(l’Espresso) Anche in Oriente occorre ri-evangelizzare i cristiani

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C’è un’oasi cattolica in Dubai. E un’altra è nata a Venezia

La vita di una fervente parrocchia della penisola arabica, nel racconto del suo vescovo. Anteprima della nuova rivista internazionale “Oasis” ideata dal cardinale Scola

di Sandro Magister
ROMA, 31 gennaio 2005 – Ai primi di febbraio esce il primo numero di una nuova rivista internazionale ideata dal patriarca di Venezia, il cardinale Angelo Scola.

Sarà una rivista molto speciale, a cominciare dalla testata in tre lingue: “Oasis / Al-Waha / Naklistan”. Dove la seconda parola traduce la prima in arabo. E la terza la traduce in urdu, la lingua parlata in India e in Pakistan. Ciascun quaderno sarà anch’esso stampato in più lingue e in più edizioni: italiano, inglese, francese, arabo, urdu e in futuro anche indonesiano.

Perché è da Venezia ad Oriente che “Oasis” viaggerà. Dai paesi arabi alla Persia all’India e all’Asia Centrale, sulle strade dell’antica Via della Seta e più a sud sulle rotte di un san Francesco Saverio.

Arriverà in paesi a maggioranza musulmana ed è soprattutto mirata alle minoranze cristiane che vivono in quelle regioni. I suoi primi destinatari saranno i vescovi e da questi si propagherà a una rete di lettori interessati, cristiani ma anche appartenenti all’islam e ad altre religioni.

Comincerà con 3.000 copie. Nel primo numero spiccano un’intervista esclusiva con il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, un reportage da Damasco e da Beirut sui cristiani lì fuggiti dall’Iraq, un confronto a più voci sulla convivenza tra musulmani e cristiani in Pakistan.

Tra gli autori di questo primo numero vi sono studiosi, saggisti, giornalisti di varie nazioni. E anche tre vescovi: quello di Tunisi, Fouad Twal, quello di Islamabad-Rawalpindi, Anthony Lobo, e quello del vicariato apostolico di Arabia, Paul Hinder.

Hinder risiede ad Abu Dhabi e governa la più vasta circoscrizione cattolica del mondo, con più di 3 milioni di chilometri quadrati di superficie e comprendente sei stati: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Bahrein, Oman e Yemen.

Nell’intera circoscrizione i fedeli cattolici sono convenzionalmente stimati in 1.300.000, quasi tutti immigrati da paesi non arabi. Ma in realtà sono molti di più. Ad esempio, in Arabia Saudita vivono circa un milione di filippini, in grande maggioranza cattolici, che non rientrano nel conteggio. Ha detto il vescovo Hinder in un’intervista a “Mondo e Missione” n. 8, 2004:

“Per ragioni di sicurezza non posso fornire dati precisi sull’Arabia Saudita. Lì la situazione è molto simile a quella delle prime comunità cristiane. C’è una Chiesa vivace, nelle mani di leader laici che dirigono le molte comunità di base. Una Chiesa che prega e che spera un giorno di potere uscire dalle catacombe”.

Negli Emirati, nel Qatar, a Bahrein vi sono margini di libertà religiosa relativamente più ampi. Ma per raggiungere i fedeli i sacerdoti sono pochi e i divieti di ingresso non consentono di aumentarli.

Negli ultimi anni è cresciuta nella penisola arabica la presenza di Chiese “evangelical” e pentecostali. La loro espansione missionaria ha indotto i governi locali a stringere i controlli.

Anche alcuni cattolici passano a queste nuove Chiese. Oppure si fanno musulmani, con grande risonanza sui media. Accade anche l’inverso, che dei musulmani si convertano al cristianesimo: ma su questo è d’obbligo l’assoluto segreto. Dice Hinder nella stessa intervista:

“Mai potremmo permetterci di accettare la conversione di un musulmano. Questa eventualità creerebbe dei rischi gravissimi non soltanto per le persone in causa ma per l’intera Chiesa”.


