Liberi almeno di fare la carità
Paolo Luigi Rodari
Interessante la lettura che viene dagli Usa della prima enciclica a firma Benedetto XVI “Deus caritas est”. È l’autorevole teologo ed editorialista del New York Times Magazine e di New Republic, Lorenzo Albacete, a farla. Dove? Sul prossimo numero di Atlantide – disponibile da aprile in edicola e nelle librerie con il titolo “Emergenza educazione. Alla scoperta dell’io” – trimestrale di Fondazione per la Sussidiarietà, da sempre attenta, come è nel suo dna, a sostenere la persona nel suo itinerario formativo, di presenza e di espressione nella società. Come? Traendo ispirazione da quel principio che più d’ogni altro afferma il primato della persona rispetto alla società e della società rispetto allo Stato: il principio di sussidiarietà.
In cosa consiste essenzialmente la prima enciclica di Papa Ratzinger? Essa – spiega il teologo della Grande Mela – offre il metodo tramite il quale il messaggio della Chiesa deve essere diffuso nel mondo: «precisamente consiste in un’educazione all’amore». Per Albacete, sebbene non sia mai stato affermato esplicitamente, l’enciclica è da molti punti di vista una risposta alla cosiddetta “teologia della liberazione”, che proponeva un’analisi marxista della società come base per un umanesimo cristiano. Al posto della “teologia della liberazione” Ratzinger – è Albacete a parlare – «propone un’educazione del cuore umano all’amore», quale unica risposta al drammatico bisogno contemporaneo di giustizia in questo mondo.
E in effetti, Benedetto XVI cita la critica marxista alla carità cristiana: «I poveri, si dice, non avrebbero bisogno di opere di carità, bensì di giustizia. Le opere di carità, le elemosine, in realtà sarebbero, per i ricchi, un modo di sottrarsi all’instaurazione della giustizia e di acquietare la coscienza, conservando le proprie posizioni e frodando i poveri nei loro diritti. Invece di contribuire attraverso singole opere di carità al mantenimento delle condizioni esistenti, occorrerebbe creare un giusto ordine, nel quale tutti ricevano la loro parte dei beni del mondo e quindi non abbiano più bisogno delle opere di carità». «Non ci sarà mai – afferma Benedetto XVI nell’enciclica – una situazione nella quale non occorra la carità di ciascun singolo cristiano, perché l’uomo, al di là della giustizia, ha e avrà sempre bisogno dell’amore». E ancora: «L’amore – caritas – sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo». Del resto, lo dice anche il principio di sussidiarietà (ricordato espressamente dal Albacete): lo Stato non può amare, solo le persone umane possono amare.
«Lo Stato che vuole provvedere a tutto – scrive Albacete -, che assorbe tutto in sé, diventa in definitiva un’istanza burocratica che non può assicurare l’essenziale di cui l’uomo sofferente – ogni uomo – ha bisogno: l’amorevole dedizione personale. Non uno Stato che regoli e domini tutto è ciò che ci occorre, ma invece uno Stato che generosamente riconosca e sostenga, nella linea del principio di sussidiarietà le iniziative che sorgono dalle diverse forze sociali e uniscono spontaneità e vicinanza agli uomini bisognosi di aiuto». E infatti, l’uomo, di cosa ha bisogno? Di amore e specificatamente di amore divino e cioè di caritas. Ma questo amore divino è anche umano, «realtà divina e umana» spiega Albacete. E ancora: «La carità trasforma lo stesso cuore umano, la fonte del nostro giudizio e delle nostre azioni. Il contributo della Chiesa alla lotta per un mondo migliore è un’educazione del cuore alla carità».
© Il Tempo 22 marzo 2006