione di lettori. E questa ne ha dato notizia in un suo dispaccio dell’11 settembre.
Ma prima ancora, il 9 settembre, è stata una fonte cubana a diffondere via e-mail in tutto il mondo i testi integrali delle due voci contrapposte: l’intervista dell’ambasciatore e la replica del cardinale.
Questa fonte cubana è il bollettino informativo della rivista “Vitral”, espressione del Centro di Formazione Civica e Religiosa della diocesi di Pinar del Rio, nell’ovest dell’isola, dove si coltiva il miglior tabacco del mondo.
“Vitral” e il Centro di Formazione hanno per patrono il vescovo della città, José Siro González Bacallao, molto vicino al cardinale Ortega, e per principale animatore Dagoberto Valdés Hernández, un ingegnere agronomo che è anche membro, in Vaticano, del Pontificio Consiglio dells Giustizia e della Pace. Finalità dichiarata della rivista e del centro è “la promozione dell’uomo come persona libera, responsabile e partecipativa, per la ricostruzione della società cubana nella prospettiva di un futuro più democratico”. Loro riferimenti ideali, anch’essi dichiarati, sono “la filosofia personalista di Emmanuel Mounier, la educazione liberatrice di Paulo Freire e la scuola di pensiero di Félix Varela, padre della cultura cubana”.
“Vitral” ha diffuso l’intervista dell’ambasciatore Roa Kourí e la replica del cardinale Ortega senza una riga di commento, nel suo bollettino informativo n. 131 del 9 settembre 2005.
In effetti, i due testi parlano da sé. Eccoli qui di seguito, integrali. Cominciando dalla dichiarazione del 7 settembre dell’arcivescovo dell’Avana e presidente della conferenza dei vescovi cattolici di Cuba:
”Dividere i vescovi di Cuba dalla Santa Sede è una vecchia strategia”
del cardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino
In un’intervista concessa di recente e resa pubblica dall’agenzia ASCA dello scorso 3 settembre, il signor Raúl Roa Kourí, ambasciatore di Cuba presso la Santa Sede, fa riferimento alle relazioni diplomatiche tra il nostro paese e la Sede Apostolica, esaltando da un lato l’atteggiamento positivo della Santa Sede in rapporto al governo di Cuba, e al tempo stesso accusando la gerarchia cattolica cubana di aver tenuto in proposito una posizione contraria alla Sede Romana, per far ricadere sui vescovi tutta la responsabilità delle difficili relazioni tra Chiesa e stato a Cuba, ignorando quanto è di responsabilità del governo del nostro paese.
Il signor Roa Kourí presenta l’episcopato cubano storicamente quasi come una pedina strategica degli Stati Uniti a Cuba. Noi vescovi di Cuba siamo abituati a leggere articoli giornalistici di ogni specie, nei quali ci si incolpa di essere “collaborazionisti col governo di Castro”, di appoggiare un determinato gruppo o leader dissidente e di altre cose tra loro contraddittorie. Ciò, per quanto spiacevole, è possibile che avvenga in articoli giornalistici, però l’insinuazione ripetuta dal signor Roa che la Chiesa di Cuba per mezzo dei suoi vescovi ha ubbidito sempre alle potenze straniere è totalmente nuova e gratuita, è fantasiosa, e nella bocca dell’ambasciatore di Cuba presso la Santa Sede risulta veramente oltraggiosa. Le sue opinioni sui vescovi cubani e il loro distacco dai sacerdoti sono inaccettabili e false. In generale, le sue affermazioni sono tanto gratuite che non è necessario argomentare per ribatterle.
Lo sbrigativo riassunto della storia di Cuba fatto nell’intervista è deplorevole: prima dell’indipendenza di Cuba la Chiesa fu anti-indipendentista, e dopo l’indipendenza la Chiesa si sottomise agli Stati Uniti. Niente di più falso! Dove mette l’ambasciatore il Seminario di San Carlo, culla del nostro spirito nazionale? In che angolo della sua mente è finito il padre Félix Varela, padre del pensiero indipendentista cubano e opposto tanto quanto José Martí a qualsiasi sottomissione agli Stati Uniti? Il fatto di dividere e catalogare i vescovi cubani in “patriottici” e in quelli che hanno “la loro mente a Miami” è insultante. Questo vocabolario mi pare fuori della realtà e trovo in esso una consonanza con la Cina, quando evoca i “vescovi patriottici”. Nessuno di noi accetterebbe di essere assegnato a questo gruppo o all’altro. Siamo tutti vescovi cubani che amiamo la nostra nazione, e sebbene l’ambasciatore intende negarlo serviamo il nostro popolo e basta.
