(il Timone) Camilleri: Ritorno al sacro

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RATZINGER E LA LITURGIA


Da http://www.iltimone.org/ n° 49, gennaio 2006

Non sono pochi quelli che si chiedono se papa Benedetto XVI
ri-riformerà la liturgia cattolica dando seguito alle
riserve che, quand’era semplicemente il cardinal Ratzinger,
aveva espresso a voce e per iscritto.
Ora, poiché anch’io condivido tali riserve, quando ho deciso
di esternarle nel mio blog “Antidoti” non è mancato chi mi
ha fatto osservare che potrei impiegare più utilmente la
penna per “combattere” contro il relativismo laicista
anziché “rivolgere le armi” contro i “nostri”.

Il fatto è che proprio non mi va di difendere un cumulo di
macerie, né di farmi infilzare per quelli che si consacrano
allegramente a quell'”autodemolizione” che angosciava Paolo
VI.
Quest’ultimo non aveva esitato neanche di fronte alla
minaccia (tremenda per un papa) di uno scisma pur di
“tendere la mano” ai “fratelli separati” protestanti, in un
momento in cui il “dialogo” con questi ultimi pareva gravido
di promesse.
Per la prima volta dopo secoli un papa aveva sospeso a
divinis un vescovo, Marcel Lefebvre, e fu l’unica occasione
in cui quel papa “amletico” (come lo definiva la stampa dell’epoca)
usò il pugno di ferro, laddove per i vari “fratel mitra” e
preti e teologi favorevoli (allora) al divorzio c’erano
accorati richiami paterni (se ci siano stati retroscena
diversi, non lo so; posso solo testimoniare quel che
percepiva il fedele medio).

Un cambiamento su cui si contava molto concerneva proprio la
messa, avvicinata quanto più possibile alle funzioni
protestanti, quelle in cui il clou è il “sermone” e per il
resto si canta; all’uscita, i fedeli si complimentano col
pastore per la bella orazione.
A più di quarant’anni di distanza si può dire, riguardo al
“nuovo rito”, che queste ragioni (certo, non le sole, ma
senz’altro le più importanti) della sua introduzione ancora
sussistano?

L'”unione delle Chiese” non c’è stata e, anzi, proprio
quelle che sembravano più “vicine” hanno vieppiù allargato
la distanza.
Infine, l’attuale liturgia cattolica era ed è la meno adatta
per colmare il fossato con gli ortodossi.
Le denominazioni protestanti “storiche” ormai non si sa bene
chi rappresentino, i loro templi sono mezzo vuoti e i loro
ex fedeli sono diventati in gran numero pentecostali; sembra
valere a questo punto per la galassia “riformata” il
problema posto da quella islamica: non si sa con chi
“dialogare”.

Ma c’è chi ancora esalta le funzioni liturgiche cattoliche
perché avrebbero messo “al centro” la Parola di Dio. Si ha
invece l’impressione che abbiano messo al centro il prete,
ed è forse questo il motivo dell’attaccamento.
Ci sono infatti messe in cui ogni passaggio, anche minimo, è
accompagnato da mini-omelie del celebrante, che così finisce
col seppellire di chiacchiere l’intera funzione.
Almeno si usasse questa alluvione di parole per informare
sui fondamenti della fede.
Invece, basta un Codice Da Vinci qualsiasi per far sorgere
in venticinque milioni di cristiani il dubbio che Cristo non
sia affatto risorto e, per giunta, abbia figliato con la
Maddalena.

Una stantia obiezione riguardo alla lingua ripete che con il
latino non si capiva niente.
Il successo planetario del film di Mel Gibson, in aramaico,
dimostra la fatuità dell’obiezione suddetta.
Le altri grandi religioni si guardano bene dal rinunciare
alle loro “lingue sacre”, l’ebraismo e l’arabo.
Invece, la fame di latino in Occidente, e tra i ragazzini,
porta il nome di Harry Potter, che dobbiamo ringraziare per
un rilancio della lingua “morta” partito da dove meno ce lo
si sarebbe aspettato (e c’è qualcosa di evangelico in questo
plauso di fanciulli, vox puerorum).

Ho l’età per ricordare, sul finire degli anni Settanta, un
vecchio e malatissimo sacerdote che si faceva sorreggere per
dir messa; una volta, mentre distribuiva la comunione, un’ostia
gli cadde dalle mani tremanti e finì per terra.
D’istinto, il fedele primo nella fila fece per chinarsi ma
fu fermato da un gesto perentorio del prete, il quale
penosissimamente raccolse lui l’ostia.
Già: solo mani consacrate potevano toccarla.
Oggi, alla fine della fila non di rado ci trovate a
comunicarvi un pensionato in jeans e giubbotto, mentre il
prete se ne sta, magari, tranquillamente seduto a guardare.

L’ultimo libro (i successivi sono raccolte) di Ratzinger
prima di diventare papa si intitola significativamente Lo
spirito della liturgia.
Da buon teologo tedesco conosce meglio di tutti il mondo
protestante e certamente non gli sarà sfuggito il flop
dell'”apertura”
liturgica nei suoi confronti.
Non solo, ma da uomo coltissimo qual è, senz’altro sa quanti
artisti e intellettuali atei nella storia (un nome per
tutti: Joris Karl Huysmans, caposcuola del decadentismo
letterario) si sono avvicinati al cristianesimo attratti
dalla bellezza della liturgia cattolica.

Non credo, comunque, che farà alcunchè d’autoritario.
Magari userà, come il predecessore, il mezzo mediatico.
Infatti, la prima cerimonia ufficiale di Benedetto XVI l’abbiamo
vista in mondovisione: latino e gregoriano al massimo
sfarzo, e un possente Bach come finale.
Nel suo stemma ha tolto il Triregno e messo la conchiglia di
s. Agostino: umiltà politica e, soprattutto, teologica (con
quella conchiglia un angelo cercava di travasare il mare in
un buco nella sabbia, mostrando ad Agostino -che rifletteva
sul mistero della Trinità- l’inanità del suo sforzo
esclusivamente intellettuale).
Gli osservatori si chiedevano se il nuovo papa avrebbe
imitato Wojtyla nella politica dei “gesti”.
Ebbene, eccone due.

Certo, la mia è una personale posizione, che non coinvolge
la rivista che mi ospita.
Ed è una posizione che solo i superficiali potranno
etichettare come “lefebvriana”, perché è dettata solo ed
esclusivamente da amore per la bellezza e la serietà.
Resto convinto che il rigore paga; che il confuso desiderio
di sacro oggi prevalente non si appaga appiattendosi sul
pop; che il “rilancio” di realtà religiose afflosciatesi è
stato ottenuto dai Santi riformatori con un ritorno
integrale alla regola e allo spirito dei Fondatori, non con
un ulteriore sbracamento; che per invogliare all’ingresso in
un palazzo rinascimentale basta restaurarlo, cioè
ripristinarne l’originaria bellezza: nessuno sano di mente
lo raderebbe al suolo per sostituirlo con una struttura in
cemento e alluminio che, secondo lui, sarebbe più “adatta ai
tempi”.

Rino Cammilleri
http://www.rinocammilleri.it/

NOTA: Sullo stesso argomento, un nuovo sito
http://www.latunicastracciata.net/tunica_stracciata/index.htm