(il Timone) La partecipazione alla vita di Dio fonte della dignità umana

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Gli attentati di matrice religiosa che dilaniano il nostro tempo
sembrano reclamare l’ateismo come condizione dell’umanesimo.
In realtà solo il cristianesimo è il baluardo contro ogni tipo di violenza,
perché riesce a fondare l’intangibile dignità umana.


Giacomo Samek Lodovici,
da  Timone n. 33, pp. 48-49.

Il tragico attentato dell’11 marzo a Madrid, così come
gli attentati che dilaniano il Medioriente, Israele, la
Palestina, ecc. hanno riacutizzato una questione,
peraltro mai sopita dal 11 settembre 2001.
Molte persone, compresi diversi intellettuali, accusano
spesso la religione di generare odio, violenza,
attentati, guerre, ecc.
Quest’accusa la facevano già, per es., alcuni pensatori
illuministi e, in seguito, specialmente Feuerbach,
secondo cui l’ateismo è la condizione di un vero
umanesimo, cioè di una cultura e di una prassi di
promozione e rispetto verso ogni uomo.

È dunque vero che la religione è madre di violenza?
Per rispondere bisogna notare che esistono diverse
religioni, e che le religioni non sono identiche.
Ora, è vero che varie religioni arcaiche, così come
alcune di quelle precolombiane, prescrivevano sacrifici
umani, violenze, linciaggi, ecc.
È altresì evidente che una parte dell’Islam pratica la
guerra santa e ricorre al terrorismo.
Ma questa accusa è valida anche nei riguardi del
cristianesimo?

Bisogna ribattere che la sintesi dei comandamenti
cristiani è espressa dal comandamento dell’amore:
«amerai […] il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore,
con tutta la tua mente e con tutta la tua forza» e «il
prossimo tuo come te stesso» (Mc 12,29-31).

Dal punto di vista teorico è stato proprio il
cristianesimo a introdurre il concetto della dignità
umana (che è il fondamento di molti dei valori – ne
ho parlato in il Timone 27, pp. 6-7 – di cui tutto
l’Occidente è debitore al cristianesimo), cioè del
pregio inestimabile di ogni uomo, senza differenze di
sesso, età, ceto sociale, cultura, religione, ecc.
Infatti questa idea era sconosciuta alle culture
precedenti.

È vero che i Greci assegnarono la dignità al cittadino,
ma la negarono alle donne, ai bambini, agli stranieri
e, Aristotele compreso, sostenevano la legittimità
della schiavitù; i filosofi stoici hanno riconosciuto
l’uguaglianza di tutti gli uomini, ma hanno sminuito
la dignità dell’uomo perché:
a) non gli hanno riconosciuto una differenza
qualitativa, bensì solo quantitativa, rispetto, per
es., a un sasso o a un animale (per gli stoici
l’unica differenza tra le cose è costituita dalla
quantità in esse di un principio chiamato logos);
b) gli hanno negato la libertà affermando la necessità
del destino.

In effetti, il cristianesimo può giustificare un vero
umanesimo perché afferma, come dice Hegel, che
«l’individuo come tale ha valore infinito […] essendo
l’oggetto e lo scopo dell’amore di Dio, è destinato ad
avere relazione assoluta con Dio».
In altri termini: l’uomo ha un valore inestimabile
perché è destinato a partecipare alla comunione con
Dio.

Si potrebbe obiettare che gli illuministi, Kant,
Feuerbach e i teorici contemporanei dei diritti umani
hanno proclamato la dignità umana senza fare alcun
riferimento a Dio, talvolta anzi reclamando l’ateismo
come condizione di possibilità di un vero umanesimo,
come ho già detto.
Tuttavia queste affermazioni sulla dignità umana,
slegate dall’esistenza di Dio non sono
convincentemente giustificate (mi manca qui lo
spazio per mostrarlo), come invece avviene nel
cristianesimo, perciò sono come i rami di un tronco
che è quello cristiano, di cui ripetono la tesi
sulla dignità umana senza riconoscerne il debito e
l’eredità.

Perciò, contro Feuerbach, Dostoevskij è stato profetico:
«se non esiste Dio, tutto è permesso», in quanto il XX
secolo, con le sue carneficine e i suoi totalitarismi,
ha dimostrato precisamente che le ideologie atee hanno
prodotto i più mostruosi genocidi e i più grandi
massacri.
Il Novecento gronda del sangue di centinaia di milioni
di vittime, proprio perché si è cercato di cancellare
l’esistenza di Dio, e dunque si è sradicato il
fondamento della dignità umana.