All’inizio della sua intervista il signor Roa ha parlato di lanciare ponti. Mi pare che le sue parole a proposito della Chiesa di Cuba smentiscano questo proposito, poiché mirano solo a dividere. Dividere la Chiesa di Cuba dalla Santa Sede. Dividere i vescovi in “patriottici” e pro-nordamericani. Dividere i sacerdoti dai vescovi… Questa è una vecchia strategia che conosciamo molto bene. Strana maniera del signor Raúl Roa Kourí di preparare i 70 anni dello stabilimento delle relazioni diplomatiche tra lo stato cubano e la Chiesa cattolica!
Voglia Dio che queste opinioni, che creano un clima tanto sfavorevole nelle relazione tra Chiesa e stato a Cuba, siano il prodotto di errori o pregiudizi personali e non la fondazione o l’annuncio di una posizione ufficiale nel rapporto con la Chiesa cattolica nel nostro paese. Questo non mi pare possibile, poiché le sue affermazioni contrastano con altre parole dei più alti dirigenti cubani che tendono a creare un clima molto diverso.
Risultano pertanto inopportune, se non imprudenti, le dichiarazioni dell’ambasciatore. In questa intervista, nei passaggi che si riferiscono alla Chiesa a Cuba, l’ambasciatore Roa Kourí utilizza un linguaggio irrispettoso e a volte offensivo, mai usato prima da nessun ambasciatore di Cuba presso la Santa Sede in documenti pubblici. Ciò costituisce una sgradevole sorpresa e tengo a ribadire il nostro rifiuto totale del contenuto delle sue parole e del suo stile irridente e per nulla conciliatore.
Ed ecco, qui di seguito, l’intervista dell’ambasciatore di Cuba presso la Santa Sede che ha dato origine alla replica dell’arcivescovo dell’Avana. L’intervista è stata diffusa dall’agenzia ASCA il 3 settembre 2005:
”Alcuni vescovi hanno la mente a Miami. E questo è un peccato”
Intervista con Raúl Roa Kourí
D. – Prova qualche imbarazzo a ricordare il suo amico Che Guevara mentre, in qualità di ambasciatore, si trova a svolgere il ruolo di ponte per il dialogo tra Cuba e la Santa Sede?
R. – “Nessun imbarazzo. Io rappresento il governo di Cuba che ha rapporti con la Santa Sede da 70 anni. Sono stati rapporti ininterrotti e non abbiamo mai pensato di interropere i rapporti diplomatici con il Vaticano. Speriamo anzi già dal prossimo futuro di approfondire questi rapporti rendendoli ancora più fluidi. Specialmente nel periodo della rivoluzione vittoriosa del 1959, i rapporti di Cuba con la Santa Sede sono sempre stati corretti. Sebbene tra il 1959 e il 1961 ci sia stato un problema con la gerarchia della chiesa cattolica a Cuba, fu proprio il rappresentante della Santa Sede all’Avana, monsignor Cesare Zacchi, poi nunzio, con il mio predecessore nell’ambasciata presso la Santa Sede, Luis Amado Blanco, a costruire ponti tra le due parti. Penso che il mio servizio di diplomatico cubano presso la Santa Sede sia in questa tradizione di dialogo, con l’obiettivo di costruire ponti di mutua comprensione tra il Vaticano e il governo cubano. E dunque il fatto che, fin da giovanissimo, io sia stato un amico di Che Guevare non costituisce un problema di alcun genere, neppure per la mia attuale funzione di ambasciatore presso la Santa Sede. Il Che non era un dogmatico né un fanatico. Rivoluzionario genuino preoccupato per la liberazione di ogni uomo, non si credeva un profeta né si considerava un santo. È vero che non era cattolico, ma un intellettuale dalla mente ampia, un uomo che capiva le cose del mondo, che si interessava a tutto, che sapeva molto bene quale fosse il ruolo della religione nelle società latinoamericane e anche a Cuba”.
D. – Pensa che la comunanza di ideali e di cultura con Che Guevara le sia di utilità per la sua funzione di rappresentante del suo paese presso la Santa Sede?
