Il Giornale 29.4.2004
QUEI RELIGIOSI SENZA PIETA’
Antonio Socci Un certo don Gianfranco, presentato come parroco in Umbria, scrive una sua
lunga filippica che viene pubblicata sul sito internet della rivista
Nigrizia. Leggendola sono rimasto sinceramente sconcertato. Tale rivista non
è un normale giornale laico, ma è edita dalla Provincia italiana della
congregazione dei Missionari Comboniani. Ha dunque un sua ufficialità.
Rappresenta – o dovrebbe rappresentare – quella Chiesa Cattolica di cui io
mi sento figlio (e a cui ho devoluto e devolverò sempre l’8 per mille).
Sono rimasto sconcertato non tanto perché nella filippica di quel
sacerdote – senza dire di quale colpa mi sarei macchiato – mi trovo
personalmente insultato con una virulenza verbale e un disprezzo che faccio
fatica a immaginare in un prete. Tanto più in un ecclesiastico che tuona
contro la guerra e che sostiene di amare la pace. Oltretutto i direttori di
riviste cattolico-progressiste come Nigrizia sono stati invitati più volte
da me, a Excalibur. Ma da me si sono sempre rifiutati di venire. Non so
perché. Predicano il dialogo con tutti, con i musulmani di tutti i tipi, con
ideologie di ogni genere, ma evidentemente non con certi fratelli cattolici.
Mi dispiace, io continuo a rispettarli e considerarli fratelli.
Ma a parte ciò, ancora più stupefacente è il contenuto della filippica. Dove
innanzitutto si contesta la qualifica di “terroristi” che l’americano
Rumsfeld attribuisce a coloro che combattono in Iraq: “da sempre” tuona il
prete “gli eserciti occupanti considerano i patrioti, i partigiani, i
ribelli, come dei ‘farabutti terroristi’. Solo che loro sono a casa loro,
noi no”.
Poi passa ai quattro italiani sequestrati. Dopo aver dichiarato che
“mercenario” ha un significato “che non si discosta molto dal ‘lavoro’ di
questi uomini” e dopo aver criticato “i familiari dei vigilantes”, cioè
degli ostaggi italiani, perché “parlano tanto”, entra anche lui nel
dibattito a proposito dell’eroismo di Quattrocchi. “Non sono eroi positivi”
tuona “neanche se uno muore sfidando orgogliosamente la morte con una frase
‘patriottica’… Non si va a morire per i soldi né per sfidare la morte, non è
un valore ed è immensamente stupido”.
Colpisce tanta mancanza di pietà. Quei quattro non sono andati affatto a
morire, ma a lavorare. Per vivere. Svolgevano il lavoro di guardie del corpo
perché non avevano lavori migliori, qualcuno di loro cercava di guadagnare
quanto serviva a sposarsi e metter su casa. Era un lavoro rischioso, il
loro, ma come tanti altri: centinaia di persone ogni anno muoiono sul
lavoro, ma nessuno si è mai sentito rivolgere parole di rimprovero e parole
così dure.
Non solo. Il sacerdote non si ferma, si occupa anche dei soldati e dei
carabinieri italiani che operano meritoriamente per la pace a Nassirija, che
lì sono anche morti. Quei soldati italiani in Iraq che il Papa ha definito
“missionari di pace”.
Ebbene, in questa filippica dal sito di Nigrizia si legge: “La logica che ha
spinto questi uomini e tanti altri (carabinieri ed esercito inclusi) ad
andare in Iraq è una logica che fa a cazzotti con i valori cristiani. La
missione di pace, umanitaria è la copertura ideologica della logica della
violenza e dei soldi. Il loro eroismo non è dissimile a quello di quei
ragazzi che si vanno a schiantare per scommessa a duecento all’ora nelle
gare automobilistiche clandestine. E’ il fascino della sfida e il fascino
dei soldi…”.