Il nesso tra cristianesimo ed umanesimo ce lo conferma
un acerrimo nemico del cristianesimo, cioè Nietzsche,
che auspica un continuo miglioramento del genere umano
attraverso l’eliminazione dei deboli e, pertanto,
accusa il cristianesimo di essere antiumanistico,
proprio per avere sempre difeso ogni uomo: «l’individuo
fu tenuto dal cristianesimo così importante, posto in
modo così assoluto, che non lo si poté più sacrificare,
ma la specie sussiste solo grazie a sacrifici umani.
[…]. La vera [per Nietzsche] filantropia vuole il
sacrificio per il bene della specie. […] E questo
pseudoumanesimo che si chiama cristianesimo, vuole
giungere appunto a far sì che nessuno venga
sacrificato».
E ancora: «la legge suprema della vita […] vuole che
si sia senza compassione per ogni scarto e rifiuto
della vita; che si distrugga ciò che per la vita
ascendente sarebbe solo ostacolo, veleno […] – in
una parola cristianesimo -; è immorale nel senso più
profondo dire “non uccidere”».
Nietzsche lo conferma chiaramente: la dignità umana
dipende dall’esistenza di un Dio creatore come quello
cristiano, che aborre sacrifici umani, violenze,
attentati, ecc.

Ora, l’affermazione della dignità umana priva del suo
ancoramento a Dio può conservarsi per un certo tempo,
ma non può essere durevole, perché un ramo reciso dal
tronco non può sopravvivere a lungo.
Un vero umanesimo è possibile solo in un orizzonte
teorico che fondi la dignità umana, dunque in un
orizzonte teorico che affermi l’esistenza di un
Dio-Persona, che crea per amore l’uomo e lo chiama ad
amarLo.

Lo ha rilevato in modo efficace anche R. Girard:
«per quanto si esaminino le testimonianze antiche e
si facciano inchieste, per quanto si frughino gli
angoli più riposti dell’intero pianeta, non si troverà
nulla che assomigli anche solo da lontano alla
preoccupazione moderna per le vittime. Né la Cina dei
mandarini, né il Giappone dei samurai, né le Indie
precolombiane, né la Grecia, né la Roma della Repubblica
o dell’Impero si curavano minimamente delle vittime che,
con mano generosa, sacrificavano ai loro dei, all’onore
della patria, all’ambizione di grandi o piccoli
conquistatori».

E l’affermazione teorica della dignità umana fatta dal
cristianesimo si è tradotta nell’amore ad ogni uomo da
parte dei cristiani, e nella promozione di innumerevoli
istituzioni caritatevoli e assistenziali (per es.,
l’ospedale è stato inventato dalla Chiesa, che l’ha
gestito fino al 1700 inoltrato).

Le altre culture coltivavano forme di solidarietà
familiari, tribali, nazionali, ecc., ma non si
premuravano di ogni uomo senza alcuna esclusione.

Per concludere: il cristianesimo è il vero baluardo
contro ogni forma di violenza.
Il che non significa che esso comporti il pacifismo a
tutti i costi, come ho già spiegato in un’altra
occasione (Il Timone 25 , pp. 48-49).

Giacomo Samek Lodovici,
da Timone n. 33, pp. 48-49.

Bibliografia

– G. Chalmeta, Introduzione al personalismo etico,
Edizioni Università della Santa Croce 2003, pp. 43-52,
91-97.
– Giovanni Paolo II, Ecclesia in Europa, varie edizioni
2003.
– R. Girard, Vedo Satana cadere come la folgore, Adelphi
2001, pp. 211-236.
– T. Melendo Granados, Dignidad humana y bioetica, Eunsa
1999, pp. 159-169.
– V. Messori, Scommessa sulla morte, Sei 2001, pp.
180-202.
– G. Morra, Sorgenti culturali dell’Europa, in “Studi
cattolici”, 489 (2001), pp. 756-764.
– A. Sanmarchi, Il senso della vita e la vita senza
senso dell’ateo, “Aquinas”, 46, n. 2-3 (2003), pp.
329-364, esposto divulgativamente in Se Dio non esiste
tutto è permesso, in “il Timone” n. 32, pp. 32-33.
– A. Socci, I nuovi perseguitati, Piemme 2001, pp.
145-157.

Ricorda: «L’idea della dignità umana riscontra la sua
fondazione […] in una filosofia dell’Assoluto. […]
la presenza dell’idea di Dio in una società è una
condizione necessaria […] perché sia riconosciuta
l’incondizionatezza della dignità di quella
rappresentazione dell’Assoluto che è l’uomo».
(R. Spaemann, Das Natürliche und das Vernüftige:
Essays zur Antropologie, Piper 1987, tr. sp. Lo natural
y lo racional, Rialp 1989, p. 122).

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