R. – “Penso che tutto ciò che è positivo è sempre utile. Devo dire che quando nel 1954 ho conosciuto in Messico il Che, parlavamo soprattutto di letteratura, di filosofia e di politica. Egli non conosceva ancora Fidel e Raúl Castro. Aveva invece un grande amico cubano, anch’egli membro del Movimento 26 Luglio, poi caduto durante la lotta nella Sierra Maestra. È stato lui a presentarci e per suo tramite ho fatto la conoscenza del Che. All’epoca Guevara non era legato alla rivoluzione cubana ma aveva, invece, un legame con la rivoluzione latinoamericana che non esisteva in quel momento, ma era qualcosa che lui voleva ardentemente. Tanto come noi che in quell’epoca eravamo in esilio in Messico. E c’era il nostro gruppo al quale apparteneva certamente mio padre, Raúl Roa Garcia, considerato un importante intellettuale cubano e dell’America Latina, mentre io ero un ragazzo di 17 anni. Era un gruppo di esiliati latinoamericani: c’erano peruviani, il grande scrittore venezuelano Romolo Galliego, il poeta Roy Blanco. C’erano tanti argentini e molti altri di varia provenienza accomunati dagli ideali rivoluzionari. È in questo gruppo che noi abbiamo trattato con il Che dal punto di vista intellettuale. Egli era diventato un amico di mio padre che all’epoca era professore all’università dell’Avana. Era professore anche in Messico e dirigeva una rivista chiamata ‘Humanismo’. Per questo aveva scambi e si incontrava con altri intellettuali dei diversi paesi dell’America latina. La mia conoscenza del Che è nata in questo contesto di fervida iniziativa intellettuale”.
D. – In che senso le è servita l’esperienza di vita e di conoscenza della rivoluzione per trovare punti di convergenza con la Santa Sede?
R. – “Fin dalle origini, la rivoluzione cubana è stata una rivoluzione nuova nel mondo. Dalle sue origini si collocava nella tradizione rivoluzionaria cubana precedente, iniziata nel 1868, con una tappa importante nel 1895. Iniziata nel 1868 con Manuel De Cespedes, padre della patria e bisnonno dell’attuale monsignor Carlos Manuel De Cespedes. Cento anni dopo, nel 1968, Fidel Castro dichiarava che questi primi rivoluzionari ‘oggi sarebbero come noi, e noi allora saremmo stati come loro’. C’è una continuità e una novità in questa rivoluzione. Novità nella continuità. Penso che noi siamo continuatori del pensiero di Manuel De Cespedes ma anche di José Martí che è il capo della lotta cubana per l’indipendenza nel 1895. Essi hanno dato un contenuto speciale alla rivoluzione cubana, compenetrata dell’umanesimo di Martí e degli ideali vicini alla rivoluzione francese di Manuel De Cespedes. Penso che essi rappresentino la base della nostra rivoluzione che poi, alla luce dei tempi, è diventata anche una rivoluzione socialista. Benchè non sia stato comunista, ho sempre pensato che una rivoluzione nel secolo XX non poteva essere che socialista. Non mi sono trovato molto d’accordo con i regimi dell’Est europeo perchè non ero e non sono staliniano. L’obiettivo socialista della rivoluzione cubana, a mio parere, era ineludibile. Come l’umanesimo socialista e marxista. Perché l’uomo è la radice di tutto per un vero socialista. L’uomo è l’essenza della rivoluzione. Quello che vogliamo fare è sviluppare l’uomo, e i progressi in ogni campo che nel tempo si impongono alla pubblica opinione devono riconoscere la centralità dell’uomo. Tutto questo patrimonio di idee umaniste, che per me costituisce la vera tradizione della rivoluzione cubana, mi permette oggi di avere un rapporto cordiale e una comprensione mutua con i miei amici della segreteria di stato vaticana. E posso capire certamente il loro pensiero anche se non troviamo sempre un accordo su tutto. Cosa del resto non possibile. Io sono un socialista e la Chiesa non è socialista e non combatte per il socialismo. Posso capire questa posizione della Chiesa anche perchè la nostra tradizione culturale, legata al pensiero di Cespedes e di Martí, è la tradizione cristiana e occidentale, che è anche la tradizione del nostro popolo. Non esiste perciò dal punto di vista culturale un ostacolo per capirsi”.
D. – Avete avuto la sensazione che da parte vaticana ci siano state riserve nei confronti della situazione e delle scelte di Cuba?