Dunque ai carabinieri massacrati dai terroristi a Nassirija mentre
soccorrevano la popolazione civile e ricostruivano un paese devastato e ai
loro colleghi che continuano la loro missione, cosa dovremmo dire? Un prete
che percepisce tranquillamente la sua mensilità senza alcun rischio,
standosene in Italia, scrive quelle parole dure, senza pietà.
E va oltre. Sentenzia che è inutile pregare Dio per la salvezza degli
ostaggi italiani: “Dio non ascolterà le preghiere patriottiche di questi
giorni. Non sarà lui a far tornare gli ostaggi… E’ sordo e muto di fronte a
questa religione nazionale” (e qui l’accenno polemico è rivolto contro il
cardinal Ruini che invece ha più volte elogiato la religiosità e la
solidarietà degli italiani nei momenti più dolorosi).
Il prete aggiunge: “Credo sia giusto (anche per conto di Dio) chiarire che
certe preghiere Dio non le può ascoltare”. Dopo aver spiegato di parlare –
modestamente – “anche per conto di Dio” chiede l’intervento di Dio e anche
quello di Allah: che “intervengano insieme su questa sporca storia” scrive
“non per salvare gli italiani, ma per riportare un po’ di giustizia”.
Anche se è dura vorrei dare di queste parole l’interpretazione più benevola,
voglio cioè immaginare che il sacerdote pubblicato da Nigrizia chieda l’
intervento di Dio per salvare tutti, non solo gli ostaggi italiani, perché
torni la pace. Tuttavia si resta perplessi leggendo il finale, dove egli
prega “che Dio intervenga nei confronti dei prepotenti di turno perché
‘siano abbreviati i loro giorni e il loro posto sia occupato da qualcun
altro, sia cancellato dalla terra il loro ricordo e la maledizione che hanno
amato ricada su di loro’ ”.
Il prete attribuisce queste ultime parole – che sono delle maledizioni – al
salmo 108, ma in quel salmo tali maledizioni non debbono essere interpretate
come pronunciate dal giusto. Il giusto infatti è quello che al contrario
dice: “mi rendono male per bene, e odio in cambio di amore”. Come si può
chiedere di “abbreviare i giorni” di qualcuno? E chi è quel qualcuno?
Le maledizioni che quel salmo riporta (e che, ripeto, non sono del giusto)
lette integralmente dicono: “Pochi siano i suoi giorni, e il suo posto l’
occupi un altro/ i suoi figli rimangano orfani e vedova sua moglie./ Vadano
raminghi i suoi figli, mendicando,/ siano espulsi dalle loro case in rovina/
nessuno gli usi misericordia/ nessuno abbia pietà dei suoi orfani/ la sua
discendenza sia votata allo sterminio”.
L’intervento, pubblicato da Nigrizia, cita solo pochi versetti, ma sono
egualmente inquietanti. Mi sembra sconcertante che così ci si esprima su una
rivista di un ordine religioso.
Per fortuna tutt’altro è il magistero della Chiesa. Il Papa richiama
instancabilmente alla cultura dell’amore che non è affatto utopica, ma che
si dimostra sempre la più saggia e realista, anche in politica e nell’
attuale situazione irachena. Ha ragione Sandro Magister – attentissimo
vaticanista dell’Espresso – quando nota che “Zapatero non fa proseliti in
Vaticano”.
Se infatti la Chiesa si oppose, a suo tempo, alla guerra in Iraq spiegando
che si rischiava di provocare un’immensa tragedia umanitaria (e bene ha
fatto il governo italiano a non partecipare a questo intervento militare, ma
solo alla successiva azione di pacificazione e ricostruzione), oggi la
stessa Chiesa – con lo stesso realismo e la stessa saggezza: con la stessa
preoccupazione per gli esseri umani – chiede alle nazioni presenti in Iraq
di non abbandonare quel Paese, di non fuggire, consegnando la popolazione
inerme a bande di terroristi e fanatici. Il cardinal Ruini – dopo la
tragedia di Nassirja – disse: “non fuggire e non odiare”. Perché proprio la
cultura dell’odio è l’origine ideologica di tutto il peggio, è la vera peste
del XXI secolo. Non solo in Iraq. Dovunque.