(l’Espresso) Chiese sotto assedio. Ma da Firenze parte la riscossa

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Uno studioso americano lancia il progetto di un nuovo Rinascimento per l’Europa. Proprio dalla città dove sporcizia e disprezzo offuscano i capolavori dell’arte cristiana


di Sandro Magister


 ROMA – Da alcune domeniche Giovanni Paolo II dedica i messaggi dell’Angelus all’Europa troppo poco cristiana. E sul giornale del papa, “L’Osservatore Romano”, è comparso il 4 agosto un importante articolo anch’esso con un richiamo preoccupato all’Europa. Con questo titolo:

“Se non si conserva la dignità delle chiese si rischia di costruire un’Europa senza identità e senza anima”.

L’autore dell’articolo è Timothy Verdon. Nato in New Jersey, formatosi come storico dell’arte alla Yale University, vive da trent’anni in Italia e dal 1994 è sacerdote a Firenze, dove dirige l’Ufficio diocesano per la catechesi attraverso l’arte. È consultore della Pontificia commissione per i beni culturali della Chiesa, Fellow del Center for Renaissance Studies della Harvard University, e docente presso la Stanford University e la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale. Presiede “Ars et Fides”, federazione internazionale di guide volontarie nelle chiese storiche.

L’articolo ha un antefatto minore. Il 29 luglio, a Firenze, Verdon e altri preti delle maggiori chiese della città hanno denunciato in una conferenza stampa l’abbandono, il degrado, l’inciviltà che avvolgono i luoghi sacri di una delle più straordinarie città d’arte cristiana del mondo. Verdon ha parlato letteralmente di “suicidio” della città, nell’inerzia colpevole dei suoi amministratori. I quali hanno risposto risentiti. La polemica è rimbalzata su tutti i media italiani.

Ma poi c’è l’antefatto maggiore. Quella di Firenze è una diocesi in cui è viva la sensibilità per l’arte cristiana come “luogo teologico” e scuola di fede. E in cui è forte l’allarme per la dimenticanza e il discredito caduti oggi su tanta parte dell’arte cristiana in Europa e nel mondo.

Nel 1997 i vescovi di Firenze e della Toscana hanno pubblicato una nota pastorale che è nel suo genere una prima assoluta: il primo documento della Chiesa espressamente dedicato alla funzione spirituale, pastorale e catechetica dell’arte sacra. Dal Vaticano, la Pontificia commissione per i beni culturali della Chiesa ha inviato questa nota a tutte le conferenze episcopali del mondo.

E a Firenze è nato un Ufficio diocesano per la catechesi attraverso l’arte. I cui primi frutti sono raccolti in un volume curato da Verdon e da pochi mesi in libreria.

Il volume propone sia la nota pastorale dei vescovi toscani, sia due cicli di catechesi fatta tramite l’arte: il primo ciclo è una guida all’arte, alla fede, alla storia di Firenze per visitatori anche non cristiani e bisognosi di una prima evangelizzazione; il secondo è stato sperimentato la prima volta, sempre a Firenze, con giovani che si preparavano al giubileo del 2000.

Ma Verdon lavora anche a un altro progetto: la preparazione di un “Manuale di storia dell’arte cristiana” per la formazione dei preti di tutto il mondo, suggerito fin dal 1992 dalla Pontificia commissione per i beni culturali della Chiesa, in una lettera ai vescovi di tutto il mondo.

Il progetto di Verdon prevede un testo base con varie edizioni nazionali, combinato con un Cd-Rom, più un portale web multimediale con possibilità di studio a distanza.

L’idea guida è che l’Europa cristiana invocata da Giovanni Paolo II può avere il suo Rinascimento proprio da qui: da una riscoperta di quel formidabile strumento di educazione alla fede costituito dall’architettura e dall’arte sacra, di cui l’Italia e l’Europa sono incomparabilmente ricche. E da una preparazione dei preti all’altezza di questa sfida.