R. – “Forse ci sono stati momenti in cui la posizione del governo cubano non è stata ben capita dalla Santa Sede, ma penso che la Santa Sede abbia sempre avuto comprensione per la rivoluzione cubana e certamente ha cercato di capirla. Devo dire che papa Giovanni XXIII è stato una persona molto aperta. Personalmente l’ho conosciuto nel 1961-62 quando sono stato a Castel Gandolfo con l’ambasciatore Luis Amado Blanco per una udienza. Nel corso di quell’incontro Giovanni XXIII ci disse: ‘Coraggio Cuba’, perché lui capiva che in quel momento ciò che era importante era la riforma agraria a Cuba. Lo capiva perfettamente essendo egli stesso di origine contadina e non ebbe difficoltà a darci un incoraggiamento. E anche con il papa Paolo VI e con gli altri pontefici non c’è mai stata una posizione contraria alla rivoluzione cubana. La Chiesa non è del partito della rivoluzione ma non ha avuto una critica preconcetta al processo rivoluzionario a Cuba, sebbene lo spazio per la Chiesa cattolica nell’isola sia sempre stato un motivo di discussione tra noi e la Santa Sede, fra il governo cubano e la gerarchia cattolica in Cuba. Ma occorre riconoscere che i rapporti tra Santa Sede e Cuba sono sempre stati corretti, sebbene ci siano delle riserve mentali sulla rivoluzione. Non abbiamo infatti la stessa posizione e la stessa comprensione della storia”.
D. – Come mai il rapporto tra il governo cubano e la Santa Sede, che è lontana dall’isola, è migliore di quanto non lo sia il rapporto tra governo e Chiesa cubana?
R. – “La Santa Sede ha una visione più ampia della storia rispetto alla Chiesa cattolica in Cuba. Quando dico Chiesa cattolica a Cuba intendo soprattutto gerarchia cattolica, perché occorre distinguere. In generale i sacerdoti sono vicini al popolo, invece alcuni vescovi sono piuttosto vicini al popolo di Miami, ai cubani emigrati. E questo è un peccato. Perché credo che la Chiesa dovrebbe lavorare con il popolo che vive a Cuba, che è un popolo rivoluzionario che ha sempre dato un apporto alla rivoluzione. Forse ci sono alcuni che non sono d’accordo, ma si tratta di una minoranza di cubani. Ci sono invece alcuni vescovi che pensano con la mentalità dei cubani emigrati a Miami, conservando la mentalità precedente alla rivoluzione che storicamente ha sempre prodotto una certa distanza tra la Chiesa e il popolo cubano. All’epoca della lotta per l’indipendenza, la Chiesa cattolica a Cuba era dominata dalla Spagna e dunque era contro l’indipendenza. Poi quando Cuba è diventata una repubblica sotto l’influsso neocoloniale degli Stati Uniti, quella Chiesa ha continuato ad essere al servizio dei poteri stranieri, legandosi ai cubani a loro volta legati al potere americano. Dopo la rivoluzione del 1959, con la quale Cuba per la prima volta nella sua storia ha conquistato la sua piena indipendenza, una parte della Chiesa, soprattutto la gerarchia, non ha capito la rivoluzione. Anche perché in quel tempo una parte di preti spagnoli nell’isola erano franchisti e noi li abbiamo mandati via perchè avevano cominciato a cospirare attivamente contro la rivoluzione. Debbo riconoscere che ci sono membri della gerarchia e del clero che sono veri patrioti cubani. Forse non sono socialisti, ma certamente sono patrioti e capiscono quello che ha fatto la rivoluzione dal punto di vista sociale, educativo e scientifico maturato con la rivoluzione. Questi ecclesiastici sono d’accordo e non sono contro un tale progresso. Sono critici su altre questioni. Ci sono poi i preti che in generale sono vicini al popolo e nella vita pratica quotidiana non hanno un contrasto con il potere sebbene non ne condividano l’ideologia”.
D. – Lei passa per amico anche di Fidel Castro. Il Comandante in Capo le ha dato qualche speciale raccomandazione prima che iniziasse il suo lavoro di rappresentanza presso la Santa Sede?
R. – “Sono amico del presidente Fidel Castro, ma non lo sono a livello personale di come lo sono stato con Che Guevara. Fidel è il nostro dirigente e ho una grande ammirazione per lui, lo conosco perfettamente, ma dire che sono un amico è forse dire troppo. Ho quella relazione che un ambasciatore ha con un capo di stato. Fidel Castro ha sempre raccomandato di sviluppare i rapporti con la Santa Sede sulla base del mutuo rispetto e della cooperazione. Egli mi incaricò, in particolare, di salutare a suo nome con molta cordialità il Santo Padre Giovanni Paolo II, perchè nutriva una grande ammirazione per papa Karol Wojtyla”.
D. – Come mai avete deciso di ricordare con una certa solennità i 70 anni di rapporti tra Santa Sede e Cuba, una data importante ma non consueta per particolari celebrazioni come può accadere per i 100 anni?