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Ma com’è la vita di una parrocchia tipo – tra quelle relativamente più libere – del vicariato apostolico di Arabia?

Nell’articolo che segue, che uscirà sul primo numero di “Oasis”, il vescovo Hinder racconta la vita della più grande e fervente parrocchia del Dubai, la St Mary’s Church, con picchi di trentamila fedeli alle celebrazioni della settimana santa.

Il Dubai è la Singapore della penisola arabica: un mini-stato in forte espansione economica, con un elevato benessere medio e all’avanguardia della modernità (è in costruzione il più alto grattacielo del mondo, di circa 900 metri di altezza, con inaugurazione prevista nel 2009). La famiglia degli emiri Al-Maktoum lo regge in forma autoritaria, ma con margini di tolleranza più ampi che in altri paesi del Golfo. Non ha sinora registrato attacchi terroristici, né risulta che l’islamismo radicale vi abbia attecchito.

Hinder, 63 anni, svizzero, frate cappuccino è stato superiore dell’ordine con incarico per il Medio Oriente. Parla correntemente tedesco, italiano, inglese, francese. È vescovo da un anno.
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Diario della St. Mary’s Church, Dubai

di Paul Hinder, vescovo del vicariato apostolico di Arabia


In occasione della mia nomina a vescovo ausiliare del vicariato apostolico di Arabia molti mi chiesero: “Che cosa farai in quei paesi? Non ci sono cristiani.”

Ma se qualcuno si fermasse un venerdì qualsiasi o – meglio ancora – la settimana santa a Dubai, alla St. Mary’s Church, sarebbe subito convinto del contrario e diventerebbe testimone di una Chiesa vibrante, composta da cristiani provenienti da un centinaio di paesi, soprattutto dall’India e dalle Filippine.

Dubai, uno dei sette Emirati Arabi Uniti, UAE, è diventato il centro commerciale più importante della regione. Secondo i dati del 2003, gli abitanti degli UAE sono 3 milioni e 150.000. I cristiani sarebbero circa 1 milione e 100.000, cioè il 35 per cento della popolazione, dei quali 900.000 sono cattolici. Il 29 per cento della popolazione abita a Dubai. Se queste informazioni sono corrette, i cattolici a Dubai sarebbero quasi 300.000, moltissimi dei quali praticano soltanto occasionalmente o mai. Tutti i cristiani sono immigrati e si trovano qui per ragioni di lavoro. Tra di loro si trova anche un gran numero di cattolici di lingua araba provenienti dalle minoranze cristiane di Libano, Siria, Giordania, Palestina e Iraq.

St Mary’s Church a Dubai è la più grande parrocchia del nostro vicariato. Da alcuni anni c’è a Jebel Ali, circa 30 km dalla città di Dubai, una seconda parrocchia in una zona in pieno sviluppo. Come negli altri Emirati, i cristiani di Dubai godono della libertà di culto nel recinto del complesso parrocchiale che comprende la più grande chiesa del Medio Oriente con una capacità di 2000 persone, la casa parrocchiale con i locali adiacenti per le diverse attività, la casa delle suore comboniane e la grande scuola da loro diretta, con circa 2.300 alunni per tre quarti cristiani. Nella stessa città le Figlie di Maria Immacolata di Baghdad dirigono un’altra scuola con più di 1.700 alunni al 95 per cento musulmani. La cura pastorale della St. Mary’s Church è affidata al parroco e a quattro sacerdoti tutti frati cappuccini: tre indiani, un filippino e un libanese.

A causa del giorno festivo musulmano, il venerdì, le messe domenicali si celebrano non soltanto la domenica, ma anche il giovedì sera e il venerdì, e queste sono le più frequentate. Chi vuole partecipare alla messa, deve per forza venire alla St. Mary’s Church. È lì che tutti i fedeli formano, ogni settimana, una folla che qualsiasi parroco europeo invidierebbe. Nei tempi forti – Natale, settimana santa e Pasqua – la folla è impressionante. Nel 2004 ho presieduto la messa del giovedì santo: i fedeli non soltanto riempirono la chiesa, ma anche le aule della scuola, la grande piazza davanti alla chiesa e i campi sportivi dietro la chiesa, e da questi vari posti seguivano la celebrazione attraverso i maxi schermi. Mi hanno detto che erano presenti almeno 30.000 fedeli. La lingua franca è l’inglese. Ci sono però celebrazioni regolari in arabo, in malayalam, tamil e altre lingue.