Ecco qui di seguito l’articolo apparso su “L’Osservatore Romano” del 4-5 agosto 2003:


Se non si conserva la dignità delle chiese si rischia di costruire un’Europa senza identità e senza anima

di Timothy Verdon


Commentando la congiura dei Pazzi e l’assassinio di Giuliano de’ Medici avvenuto nel Duomo di Firenze nel 1478, un autore del Seicento sottolineò l’orrore dell’atto sacrilego affermando che “sin’un gran turco, qual fu Baiset Barbaro, nemico giurato di nostra santa fede, sentita l’atrocità dell’accidente, ammirato fosse, perché assai più si sarebbe portato rispetto e reverenza alla loro moschea di quel che s’era fatto alla chiesa” (Ferdinando del Migliore, “Firenze. Città nobilissima illustrata”, Firenze, 1684, pp. 42-43).

Ma lo scandalo suscitato dal mancato rispetto non appartiene solo al passato: ancor oggi molti, se non proprio ‘nemici’ della fede cristiana almeno lontani da essa, rimangono stupiti davanti all’apparente disinteresse con cui l’Europa si rapporta alle grandi chiese della sua storia.

Il degrado, rumore e sporcizia che circondano i luoghi sacri di numerose città, con la trasformazione di loggiati e piazze antistanti le chiese in bivacchi, delle vie intorno in gabinetti aperti e covi di spacciatori, nonché le cartacce, lattine e bottiglie che ogni giorno ricompaiono sui sagrati sono piaghe vergognose, che nei rapporti tra cristiani ed altri (specialmente i mussulmani), finiscono coll’essere anche ostacoli al dialogo culturale.

I non europei non capiscono come una civiltà storica possa rinnegare le sue radici religiose, hanno difficoltà a prenderla sul serio, non la rispettano. E hanno ragione, perché il rispetto che una società mostra per i luoghi della sua memoria collettiva è l’indice più chiaro del rispetto che ha per sé stessa.

Queste poi sono situazioni che i politici locali e i media tendono a trascurare, sebbene i frequentatori delle chiese facciano sempre parte della società civile e hanno gli stessi diritti di altri gruppi. Non si tratta in ogni caso di un problema solo religioso ma anche civile: il degrado tocca tutti i cittadini, non solo i praticanti, perché in ogni paese di antica tradizione cristiana, le chiese sono tra i principali luoghi della storia nazionale e locale. Di ogni chiesa che ha più di cinquant’anni di vita, si può dire ciò che Tobia disse di Gerusalemme: “generazioni e generazioni hanno espresso in te l’esultanza” (Tb 13,13); soprattutto le grandi chiese storiche – cattedrali, basiliche degli ordini religiosi e chiese monastiche – rendono presente, anche a chi non crede, lo spessore e la bellezza della fede dei secoli passati: le gioie e sofferenze che hanno plasmato lo spirito delle nostre città.

Oltre alla loro importanza nella vita delle comunità locali, le chiese hanno poi una funzione civilizzatrice più estesa, collegata, sì, al turismo ma di ben altra portata. Come scrisse nel 1992 monsignor Francesco Marchisano, allora segretario della Pontificia commissione per i beni culturali della Chiesa, “mentre l’umanità registra il fallimento di un modello di vita giocato sul consumo dell’effimero e sul potere incontrastato della tecnica; mentre crollano le ideologie chiuse alla trascendenza e alla spiritualità dell’uomo, si registra un crescente ricorso alla fruizione di beni propri dello spirito umano e caratteristici delle manifestazioni superiori del suo genio. In un mondo minacciato da nuove forme di barbarie e percorso da flussi migratori sempre più imponenti, che espongono intere popolazioni a vivere quasi sradicate dal proprio humus, sono molti, e sempre più numerosi, le donne e gli uomini che si fanno sensibili al valore umanizzante delle espressioni culturali e artistiche. Cresce di conseguenza la convinzione che è importante, per il futuro dell’umanità, por mano alla loro retta conservazione, alla difesa dalla dispersione e dalla strumentalizzazione (che derivano da un loro uso orientato solo a fini economici), alla loro valorizzazione come veicoli di senso e di valore per la vita umana”.