R. – “Per noi 70 anni sono tanti. Dal punto di vista storico forse sono pochi, ma dal punto di vista dei rapporti tra due stati sono già qualcosa di importante. Cento anni sarebbero senza dubbio ancora più importanti e significativi, ma ciò non toglie importanza al ricordo dei 70 anni di buone e costanti relazioni. Il nostro ministro degli esteri Felipe Perez Roque per l’occasione ha inviato una lettera a monsignor Giovanni Lajolo che ha risposto cordialmente. Ma in qualità di ambasciatore penso che sarebbe interessante e importante che per questo settantesimo siano meglio conosciuti alcuni aspetti della cultura e della vita cubana solitamente trascurati. In generale in Italia si conoscono di Cuba solo notizie cattive o notizie presentate in forma negativa e non molto obiettiva. Pensiamo che sia perciò importante poter avere alla filmoteca vaticana una presentazione di documentari cubani sulla vita e la realtà del nostro paese. Si pensi a quello che fa il nostro governo per aiutare altri paesi del Terzo Mondo dal punto di vista medico. Fa cose analoghe a ciò che fanno i missionari cattolici. È stato Fidel Castro a dire che i nostri medici sono come i missionari cattolici, perché vanno nei posti più lontani e scomodi dei vari paesi senza obiettivi di lucro personale, ma solo con l’intento di poter rendere un servizio alle persone nel bisogno. Su questo argomento abbiamo un documentario bello e importante con il titolo ‘Montagna di luce’ che credo sia interessante proiettare alla filmoteca. Altrettanto importante mi pare donare alla filmoteca vaticana alcuni documentari sulla cultura cubana. È in programma un concerto dell’orchestra giovanile diretta dal maestro Claudio Abbado. Mi sembra interessante uscire dagli schemi soliti su Cuba e la sua musica. È conosciuta soprattutto la musica cubana da ballo, ma restano in ombra gli altri generi musicali nonostante l’alto livello raggiunto. Vorrei preparare un piccolo volume sulla storia dei rapporti tra Cuba e il Vaticano in questi 70 anni trascorsi, come anche un articolo sul sacerdote Felix Varela, che è stato figura di spicco dell’indipendenza cubana e perciò esiliato. Egli ha lasciato ai cubani una grande lezione dicendo loro: ‘La prima cosa è pensare’. Come indipendentista ha avuto una grande influenza su José Martí e Carlos De Cespedes. Ho pure chiesto allo scrittore cattolico cubano Silvio Vitié di presentare un intervento sulla spiritualità di José Martí. Sarebbe anche opportuno un articolo a ricordo dell’azione di monsignor Cesare Zacchi a Cuba e dell’ambasciatore Amado Blanco in Vaticano. E un ricordo sulla visita di Giovanni Paolo II a Cuba. Con la collaborazione di autori cattolici e non cattolici, credenti e non credenti. Vorrei invitare, poi, lo storico della città dell’Avana Eusebio Leal, abbastanza conosciuto in Italia, a tenere una conferenza culturale. E come conclusione delle celebrazioni la messa cubana di Josè Maria Vitier, scritta per la visita di Giovanni Paolo II a Cuba. È una messa molto bella, tradizionale, ma che dal punto di vista musicale segna una evoluzione della musica religiosa. Questa messa sarà eseguita nella prima decade di dicembre nella basilica di Santa Maria in Trastevere. Non credo che siano molti in Italia a conoscere che a Cuba vivono compositori di musica religiosa che hanno scritto partiture di valore artistico per le messe. La messa che faremo ascoltare in Santa Maria in Trastevere è la stessa che venne suonata con il papa in Piazza della Rivoluzione a L’Avana. Cuba non è chiusa a questo genere di musica. Al contrario. José Maria Vitier è un cattolico e uno dei più popolari compositori e interpreti di Cuba oggi. È bene che si sappia ed è importante rilevarlo per migliorare i rapporti tra Cuba e la Chiesa cattolica”.
D. – Le celebrazioni per il settantestimo saranno solo a Roma o anche a Cuba con la partecipazione della Chiesa locale?
R. – “Penso che all’Avana ci saranno iniziative del governo e della Chiesa cubana”.
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Il sito web dell’agenzia di Roma alla quale l’ambasciatore cubano Raúl Roa Kourí ha rilasciato l’intervista:
> ASCA
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Il sito, in spagnolo e in inglese, della rivista “Vitral” del Centro di Formazione Civica e Religiosa della diocesi cubana di Pinar del Rio, che ha diffuso il testo integrale della replica del cardinale Ortega all’intervista dell’ambasciatore Roa Kourí:
> “Vitral”
Per ricevere via e-mail il suo bollettino informativo in spagnolo:
> obipinar@cocc.co.cu