(il Timone) L’errore dei cattolici democratici

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Il 1968, i teodem e il diritto naturale


 Marco Invernizzi, 20-2-2007


il Timone

 C’è una data importante per capire quanto sta accadendo in
tema di “Dico”.
Tale data è il 1968 e precisamente la data di pubblicazione
dell’enciclica Humanae vitae, con la quale papa Paolo VI
pronunciava un celebre non possumus, riaffermando l’insegnamento
tradizionale sull’illiceità di ogni forma di regolazione
artificiale delle nascite e ricordava come i due fini del
matrimonio, unitivo e procreativo, non possono essere
separati come invece vorrebbe la mentalità laicista.
Molti studiosi fanno risalire a questa enciclica l’inizio
della contestazione del Magistero da parte di alcuni teologi
e di una porzione di fedeli cattolici, contestazione che
amareggerà il restante periodo di pontificato di Paolo VI e
che sarà successivamente oggetto di diversi interventi della
Congregazione per la dottrina della fede sotto la guida del
card. Joseph Ratzinger.

Che cosa viene contestato al Magistero della Chiesa?
Perché dal 1968 in poi assumono una visibilità costante
nella vita della Chiesa, soprattutto attraverso l’enfatizzazione
offerta dai mass media, sia i teologi che contestano il
Magistero sia quel cattolicesimo democratico che, nella vita
culturale e politica, si oppone a qualsiasi contrapposizione
da parte dei cattolici contro le manifestazioni più
anticristiane della modernità, e non soltanto nell’ambito
della morale sessuale e matrimoniale?

Naturalmente il tema meriterebbe una più ampia e meditata
riflessione che ci aiuterebbe a capire cosa è successo nella
vita della Chiesa italiana negli anni Settanta e Ottanta del
secolo scorso, quando il Papa, che pur aveva sollevato tanti
entusiasmi nel mondo progressista, venne sostanzialmente
abbandonato e accusato di avere impedito lo sviluppo
profetico del Concilio Vaticano II, tanto che nell’ultimo
decennio del pontificato (dal 1968 al 1978) Paolo VI
denuncerà costantemente, un numero impressionante di volte,
quella che lui stesso aveva definito l’autodemolizione della
Chiesa.

Tuttavia qualcosa si può accennare anche in poche battute.
Una prima considerazione ha per oggetto il diritto naturale,
la cui importanza è stata ricordata ancora da papa Benedetto
XVI nel discorso alla Pontificia Università Lateranense
lunedì 12 febbraio 2007.
Come spiega proprio l’Humanae vitae, la Chiesa non insegna
soltanto quanto rivelato da Dio attraverso le Sacre
Scritture, ma anche quanto riguarda la natura, perché Dio
che si è rivelato in Cristo è lo stesso che ha creato l’uomo
e il mondo, iscrivendo nella creazione una legge appunto
naturale, finalizzata al Bene supremo, che è Dio stesso, e
il cui rispetto comporta anche il benessere (lo “stare
bene”) della società.

Non è così per quei cattolici democratici che nel 1974, in
occasione del referendum contro il divorzio, si sono
schierati a fianco dei divorzisti incitando pubblicamente a
votare no, cioè a mantenere la legge.

Non è così per l’attuale ministro Rosy Bindi che, insieme
agli altri cattolici democratici, reclama l’autonomia della
politica e delle decisioni che i governanti devono prendere
(e fa benissimo a rivendicare questa libertà), ma dimentica
che la legittima autonomia nelle cose temporali dall’autorità
ecclesiastica non significa che il governante cattolico non
sia tenuto a rispettare, nelle leggi che promuove, il
rispetto del diritto naturale e dunque l’indissolubilità del
matrimonio, l’unicità e irripetibilità della famiglia e la
sua centralità nella vita sociale.
Per cui il ministro non può auspicare, come invece è apparso
sui quotidiani del 15 febbraio, che la Chiesa si occupi
delle cose di Dio, come se la famiglia, o il
simil-matrimonio proposto dai Dico, non sia affare di Dio e
della Chiesa.

Il problema è che molti intellettuali cattolici hanno perso
la nozione di diritto naturale e quindi hanno dimenticato il
senso universale, valido per tutti gli uomini, non solo per
i cristiani, delle proposte avanzate dalla dottrina della
Chiesa su temi come la vita e la famiglia.
Complice la “scelta religiosa” – cioè quella forma di
disimpegno dalla vita pubblica maturata negli anni Sessanta
in contrapposizione all’Azione Cattolica di Luigi Gedda –
molti cattolici ritengono oggi di essere i portatori di una
scelta di fede opinabile accanto ad altre proposte e non
invece di avere il compito di aiutare gli uomini del loro
tempo a riconoscere il disegno d’amore di Dio verso ogni
persona e verso le nazioni.
Un disegno che è l’unico salvifico, anche se la Misericordia
divina opera anche al di fuori della Chiesa visibile.
Ora, questo disegno di Dio è parzialmente comprensibile
dalla ragione umana, almeno quando riguarda la vita e la
famiglia.

Dunque, il rifiuto dei Dico oggi, così come la battaglia per
l’indissolubilità del matrimonio nel 1974, sono battaglie
che la Chiesa non può non combattere perché riguardano tutti
gli uomini, indipendentemente da quale fede religiosa
ciascuno professi.

Avendo perduto la consapevolezza del diritto naturale, l’azione
pastorale e politica dei cattolici democratici nel ventennio
successivo al Concilio è apparsa incerta, perché aveva
perduto la certezza di poter offrire una soluzione, parziale
ma reale, per tutti gli uomini, anche per quelli che non
possedevano la fede.
E questa proposta debole, incerta, aveva bisogno di
appoggiarsi ad altre forze politiche che agli occhi dei
cattolici democratici rappresentavano l’incarnazione della
speranza che avevano perduto.
Queste forze politiche vennero così sempre ricercate dove i
cattolici democratici pensavano che si orientasse
inevitabilmente la storia, cioè a sinistra: e la “scelta
religiosa” divenne così come un ponte sul quale si
transitava sempre e soltanto verso una direzione, andando
verso la quale molti abbandonarono la stessa professione di
fede.

L’«amaro risveglio» del cattolicesimo democratico è
cominciato almeno nel 1985, a Loreto, quando papa Giovanni
Paolo II incitò i cattolici a essere visibilmente presenti
nella vita pubblica delle nazioni moderne.
Oggi, quelle parole di un Papa venuto dall’est, sono
diventate le parole di una Chiesa, quella italiana, che ha
ritrovato una compattezza e una fortezza che sembravano
perdute.
Speriamo ne prendano atto anche i cattolici democratici.