Questo testo di undici anni fa, un documento sulla formazione artistica dei futuri preti, conclude che la Chiesa e i suoi ministri debbano farsi carico della gestione morale di un patrimonio che è strumento impareggiabile di evangelizzazione. Oggi, ciò implica anche un paziente lavoro di sensibilizzazione esterna ed interna, societale ed ecclesiale.

Da una parte, vescovi e sacerdoti devono confrontarsi con le autorità locali su questioni di ordine pubblico che toccano le chiese storiche: non solo le gravi problematiche sopraccennate, ma anche la crescente tendenza a stravolgere spazi nati in rapporto alle chiese, piazze e sagrati, con inappropriate iniziative di carattere spettacolare.

Dalla parte ‘interna’, poi, i responsabili di chiese storiche devono condurre la difficile battaglia per dare un senso cristiano al turismo di massa, salvaguardando sia il diritto dei visitatori a fruire di un bene di alto valore culturale, sia soprattutto il diritto della comunità credente a veder rispettata la sacralità del luogo. Esigenze, queste, non opposte ma complementari, perché si permette al turista di fruire veramente di una chiesa storica quando gli si spiega la sua ragione d’essere originale: quando s’illustra cioè il significato religioso oltre che estetico dell’edificio. Perfino i necessari divieti – la disciplina dei comportamenti e del vestiario, il richiamo al silenzio, il non accesso a determinate zone dell’edificio e durante le funzioni – diventano illuminanti forme di comunicazione: il turista ha infatti un diritto di sapere che tanta bellezza e tanta storia non siano cose solo del passato ma anche del presente, che la chiesa non si sia trasformato in museo e che la fede che essa incarna viva ancora in uomini e donne del nostro tempo.

A questo scopo, i responsabili delle comunità cristiane devono coinvolgere i fedeli in un servizio di accoglienza nelle chiese storiche, preparando operatori culturali capaci di “rendere ragione della speranza” comunicata dai monumenti stessi: guide e accompagnatori, ma anche studiosi, archeologi, critici “ferventi nel bene” che adorino il Signore nei loro cuori (1 Pt 3, 13-15).

In tutto il mondo cattolico vanno introdotti corsi di storia dell’arte sacra nel curriculum dei seminari, per creare nel clero diocesano, nei religiosi e nel laici impegnati un forte senso del formidabile strumento di catechesi costituito dall’architettura e dall’arte.

Va poi offerto agli insegnanti di religione e ai catechisti una formazione tale da permettere loro di portare gli alunni, i bambini che preparano la prima comunione o la cresima, a vedere, a toccare con mano, a respirare l’aria della fede dei loro avi. Perché, come affermarono i vescovi della Toscana nella loro nota pastorale del 1997, “tale strategia […] non mira solo a risolvere il problema turistico, ma costituisce una vera opera pastorale, in cui la Chiesa adempie al comando del Signore di pascere il gregge” (n. 17).

Privare l’Europa e il mondo della bellezza del messaggio cristiano per mancata difesa dei luoghi che la comunicano sarebbe gravissimo: un peccato di omissione culturale, morale e spirituale. Inutili i piani pastorali e gli ambiziosi progetti di sviluppo urbanistico se non si conserva la dignità originaria delle chiese che da sempre sono il cuore delle nostre città: si rischia di costruire un’Europa di efficienti metropoli senza identità e senza anima.

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La nota pastorale dei vescovi della Toscana, del 1997, nel sito di “Art et Fides”:

> La vita si è fatta visibile. La comunicazione della fede attraverso l’arte