Una parrocchia così grande e complessa non può essere gestita solo dai preti. La sua vitalità si deve in gran parte anche alle suore e a un grande numero di uomini e donne che mettono a disposizione i loro carismi. La catechesi ai bambini (nel 2003 erano 4.300) viene fatta il giovedì e il venerdì. Inoltre, una schiera di catechisti volontari e le suore preparano i bambini alla prima comunione (nel 2003 erano 600) e alla cresima (nel 2004 erano 450). Sono molto fiorenti e attive anche le associazioni – Couples for Christ, Legio Mariae, ecc. – e i gruppi di preghiera. Ogni anno è organizzato un corso di formazione di un mese per i loro leader. Molti fedeli prestano vari servizi nella chiesa: coro, chierichetti, pulizia, servizio d’ordine, ecc.

Siamo in un paese islamico. Perciò tutte le attività religiose pubbliche devono svolgersi entro il recinto della chiesa e dei locali parrocchiali. Essendo limitati gli spazi, è inevitabile che a causa del numero grande e variegato di fedeli ci siano anche delle complicazioni. È come se tutte le attività religiose pubbliche della città di Milano dovessero svolgersi nel Duomo e negli spazi adiacenti. Subito nascerebbero dei problemi: chi può usare un certo spazio, quale giorno, a che ora, per quanto tempo. Se poi si trattasse, come da noi, di fedeli di diverse lingue, nazioni e riti, si capisce che non è sempre facile dominare la situazione.

Ma, a parte queste difficoltà proprie di una parrocchia multiculturale e multirazziale, si avverte una fede che stupisce. Per molti fedeli, St. Mary’s Church è un punto di riferimento essenziale per la loro identità cristiana: qui pregano insieme, si incontrano, si incoraggiano e, in caso di bisogno, si aiutano. È vero che i gruppi linguistici o etnici si incontrano di preferenza tra loro, però rimane la realtà di una Chiesa in cui si sperimenta la cattolicità in un modo che impressiona chiunque viene per la prima volta a Dubai.

St. Mary’s Church è un punto di riferimento stabile per un popolo pellegrino. Sono pochi i cristiani che rimangono a Dubai fino alla morte. Lo impediscono non soltanto le leggi d’immigrazione, ma anche la volontà di migrare verso un altro paese – Australia, Canada, USA, Europa – o di tornare in patria. In questo “transito” da piattaforma girevole internazionale la Chiesa aiuta i cristiani a non perdere l’essenziale: Gesù Cristo.

Tuttavia, nonostante la folla immensa di fedeli che partecipano a liturgie, devozioni e riunioni della parrocchia di Dubai, non possiamo nasconderci il fatto che troppi cristiani stanno perdendo la fede per mancanza di cura pastorale, necessariamente limitata, e per la seduzione e pressione provenenti da altri gruppi religiosi e dall’islam. La parola di Gesù indirizzata a Simon Pietro diventa a Dubai una sfida lanciata non soltanto ai pastori, ma ad ogni singolo fedele: “Ho pregato per te, che non venga meno la tua fede. Conferma i tuoi fratelli“ (Lc 22,32).

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La rivista “Oasis / Al-Waha / Naklistan” – sul cui primo numero uscirà l’articolo del vescovo Paul Hinder – è stampata dall’editore Cantagalli, di Siena, ed è emanazione del “Marcianum”, il centro internazionale di studi teologici e umanistici fondato a Venezia nel 2004 dal patriarca Angelo Scola:

> “Studium Generale Marcianum”